“De Visu” di Sergio Casabianca è un eclettico e coinvolgente viaggio nel mondo del jazz contemporaneo. Questo album presenta una serie di brani inediti interpretati con maestria da un talentuoso trio di chitarre, con Sergio Casabianca come fulcro creativo. Accanto a lui, Riccardo Grosso al contrabbasso e Peppe Tringali alla batteria completano una formazione che offre un mix di composizioni originali che spaziano da semplici ballate eteree a complessi pezzi post-bop.
Sergio, puoi condividere con noi la tua esperienza di formazione musicale presso i conservatori di Catania, Venezia e Palermo? Quali sono stati i momenti più significativi di questo percorso?
Lo studio in conservatorio mi ha dato moltissimo in termini di crescita musicale, umana ed artistica. Non sono sempre stati giorni rosei, specialmente all’inizio, ma il sacrificio – che sia di natura fisica, economica o emotiva – fa sicuramente parte della vita di un musicista.
Presso il Conservatorio di Catania ha intrapreso e completato gli studio per il mio diploma accademico di primo livello, ovvero la laurea triennale in chitarra jazz.
Ovviamente all’inizio del percorso non ero il musicista di oggi, ma molto più acerbo e probabilmente confuso. Ho sinceramente iniziato ad amare la materia jazzistica a partire dal secondo anno di corso. In un primo momento, dati i miei gusti musicali variegati – dal rock, al pop, alla classica – ero intento a studiare armonia ed improvvisazione per utilizzarla in ambito fusion e pop.
Mi sono pian piano sempre più seriamente convertito al jazz appena conseguita la prima laurea. Probabilmente in quegli anni avevo bisogno di energie migliori per stare bene.
A Venezia ho intrapreso il percorso per il biennio specialistico ed ho incontrato un ambiente culturale e musicale molto creativo, vivace ed eclettico, se pur non troppo indirizzato realmente verso la musica jazz. Vivere a Venezia per circa un anno è stata un’emozione unica: in De Visu sono diverse le tracce che fanno trasparire questo mio coinvolgimento con la Serenissima.
L’arrivo a Palermo, dove mi sono trasferito per completare gli studi, è stato ricco di emozioni, stimoli ed ovviamente amicizie musicali.
Nel capoluogo siciliano ho respirato quasi l’aria di una capitale dal punto di vista artistico e musicale. L’incontro con musicisti come Paolo Sorge, docente del mio corso di strumento ed inesauribile maestro, Vito Giordano, Giuseppe Urso e Giuseppe Vasapolli è stato essenziale per credere nella strada del jazz e non farsi intimorire dall’idea di coltivare una propria vena artistica personale.
Negli anni precedenti al biennio specialistico ho studiato parallelamente con altri ottimi maestri che meritano di essere citati: Luca Galeano, Carlo Cattano, Giuseppe Mirabella, Alessio Menconi.
Hai partecipato come finalista a concorsi nazionali ed internazionali di alto livello. Qual è stata la tua esperienza più memorabile in uno di questi concorsi, e come ti ha influenzato come musicista?
Si, ho avuto questo privilegio e questa fortuna, anche se non sempre mi sono sentito realmente pronto: probabilmente fa parte del gioco.
Una delle esperienze più belle resta sicuramente un’esibizione durante un concerto di gala presso il Mugham Center, a Baku, durante il Baku Jazz Festival del 2017. Ero un concorrente in gara per il concorso strumentale e dopo aver suonato alcuni brani insieme ad altri colleghi, accompagnando le loro esibizioni, iniziai a suonare una mia composizione. Si tratta di Raining in My House, contenuta nel disco De Visu, appena uscito per TRP.
La cosa davvero emozionante fu quella di iniziare da solo, in solo guitar appunto, quasi convinto di portare avanti la performance in questo modo. Non avevo con me parti della mia musica e, dunque, non ne avevo fornite alla sezione ritmica presente.
Dopo una buona introduzione, nonostante la progressione armonica del brano non fosse scontata, il bassista ebba chiara la struttura ed il batterista lo seguì subito con il suo supporto ritmico. L’ottimo pianista, Tural Raphael, fece lo stesso.
Nel giro di pochi secondi mi ritrovai a suonare la mia musica con dei “perfetti sconosciuti” come se avessimo provato per mesi. Fu emozionante ed appagante, anche grazie alla risposta del pubblico che probabilmente non si accorse dell’imprevisto “buona la prima”.
Ecco,evidentemente l’idea musicale passava e si trasmetteva, ed era una mia idea: probabilmente sono questi i momenti che danno la spinta verso il futuro.
Nel 2020 sei stato Artist-Exhibitor della Wambooka al NAMM a Los Angeles. Puoi raccontarci di più su questa esperienza e come è stato presentare il tuo lavoro in un contesto così prestigioso?
Fu ovviamente un’esperienza incredibile. Presentavo una linea di plettri della casa produttrice Wambooka e mi esibivo per dimostrarne e testarne l’uso. Si trattava di una linea di plettri di pregevolissima fattura e costruiti con materiali particolari. Il NAMM di Los Angeles è una kermesse incredibile in cui ti ritrovi costantemente ad incontrare musicisti mondiali e camminare, dialogare e lavorare e confrontarti negli stessi stands espositivi.
Oltre agli artisti, puoi imbatterti in grandi liutai, inventori, esperti di tecnologia musicale, costruttori di strumenti di tutti i tipi, critici, giornalisti e venditori.
C’era molta disponibilità tra colleghi ed artisti, di vario livello e nomea, ed un buon lavoro di squadra di diversi rappresentanti del nostro paese.
L’esperienza è stata altamente formativa ma, nel contempo, mi ha mostrato anche la parte più caotica e consumista di questo settore. Gli USA sono sicuramente un territorio dalle grandissime risorse e dalle mille possibilità, ma onestamente preferisco la mia sicilia per vivere in modo più rilassato e tranquillo.
De Visu” è il tuo nuovo disco jazz di brani inediti, in guitar trio. Cosa ti ha spinto a incidere questo album?
De Visu è un punto di partenza, un punto di svolta, un punto di raccolta. Dopo circa 10 anni di jazz ed alcune registrazioni minori, compresa una autoprodotta da leader nel 2017, era giunto il momento di mettere la mia musica nuovamente in un disco. E’ il mio primo disco da leader pensato come co-produzione con TRP e per presentarmi, tranquillamente conscio di voler crescere, al pubblico del web e non solo. De Visu raccoglie musiche pensate e scritte anni fa, ed altre mie composizioni molto più recenti, atte proprio a completare il materiale musicale e le sonorità che volevo facessero parte del disco. Il guitar trio è il mio campo di ricerca, sperimentazione e scommessa. Sicuramente non si tratta di una formazione estremamente comoda sotto diversi punti di vista, ma credo tanto nel mio perseverare in questa direzione per migliorare come chitarrista, musicista e compositore di jazz.
Il sound del guitar trio si può modificare e modellare e l’interplay, lo scambio continuo tra noi musicisti del trio, è linfa vitale per prendersi il rischio di cercare di raccontare se stessi in musica in modo schietto, sincero e netto, a tratti scarno, a tratti denso e compatto.
Qual è la traccia dell’album “De Visu” di cui sei più orgoglioso e perché?
Onestamente sono molto contento di diversi brani contenuti in questo mio album. Probabilmente inizialmente ho reputato alcuni brani più preminenti, ma evidentemente la musica ci ha sorpreso addirittura indirizzandomi verso la scelta del titolo dell’intero disco. Infatti, mi riferisco al brano De Visu, a cui sono molto legato e resto piacevolmente colpito dall’energia che avverto nella registrazione. In questo brano ci sono tante variazioni che potrebbero anche parzialmente funzionare come somma degli stili presenti dentro il disco, e dunque condensando il senso dell’album. Suonare il brano De Visu è contemporaneamente molto divertente e potenzialmente complicato, poichè la struttura necessità della giusta attenzione. E’ questo che mi piace tantissimo: potermi fidare dei musicisti con cui suono e sentire come guidiamo insieme la musica attraverso cambi armonici e strutture musicali non troppo banali.
Tuttavia, ci tengo a precisare – e credo che nel disco si senta – non è la complessità fine a se stessa la strada che ho scelto di percorrere.
Come è stato il processo di collaborazione con i tuoi compagni di trio, Riccardo Grosso e Peppe Tringali, nella realizzazione di “De Visu”? Qual è il loro contributo al tuo sound?
Ovviamente parliamo un contributo fondamentale sia dal punto di vista musicale che emotivo o emozionale: in fondo, proporre la propria musica a dei colleghi, mettere le mani insieme nell’arrangiamento, nel sound, nel ritmo, è una condivisione che può diventare molto forte. Talvolta non sei convinto di cose che, invece, sono adeguate; al contrario potresti essere indirizzato verso scelte che possono essere limate e migliorate grazie al lavoro di squadra.
Riccardo Grosso, al contrabbasso, è un mio fidato collaboratore da anni: abbiamo condiviso tanta musica, tanti concerti, registrazioni, momenti e chilometri. Peppe Tringali è un batterista con tantissima esperienza che è stato fondamentale per la finalizzazione del sound del progetto. La sua solidità ritmica e la sua creatività, sempre rispettosa e proficua nei confronti della musica del trio, mi ha dato la completezza che cercavo per chiudere il progetto. In questo trio c’è rispetto, ascolto, impegno ed energia ma anche tanto divertimento e piacere di lavorare insieme: non è stato facile fare gli shooting fotografici senza essere immortalati durante grasse risate. Il lavoro di registrazione è stato ottimamente supervisionato da Riccardo Samperi, sound engineer del disco e produttore di TRP. Il suo apporto ha sicuramente giocato a favore dell’espressione di tutte le sfumature, musicali e non, presenti in De Visu
Quali sono i tuoi progetti? Stai lavorando al tour di presentazione di “De Visu”?
Stiamo lavorando alla diffusione del materiale con molta passione e precisione ma, per fortuna senza uno stress eccessivo e tendente alla fretta. Si sta programmando un calendario di eventi tra primavera ed estate per portare De Visu su tutto il suolo nazionale. Sicuramente non mancheranno belle sorprese. Invito i lettori a seguirmi, se lo vorranno, per restare aggiornati.