Vittorio Cuculo è da considerare ormai un ex enfant prodige del jazz italiano, perché il talentuoso sassofonista si sta sempre più affermando sulla scena jazzistica nazionale grazie alle sue notevoli qualità artistiche. Dall’eccellente padronanza strumentale, fluidità di fraseggio, intensa energia comunicativa, nonché enciclopedico conoscitore del linguaggio bebop, Cuculo si sta costruendo una carriera particolarmente degna di nota. Il suo percorso di formazione è ricco di borse di studio (compresa quella prestigiosa della “Berklee College of Music” di Boston) e molti titoli come, ad esempio, il diploma di laurea presso la “Siena Jazz University” e quella al “Biennio Jazz” presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma con il massimo dei voti, ma fa anche incetta di premi e riconoscimenti come, fra i tanti,  il premio per solisti del “Concorso Randazzo”, il secondo posto al “Premio Internazionale Massimo Urbani” per “Solisti Jazz”, il premio come “Miglior Solista Strumentale” al concorso internazionale “Johnny Răducanu”, lo “European Jazz Award 2020” assegnatogli dal “Tuscia in Jazz Festival”, il primo premio (ex aequo) ottenuto al “Concorso Nazionale Chicco Bettinardi – Nuovi Talenti del Jazz Italiano” nella “Sezione Solisti”, oltre a essersi classificato al primo posto al “Roma Jazz Contest”. Le sue fulgide doti gli permettono di condividere palco e studio di registrazione, sia in contesti orchestrali che in formazioni ridotte, al fianco di numerose eccellenze del jazz italiano e internazionale, come: Bob Franceschini, Mark Sherman, Jesse Davis, Javier Girotto, Dario Rosciglione, Giorgio Rosciglione, Gegè Munari, Stefano Di Battista, Eric Legnini, Fabrizio Bosso, Enrico Pieranunzi, Andrea Beneventano, Roberto Gatto, Enrico Intra, Marcello Rosa, Paolo Damiani, Massimo Nunzi, Maurizio Giammarco, Mario Corvini, Claudio Corvini, Maurizio Urbani, Emanuele Urso, Adriano Urso, Roberto Spadoni, Danilo Blaiotta, Enrico Mianulli, Greta Panettieri. Oltre a esibirsi in tutta Italia, sia nei famosi club che nei festival di prestigio, il suo talento è stato valorizzato anche fuori dai confini nazionali, in Paesi quali Polonia, Belgio, Francia, Russia, Germania, Romania, Emirati Arabi Uniti. Diverse anche le sue esperienze mediatiche di una certa rilevanza, come Webnotte (Repubblica TV) e Rai Radio 3. Il 20 ottobre, pubblicato da Jando Music e Via Veneto Jazz, è uscito “I Slept in Central Park – A Tribute to Massimo Urbani”, affettuosissimo omaggio a una figura iconica del sassofono jazz come Massimo Urbani, a trent’anni di distanza dalla sua scomparsa. Con Vittorio Cuculo, a condividere questa esperienza discografica, cinque colonne portanti del jazz del calibro di Andrea Beneventano al pianoforte, Dario Rosciglione al contrabbasso, Gegè Munari alla batteria e due superospiti come Stefano Di Battista al sax soprano e alto e Maurizio Urbani (fratello di Massimo) al sax tenore. Un album, intriso di gioioso senso dello swing, in cui l’amore verso Massimo Urbani si manifesta attraverso ogni singola nota.

 

Il 20 ottobre scorso, pubblicato dall’etichetta “Jando Music” in collaborazione con “Via Veneto Jazz”, è uscito il tuo nuovo lavoro discografico intitolato “I Slept in Central Park – A Tribute to Massimo Urbani”, un amorevole omaggio al grande sassofonista jazz Massimo Urbani, prematuramente scomparso trent’anni fa. Al tuo fianco, la formidabile sezione ritmica del 1993 del quartetto di Massimo Urbani: Andrea Beneventano al pianoforte, Dario Rosciglione al contrabbasso e Gegè Munari alla batteria. Più la presenza di due eccezionali guest come Maurizio Urbani (sax tenore) e Stefano Di Battista (sax soprano e sax alto). Soprattutto dal punto di vista emotivo, quali sensazioni hai provato quando sei entrato in studio per registrare questo disco dedicato a un gigante come Massimo Urbani accompagnato proprio dal suo trio del 1993 e impreziosito dalla collaborazione di due straordinari jazzisti come Maurizio Urbani e Stefano Di Battista?

Per me è stata una grande gioia e un grande privilegio aver registrato e condiviso questo lavoro con dei musicisti incredibili come Stefano Di Battista, Maurizio Urbani, Gegè Munari, Andrea Beneventano e Dario   Rosciglione, ognuno con un percorso e una carriera molto importanti, ma ciascuno mosso dall’affetto e dal desiderio di ricordare una figura storica e capitale come quella del grande genio Massimo Urbani. Un ringraziamento speciale va a Eugenio Rubei per essere stato l’ideatore, a Giandomenico Ciaramella, Matteo Pagano, Jando Music e Via Veneto Jazz, Cristiana Piraino, Casa del Jazz, Fondazione Musica per Roma, Luciano Linzi, Ascanio Cusella e a tutto lo staff e ai meravigliosi musicisti con i quali ho avuto l’onore di poter condividere musica in ricordo di Massimo Urbani.

Il 21 ottobre, invece, hai presentato ufficialmente l’album alla “Casa del Jazz” con la formazione al completo con cui hai inciso il CD. Il pubblico come ha vissuto questo concerto e qual è stata la tua percezione emozionale prima, durante e dopo il live?

Quella del 21 ottobre è stata una serata speciale con la presentazione del disco alla Casa del Jazz a Roma. Non nascondo che l’emozione è stata tanta, perché il numeroso e caloroso pubblico ha regalato a tutti noi un Sold Out, per la gradita presenza di altri importanti musicisti che hanno assistito al concerto, ma anche e soprattutto perché ho avvertito netta e chiara la sensazione del grande affetto e ammirazione verso l’importantissima figura di Massimo Urbani. Abbiamo voluto render omaggio a un gigante del mondo del jazz. Tutto si è svolto con questo spirito, dall’introduzione all’evento, fatta da Luciano Linzi, fino all’esecuzione dei brani e alla entusiastica accoglienza e amorevole partecipazione da parte degli ascoltatori.

Venendo al disco, in “I Slept in Central Park – A Tribute to Massimo Urbani” figurano otto brani fra cui anche una sua composizione originale intitolata I Got Rock. Secondo quale criterio hai scelto la tracklist dell’album?

La tracklist è stata impostata sull’idea di eseguire, a trent’anni dalla scomparsa, composizioni che Massimo Urbani amava suonare, con lo spirito di omaggiarlo ma anche – e soprattutto – con la voglia e il desiderio di suonare insieme del buon jazz, in un ideale abbraccio fatto di suoni, ricordi ed emozioni.

Per un sassofonista talentuoso ma ancora giovane come te è senza dubbio molto complicato misurarsi con un tributo dedicato a un’icona sacra del calibro di Massimo Urbani. In questi casi il rischio altissimo è sempre quello di somigliare troppo all’originale, soprattutto nel fraseggio. Tu, pur giustamente ispirandoti a lui, che tipo di lavoro hai fatto su te stesso per cercare di trovare una tua identità personale nel rendergli omaggio senza cedere alla tentazione di emularlo?

Ogni sassofonista ha dei suoi punti di riferimento e un proprio bagaglio di preparazione che lo contraddistingue. Nel caso di Massimo Urbani questo aspetto è ancora più evidente: il suo sax graffiava quando era il momento, diventava virtuoso e inarrivabile sul registro acuto, ma anche lirico e romantico, intenso e appassionato. Lui aveva un suono profondo e generoso come pochi riuscivano a ottenere. Il suo strumento restituiva ciò che lui era. Ho sempre ascoltato e studiato Urbani. Non ho mai avuto l’onore di poterlo conoscere personalmente, ma rappresenta e rappresenterà sempre un enorme esempio di smisurato talento e infinita musicalità. Posso dire di aver avuto la fortuna e il privilegio di poter condividere musica con grandi jazzisti che hanno suonato tanto con lui e, proprio grazie alla loro musica, la loro esperienza e grande professionalità, cerco sempre di migliorarmi e far il possibile per crescere artisticamente e personalmente.

L’indispensabile presenza e la guida sicura di cinque jazzisti di assoluto livello come Andrea Beneventano, Dario Rosciglione, Gegè Munari, Maurizio Urbani e Stefano Di Battista ti hanno aiutato a interiorizzare meglio lo stile e lo spirito di Massimo Urbani?

Assolutamente sì. Suonare con musicisti di quella levatura sicuramente stimola a dare il meglio. Ti dà grande sicurezza e soprattutto ti dà la possibilità di immergerti completamente nel meraviglioso mondo del jazz. Di Massimo Urbani conosco le incisioni, ho quasi tutti i suoi lavori discografici, lo ho ascoltato e studiato molto   e continuo a farlo.  Ammiro tanto un tratto favoloso del suo temperamento che si percepisce nella sua musica: la generosità del suono e la totale identificazione con il sax. È stato un privilegio assoluto e una grande emozione condividere musica con strepitosi jazzisti per onorare la memoria di una figura così importante e storica come quella di Urbani.

Mentre eri in studio per registrare i brani del CD hai pensato più all’aspetto interpretativo dello stile di Massimo Urbani oppure hai focalizzato di più l’attenzione sull’aspetto squisitamente tecnico del suo sassofonismo?

L’esperienza in studio per registrare questo lavoro, per ricordare e rendere omaggio a Massimo Urbani è stata davvero molto intensa ed emozionante. Ho cercato di esprimere tutto ciò che sono ispirandomi al grande suono, alla profonda anima e alla sua genialità unica. Spero sia stato il modo migliore per ricordarlo a trent’anni dalla sua prematura scomparsa.

Ora, riascoltando il disco a distanza di tempo dall’incisione, ritieni di essere riuscito nell’intento di trasmettere il tuo messaggio artistico attraverso “I Slept in Central Park – A Tribute to Massimo Urbani”?

Spero di sì. Registrare quei brani con il Trio ’93 con i grandi Gegè Munari, Andrea Beneventano, Dario Rosciglione e con due ospiti sensazionali come Stefano Di Battista e Maurizio Urbani, credo sia stato il modo migliore di rendere omaggio a questo fuoriclasse assoluto.

Oltre a presentare l’album il più possibile in giro per l’Italia e magari anche all’estero, qual è l’augurio più grande che fai a te stesso dopo la pubblicazione di questo CD?

Mi auguro che il jazz trovi sempre più ascolto e spazio. E per quanto mi riguarda che riesca a migliorarmi e crescere sempre come uomo e come artista.