Tirar fuori dall’armadio scheletri e chitarre, ambizioni buone e sconfitte, i ricordi delle fotografie e le ferite di un passato. “Per tutti questi anni” dunque diventa un titolo didascalico e portante per il concetto che è linfa vitale di questi 10 inediti di ZUIN, cantautore milanese che fa così il suo esordio. L’avevamo trovato più volte nelle cronache discografiche, parlando del singolo “Bianco” con Daniela D’Angelo e avendo cura di sottolineare il palco del Primo Maggio di Roma che, ad immaginarlo, penso rappresenti la svolta nel suono come nella penna. “Per tutti questi anni” è un disco rock nell’anima e nelle fioriture, è pop nell’estetica che non si presenta leggera né tantomeno affabile con superficialità. “Per tutti questi anni” è un disco di un nuovo cantautore italiano.
Un titolo forte. Che sia un momento di analisi e di rendiconti?
A 30 anni mi sembrava il momento giusto per aprire quell’armadio pieno di scheletri e sogni e fare un po’ di ordine, almeno nella mia testa.
Se non sbaglio è un progetto che nasce dal crowdfunding. Corretto? Com’è stata questa tua esperienza?
Non è un progetto nato grazie al crowdfunding, ma in fase finale ho avuto l’aiuto dei raisers. Per me è stata una splendida esperienza di supporto e condivisione, vedere le persone supportarti senza avere un minimo di garanzia a livello qualitativo del risultato è una cosa molto importante e che ti fa capire che bei legami crea la musica.
E in generale, in questo momento storico in cui la musica sta cambiando, soprattutto da un punto di vista sociale, come vedi queste nuove frontiere di espressione, di monetizzazione e anche di diffusione?
È un momento di grandi cambiamenti, come tutti i momenti così esistono molte cose positive ed altre negative, forse la facilità di distribuzione ha fatto abbassare l’asticella qualitativa, proprio perché è una cosa che possono fare tutti; dall’altra parte c’è molta piu’ liberta’ espressiva. Io dico sempre che alla fine lo scettro del potere lo detiene sempre il pubblico.
Il suono live. Dal Primo Maggio di Roma al disco. Hai tradotto il live in suono da studio o hai cercato altre direzioni?
Sono partito dal suono acustico, il mio suono di scrittura, abbiamo vestito i pezzi con Claudio Cupelli (il mio produttore artistico) e infine abbiamo trovato un modo per coniugare il mondo sonoro scelto con un’espressione live che mantenesse quei colori senza perdere spontaneità e naturalezza.
Ho come l’impressione, dai video soprattutto, che la genesi “rock” della tua canzone poi facilmente o di istinto si traduca live in una dimensione più acustica ed intima. Intimità che cerchi nell’estetica visto che di loro le canzoni sono assai private e personali, se mi consenti il termine…
Nei live mi piace fare vedere diverse cose della mia musica, mi hanno sempre stancato i live monotoni, quindi mi piace in alcuni momenti andare molto piu’ in profondità e in altri invece alzare i toni per fare muovere più le teste, o almeno quella è l’idea.
A chiudere mi viene da pensare alla tua storia personale. Al brano “Credimi”. Al tuo essere padre. Che questo disco rappresenti quel che vorrai diventare e quel che non vorrai diventare? Scusami se ho fatto una domanda troppo personale, ma con i cantautori penso sia inevitabile…
Ognuno di noi è quello che ha vissuto e cerca nel suo piccolo di non commettere gli errori che sono stati commessi nei propri confronti, spero di riuscirci, penso di avere l’età giusta per affrontare questa nuova esperienza con la giusta consapevolezza e per questo consapevole che sicuramente sbaglierò anche io qualcosa.