Un nuovo video per gli Ultima Haine, ce lo hanno raccontato!

Esce oggi il video di SANTAMARIA, ultimo singolo dei ULTIMA HAINE, scritto ed arrangiato insieme ad Ale Bavo, uscito il 22 aprile per Prisoner Records e distribuito da The Orchard.  Con questo brano il giovanissimo progetto rapcore napoletano si presenta nella scena, rinfrescando un genere che soprattuto nel capoluogo campano ha da sempre trovato sfogo e contaminazioni.

Il titolo allude alla Santa protettrice di Quarto, il paese della provincia di Napoli da cui quasi tutti i membri provengono. Il brano, infatti, parla di periferia, esclusione, marginalità e del sentirsi diversi da chi nasce e vive al centro della città. Nel brano traspare l’alienazione del vivere in un territorio che, se da un lato rappresenta le proprie radici a cui non si può che essere profondamente legati, dall’altro è una sorta di marchio che è difficile togliersi di dosso

Amaraldo, Abi, Mod e Malik sono i nomi dei quattro protagonisti del video, originari rispettivamente di Albania, Angola, Thailandia e Palestina. I loro volti e i loro passati sembrano gridare che le periferie del mondo sono tutte uguali e tutte diverse allo stesso tempo, e l’unico modo per sopravvivere è coltivare relazioni fatte di solidarietà, senza lasciare nessuno spazio a chi vorrebbe metterci gli uni contro gli altri.

Come avviene il vostro incontro?

Noi siamo quasi di tutti di Quarto, un paese della provincia di Napoli, tranne Adriano, il chitarrista, che però l’ha sempre frequentato. Sicuramente il fattore vicinanza ed appartenenza allo stesso territorio ha giocato il suo ruolo. In particolare poi il gruppo nasce da un’idea di Mattia, il bassista, ed Adriano. Successivamente si aggiungono Alessandro alla voce ed Antonio alla batteria. L’idea iniziale era quella di fare un gruppo cover, ma già durante la prima prova sono usciti fuori tre inediti, uno dei quali è Davide Bifolco, brano a cui siamo molto legati e che tutt’ora portiamo dal vivo in giro. 

Napoli è una città accogliente per chi non è della zona?

Ovviamente si, tra l’atro l’ospitalità napoletana, e del Sud in generale, non hanno bisogno di essere raccontate. Poi, come in ogni parte del mondo, possono capitare episodi spiacevoli, ma questo non fa di Napoli una città poco accogliente. Il problema è che è stata talmente spettacolarizzata una Napoli da gangster in stile Gomorra, che un qualsiasi episodio sgradevole se accade qui fa più notizia. Questo avveniva già prima, essendo la nostra città da sempre vittima di razzismo, ma con l’ondata di serie TV, videoclip, film ecc.. che hanno alimentato una certa visione di Napoli, questo è andato a peggiorare. 

Che cosa volevate comunicare con il vostro singolo “Santamaria”? Chi dovrebbe assolutamente ascoltarlo?

Con SANTAMARIA volevamo raccontare la prospettiva di chi vive la marginalità della periferia. E lo abbiamo fatto proprio prendendo le distanze da una certa narrazione della nostra città, nel male come dicevamo prima, ma anche nel bene. Napoli infatti continua ad essere intrappolata in due stereotipi, o la città del sole e di Pulcinella, o quella delle pistole e della camorra. E ormai sembra essere diventata un set a cielo aperto, con produzioni nazionali e non solo che non fanno altro che appropriarsi di questa immagine plasmandola come più fa comodo, trarne profitto, sparire ed alimentare questo circolo vizioso. Ed ai napoletani resta ben poco, le briciole e neanche. Il brano lo dovrebbe ascoltare chiunque è delle nostre parti, ma anche chi vive in contesti di marginalità diversi dal nostro. Perché in fondo tutte le periferie del mondo parlano lo stesso linguaggio.

Quale correlazione c’è tra il brano e il video? Come avete lavorato per immagini, partendo da un brano?

Le correlazioni tra brano e video sono molteplici, partendo dalla location, ossia Genova: una città portuale come la nostra, con una storia di contaminazioni culturali lunghissima. Inoltre i protagonisti del video, ovvero Abi, Malik, Mod e Amaraldo, seppur da diverse parti del mondo hanno vissuto tutti sulla loro pelle la marginalità delle periferie di cui parliamo nel nostro brano. Abbiamo voluto fare qualcosa di diverso, e non girarlo a Napoli anche per non incappare in ciò che poi critichiamo, ovvero stereotipare in un modo o nell’altro la nostra città. Per quanto riguarda il lavoro per immagini dobbiamo ringraziare Stefano Piccardo, il regista. Avevamo visto qualcuno dei suoi video e il suo stile narrativo ci ha conquistato da subito.

Come avete vissuto il Covid?

Ad essere sinceri, il primissimo pensiero è stato “ca**o, proprio quando noi abbiamo deciso di fare il disco doveva scoppiare una pandemia globale?”. Però dopo lo shock iniziale abbiamo vissuto la pandemia un po’ come tutti, cercando di non soccombere alla reclusione forzata e provando a ricavarne qualcosa di buono per ciò che sarebbe venuto dopo. Così alcuni riff e testi del disco sono nati proprio durante il lockdown, ed anche uno dei brani per intero è stato scritto in quel periodo. Una volta finito il lockdown “duro”, armati di tamponi e mascherine abbiamo cominciato a lavorare al disco. Con il nostro produttore, Ale Bavo, abbiamo trovato un modo per lavorare a distanza, perché non ci si poteva spostare. E’ stato assurdo, difficile e faticoso, ma anche uno stimolo ad andare sempre avanti.