Jazz come stile di vita, musica che tutto ingloba e comprende. Musica dell’infinito e dell’indefinito, democratica per eccellenza. Di tutto questo ci ha parlato Tom Harrell in vista del concerto clou della prima giornata pomiglianese del Festival. Di seguito un piccolo stralcio. L’intervista integrale è presente sul website di Pomigliano Jazz Festival.
Come ti è capitato di scegliere la tromba come strumento d’elezione e quali ascolti e tipo di esperienze ti hanno portato a diventare jazzista?
I miei genitori ascoltavano molta musica, incluso il jazz, così da bambino m’ero abituato ad ascoltare i dischi di Louis Armstrong. Fui subito attratto da quel tipo di suono, da quello strumento fuoriusciva qualcosa di dorato e prezioso, qualcosa che al tempo stesso richiamava la Terra e il Paradiso e che sapeva trasmettere sia la gioia che la tristezza. Come ho detto il jazz ha sempre fatto parte del mio mondo sin da ragazzino. Infatti ho iniziato a tenere i primi concerti all’età di tredici anni. Da allora ho intuito e mano a mano compreso che quella era la mia dimensione, la sola cosa che desiderassi fare e che ho poi avuto la fortuna e la volontà di trasformare nella mia carriera.
Come hai conosciuto Phil Woods e quali insegnamenti e impressioni hai ricavato suonando al suo fianco?
Ci siamo incontrati e conosciuti negli anni Settanta. All’epoca suonavo nella Big Band di Chuck Israel e Phil Woods era spesso l’ospite d’eccezione di quel gruppo. Nel 1979 suonai un concerto in qualità di ospite con il suo quartetto e nel 1983 mi invitò ad unirmi a quella formazione. Suonare con Phil è stata un’esperienza magnifica. Da lui ho appreso tanto riguardo alla musica e alla vita. L’ho sempre ammirato. Mi ha anche aiutato a capire l’importante relazione tra la musica classica europea e il jazz. Negli anni Sessanta, le prime volte che mi capitò di ascoltarlo e vederlo in concerto, venni a sapere che studiava clarinetto alla Julliard e che aveva come maestro Lennie Tristano. Divenuto consapevole del suo background formativo riflettei sul fatto e sulla necessità che anch’io dovessi studiare musica in un ambiente accademico.
Horace Silver ci ha da poco abbandonato. È stato uno dei grandi artisti e musicisti con cui hai avuto l’opportunità di suonare e lavorare nel primo periodo della tua carriera. Come senti di descriverlo e ricordarlo?
È stato uno dei più grandi innovatori di tutti tempi. Nel jazz, insieme ad Art Blakey, ha inventato il linguaggio dell’hard bop. Horace aveva una filosofia osmotica della musica e della vita. Le due cose non potevano essere separate e si influenzavano a vicenda. Sul concetto di armonia eravamo in perfetta sintonia. Comprendevamo e amavamo a vicenda le nostre direzioni e sperimentazioni armoniche. Nella sua musica dedicava soprattutto attenzione a sottolineare i dettagli armonici e i suoi relativi cambi.
TOM HARRELL | Colors of a Dream
con Johnathan Blake, Wayne Escoffery, Ugonna Okegwo, Jaleel Shaw, Esperanza Spalding
venerdì 18 luglio 2014, ore 22
Parco delle Acque – Pomigliano d’Arco (NA)
Ingresso gratuito