Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.

(Alda Merini)

Background articolato ed ampio spettro d’interessi formali per la violinista (e vocalist) emiliana Silvia Tarozzi, pervenuta ad un nuovo lavoro la cui gestazione decennale trova un qualche corrispettivo almeno nell’estensione del programma, distribuito su doppio supporto discografico in vinile: album sfaccettato e ricco, di cui non si potrà non notare ambizione e complessità d’impianto, “Mi specchio e rifletto” (edito da Unseen Worlds) palesa un allargato bacino di segni e filoni dalla seconda metà del secolo scorso, in cui confluiscono nuova accademia e pop colto.

Aprendosi nell’elegiaco clima dell’introduttiva, strumentale Al Cancello, la sequenza procede nel passaggio più apertamente dedicatario nei confronti della poetessa Alda Merini, La forza del canto, sorta di riscrittura personale delle liriche da noi poste in apertura, sviluppandosi quindi lungo un’articolata sequenza in cui s’avvicendano camerismo novecentesco e forme contemporanee, coloriti giochi d’elettronica e curiose reminiscenze neo-prog, il tutto attraversato dalla personalità dell’Autrice, che ripartisce  co-protagonismo tra la propria elaborata tecnica violinistica e la vocalità limpida e spontanea, connotata da un gusto della dissonanza ed un clima straniante che caratterizzavano certi esponenti di una certa avant-garde cantautoriale à la Juri Camisasca o il primo Battiato, citato tra le fonti ispirative, ma tra queste confermiamo la dominanza esercitata appunto dalla tormentata figura della scomparsa poetessa milanese.

“Ho iniziato a comporre le canzoni di quest’album già molti anni fa, ispirata da una raccolta della poetessa Alda Merini: il ritmo e il suono della sua poetica e la sua voce speciale (faceva spesso letture delle sue opere) mi avevano suggerito una trasposizione in musica. Non potendo utilizzarne i testi per ragioni di copyright, ho deciso quindi di rimuoverli salvando le musiche ed iniziando a comporre versi miei, e ciò che all’inizio sembrava un pesante ostacolo divenne un’opportunità per creare qualcosa di nuovo e personale: la poetessa rimane presente, come traccia sottile e sotterranea che mi ha guidato nel corso dell’opera.

La canzone “La forza del canto” è dedicata a Lei, a partire dal suo poema che è anche il suo auto-ritratto: il 21 marzo ricorre anche il mio anniversario, ed accadde che nel 2008 una cara amica per tale coincidenza mi regalò un volume di poesie di lei ed io avvertii così una profonda connessione”.

Quanto dispensato lungo ben sedici tracce trova, a differenziare il soundscape d’insieme, una composita line-up abile ad animare peraltro un ricco instrumentarium con adeguato avvicendamento scenico e, considerando la summa discografica di tali materiali poco contenibile nel limitato spazio di una recensione, abbiamo inteso espanderne la conoscenza e l’approfondimento in dialogo con l’Autrice.

 

Il violino: storia, geografie, scienze applicate.

Il violino è il mio strumento, la mia voce principale per esprimermi in musica. Mi sono diplomata a Bologna e poi ho studiato sia musica contemporanea che musica antica in Italia e in Francia, e per molti anni ho suonato tante musiche diverse. Mi è sempre piaciuto esplorare repertori di epoche lontane tra loro e anche “registri” differenti, dalla musica tradizionale e popolare alla musica colta. Non vengo da una famiglia di musicisti e nel bene e nel male sono sempre stata libera di ascoltare quel che volevo e di scoprire a poco a poco i miei propri tesori musicali.

Col tempo ho capito che avevo bisogno di avere un approccio creativo con la musica e quindi anche col violino ed ho iniziato a collaborare con compositori e compositrici su nuove opere che spesso sono nate da una vera ricerca comune. Ho lavorato e lavoro con Pauline Oliveros, Éliane Radigue, Philip Corner e coi più giovani Cassandra Miller, Martin Arnold e Pierre-Yves Macé.

Con la compositrice francese Pascale Criton nel 2010 abbiamo creato un pezzo per violino microtonale (“Circle Process” per violino in sedicesimi di tono) che ho suonato in giro per il mondo e che ancora è programmato da Festival internazionali.

Questo tipo di approccio alla musica mi ha aiutata a crescere e mi ha offerto tanti spunti creativi per suonare e comporre. Va anche detto che dal 2001 ho iniziato a praticare l’improvvisazione, che per chi suona uno strumento è un’esperienza importante per poter sviluppare un linguaggio proprio.

Attualmente per esempio suono in un progetto della contrabbassista Joëlle Léandre, che è stata una delle mie madrine in questo campo.

 

“Mi specchio e rifletto”: il titolo suona già concettuale.

Forse sì ma non è nato con questa ambizione! È il frutto di una associazione di idee scaturita dall’osservazione di un libro-oggetto d’arte (“Volume 1” di Coline Irwin) che era un cubo composto da pagine di legno su cui si aprivano progressivamente delle finestre sempre più grandi, fino a scoprire uno specchio sull’ultima pagina. Mi piaceva come una banale associazione di parole si apriva a molteplici associazioni di idee! C’è Alice dietro lo specchio, dietro il riflesso trova un mondo a rovescio, c’è il gioco dei due specchi che posti l’uno di fronte all’altro si riflettono all’infinito. C’è il mio riflettermi e riflettere attraverso la poesia di Alda Merini, che è stata il motore primo di questo progetto. Infine c’è il pezzo musicale che ha quel titolo e che in fondo è tutto questo insieme, nella sua semplicità, nel suo ripetersi e riverberarsi in un canone, nell’essere giocoso e serio allo stesso tempo.

 

Per il presente album preparazione decennale: lavoro composito e non meno ambizioso.

Questo è un progetto che si è preso il suo tempo, senza piegarsi a pianificazioni o ad aspettative. Quando ho iniziato a scrivere le canzoni era l’inizio del 2009 direi, c’era questo di libro di poesie, “Vuoto d’amore”, che recitava in copertina “Sono nata il ventuno a primavera…”. Una amica (la cantante Silvia Donati) me lo aveva offerto perché quella è anche la data del mio compleanno e perché in quel periodo lei stessa stava curando un progetto musicale su Alda Merini, poetessa che amava molto. Le sue poesie, soprattutto alcune, sono talmente musicali! Quelle in cui il linguaggio è più semplice poi, sembravano testi di canzoni. A me veniva spontaneo canticchiarle improvvisando una melodia che seguiva le parole. Oppure c’erano poesie che mi davano delle visioni musicali a prescindere dalle parole, come “Al cancello”, per esempio, o “L’assenza”, dove il testo era difficile da cantare ma le immagini talmente evocative e chiare!

Ci sono voluti diversi passaggi per arrivare a concepire un intero album a per realizzarlo ma una parte di questi 10 anni è stata anche di sospensione, per risolvere dei problemi di copyright (essenzialmente sui testi della Merini) che mi hanno poi convinta a scrivere nuove liriche per le canzoni. Inoltre tra il 2009 e la fine della stesura dell’album è nato mio figlio, sono tornata a vivere in Italia dopo qualche anno passato a Parigi, si sono ammalati i miei nonni e poi pian piano se ne sono andati… insomma la vita ha avuto i suoi tempi e i suoi passaggi e di tutto questo è rimasta una traccia profonda nelle canzoni.

Il tempo ha portato molti regali inaspettati!

 

Inoltre, vi ritroviamo un’assortita line-up tra cui identifichiamo (anche) esponenti del nostro milieu avant-garde. Magari vorresti introdurli?

Per il disco ho chiamato alcuni amici come la violoncellista Deborah Walker, con cui suono in duo da più di 15 anni, il chitarrista Domenico Caliri con cui non avevo mai suonato ma che conoscevo sia personalmente che per i suoi dischi, Edoardo Marraffa, sassofonista free di tanti progetti a partire dal collettivo Basse Sfere di Bologna, Enrico Lazzarini, contrabbassista ma anche autore di canzoni, Vincenzo Vasi, multistrumentista e cantante che qui compare al basso elettrico. Ci sono poi Caterina Romano al flauto e Jessica Colarelli al clarinetto, Valentina Malanot alla voce e Tiziano Popoli al pianoforte.

 

Ciò che più potrà colpire nel bilancio dell’album è il ricco e differenziato lavoro di orchestrazione.

È la genesi stessa di questo lavoro che mi ha permesso di immaginare tanta diversità, perché i brani sono nati per il disco prima che per essere suonati dal vivo e perciò non avevo una strumentazione fissa da seguire. Nel disco ogni pezzo ha una sua storia che viene raccontata anche attraverso i timbri che lo caratterizzano o le modulazioni, i cambi di atmosfera che lo percorrono. Ci sono molti archi ovviamente, ma anche fiati, sax, clarinetto, flauto e ottoni sia acustici che midi, chitarre elettriche, acustiche, slide, organi, tastiere, registrazioni di scale mobili, di un cuore che batte sotto i vestiti, di trottole giocattolo; ci sono glockenspiel e vibrafoni, una fisarmonica, un basso elettrico, la voce da sola, due voci femminili in controcanto, un pianoforte scordato e la registrazione d’archivio di una voce dadaista!

Tra le altre ispirazioni dell’album, l’iconico Franco Battiato (di cui si è prescelto il periodo iniziale – a mio giudizio il più onesto e credibile).

Il produttore dell’etichetta newyorkese Unseen Worlds pur essendo abbastanza giovane ha una conoscenza sorprendente e trasversale della musica ed è lui che ha sentito in alcune canzoni di “Mi specchio e rifletto” delle suggestioni sonore che lo hanno riportato alle sperimentazioni del primo periodo di Franco Battiato. Non solo: ha citato un album prog di Caterina Caselli, Primavera, che io ho scoperto grazie a lui! Forse quello che gli ha ricordato il suono di Battiato è in particolare la libertà stilistica tra un brano e l’altro, un certo modo quasi di raccontare il testo, in cui la musica segue la parola che guida la melodia, e forse anche pezzi come Domina che usa archi midi dal sapore elettronico o …e non volevi le ali che è un breve pezzo di musica concreta.

Detto questo ho sempre provato interesse per la musica di Franco Battiato e secondo me ogni periodo ha le sue perle, non solo il primo.

 

Fruttuosa collaborazione con l’Ensemble Daedalus, sfaccettata realtà nell’avant-garde europea.

Dedalus è un ensemble francese a formazione variabile che raccoglie musicisti francesi e italiani uniti dalla passione per la musica contemporanea di ricerca. Il gruppo si è formato nel 1996 ed ha all’attivo collaborazioni con compositori come Christian Wolff, Michael Pisaro, Tom Johnson, Catherine Lamb, Sébastien Roux e tanti altri. La caratteristica principale del gruppo è di scegliere o commissionare musiche a strumentazione aperta che poi l’ensemble arrangia collettivamente facendo un lavoro molto accurato sul suono, acustico o elettroacustico. Siamo in tutto 13 musicisti ma a seconda dei progetti il gruppo è più o meno numeroso. Io sono entrata nel 2006, quando mi sono trasferita a Parigi.

 

Come, secondo te, comunicano i differenti “generi” (posto che il tuo album sembra aver trasceso la questione)?

La comunicazione tra generi musicali è spesso un grosso problema. Le esperienze musicali degli scorsi decenni e la facilità che oggi abbiamo ad accedere a tantissima musica diversa tramite il web potrebbero idealmente liberare i musicisti e il pubblico dalle settorialità e dalle scelte unilaterali d’ascolto e invece le chiusure sono forti, il desiderio di riconoscersi e di identificarsi in un certo suono e non in altri, di appartenere ad un’etichetta (jazz, rock, pop, classica, trap, elettronica, etc. etc.) sono forse più forti che in passato. Questo è un problema secondo me, perché non ascoltare la musica nelle sue diverse espressioni le toglie il potere di cambiarci, di aprirci all’inaspettato, di portarci fuori da noi stessi e di offrirci la sua grande ricchezza. Far comunicare i generi per me come musicista si traduce nel non cercare di riprodurre qualcosa che già ho sentito e conosco ripetendone le forme e i suoni, ma lasciarmi attraversare da tutto, senza rifiutare le idee e le intuizioni che mi portano apparentemente “fuori stile”. Rimanere aperta a cogliere un’idea sonora che non avevo previsto e che probabilmente è frutto anche di memorie musicali uscite chissà da dove, chissà da quando, che si ripresentano filtrate da una diversa esigenza espressiva, con una forma nuova.

Nell’album la canzone Domina è stata un’esperienza singolare di questo processo: l’ho sognata così com’è una notte del 2010 e al risveglio mi suonava proprio strana e lontana dai miei gusti e dalla musica che mi piace ascoltare. Prima di uscire di casa ho registrato velocemente sul computer le due linee vocali e non ci ho più pensato. Nei giorni successivi le ho riascoltate e ho ripensato a quel suono da pop elettronico di altri tempi che le accompagnava nel sogno e ho iniziato a lavorarci con strumenti midi. In pochissimo tempo avevo ricostruito il pezzo e lo trovavo sorprendente! Non mi sarebbe mai venuto in mente di scrivere un pezzo così!

 

Nella Tua arte sembra vi sia il concorso di elementi extra-musicali, tra cui la gestualità.

Il gesto è necessario alla creazione artistica, ne è la parte esecutiva, quella che materializza l’idea. Per me il gesto inteso come gesto sullo strumento, il gesto musicale, si è rivelato un grande stimolo creativo per trovare dei suoni nuovi, dei fraseggi, delle idee non convenzionali. Lo considero da un punto di vista quasi da danzatrice, o da percussionista, perché il violino è uno strumento molto esigente che richiede, almeno nell’apprendimento classico, un grandissimo rigore gestuale: l’arco deve scorrere dritto, parallelo al ponticello, in una frazione precisa della corda, le dita devono toccare le corde con estrema precisione perché il suono sia intonato etc. etc. Io ho iniziato diversi anni fa ad esplorare quello che non si dovrebbe fare con lo strumento (curvare i gesti dell’arco in tutti i sensi, suonare molto lontano dal ponticello o dietro di esso, sfiorare le corde con le dita evitando l’intonazione temperata, percuotere o strofinare il corpo del violino ecc) ed ho scoperto che ogni deviazione dalla norma apriva delle possibilità sonore diverse, più o meno interessanti ma che ricordavano più da vicino la voce parlata, l’elettronica, oppure suoni di altri strumenti.

Ho chiamato “gesti contraddittori” quei gesti strumentali che contraddicono appunto l’uso convenzionale del violino ma anche la stessa finalità della sua struttura fisica, come l’uso dell’arco curvo e i fraseggi parlati.

Lo stimolo iniziale me lo ha dato la musica contemporanea e sperimentale che ho suonato come interprete e che contiene la maggior parte delle tecniche che io utilizzo, ma ce ne sono alcune, alcuni suoni, che almeno io non ho trovato altrove espressi come col mio violino.

 

Istinto vs Strategia (o performance vs composizione).

Penso che ogni musicista abbia un suo speciale equilibrio tra istinto, sensibilità, intuizione e, col tempo, esperienza. Io sono una persona emotiva e sento forte l’emozione del palco ma anche la dimensione privilegiata di poter esserci e portare la musica al pubblico e di condividerla con altri musicisti. Mi piace la dimensione del concerto, è potente, è uno dei pochi riti catartici collettivi che resistono nella nostra società. Della composizione ho un’esperienza molto più limitata fin’ora e l’ho praticata come un terreno di gioco e di sperimentazione personale, senza la tensione di dover dimostrare qualcosa o con delle scadenze, come invece succede ai compositori di professione.

Ora per esempio sto lavorando ad un progetto che si intitola “Metodo scientifico sperimentale” in cui verifico delle idee, rispondo a delle intuizioni musicali, attraverso delle esperienze sonore e di composizione di cui non posso prevedere a priori il risultato finale.

Qualcosa di simile ma più strutturato lo stiamo sviluppando anche con la compositrice canadese Cassandra Miller, con cui abbiamo un rapporto di amicizia e collaborazione artistica da diversi anni.

 

Più Apollo o più Dioniso?

Più Persefone, sei mesi sottoterra e sei mesi in superficie, vivendo il ciclo creativo dai due punti di vista! Riconoscere che i semi e le radici crescono sottoterra, al buio e di nascosto, per poi manifestarsi fuori ed esprimersi alla luce del sole con delle forme sorprendenti!

 

Un antico motto: “Musica, medicina mentis”.

Concordo! La musica cura, scioglie i nodi, consola e talvolta guarisce ma … non deve sapere di medicinale!!!

 

 

Come valuti il valore (e il tuo eventuale investimento) circa le piattaforme digitali – vendita inclusa – e la diffusione via social?

Mi sembra scontato dire che la diffusione via social aiuta a far conoscere a tante persone in tutto il mondo dischi e progetti che non partono con produzioni “forti”, con etichette influenti che possono investire nella presenza in radio, in TV e nei media dei propri artisti. In questo senso è una rivoluzione, perché fino a pochi decenni fa non sarebbe stato neppure immaginabile. Il rovescio della medaglia è la velocità con cui tutto passa, forse inevitabile per via della mole di progetti, idee, dischi che vengono prodotti e a cui abbiamo un seppur fuggitivo accesso.

Per poco che ci si metta per fare un disco occorrono diversi mesi e molto lavoro e credo che, con la rapidità con cui si fruisce la musica oggi, questo non sia capito. Penso che la maggior parte di chi ascolta possa dare per scontata una facilità che non esiste.

 

Ci avviamo all’epilogo con la tua intestazione “Silvia Tarozzi è musicista”, che prendiamo a spunto per chiederti un Tuo attuale bilancio sul “mestiere” dell’Artista.

Ci sono tanti mestieri dell’Artista e mi sembra che riconoscere e imparare il proprio sia il primo passo per chi sceglie di diventare musicista. Ci sono talmente tante strade possibili e talmente tante altre illusorie. Credo che sia importante restare aperti a ciò che succede al di là dei confini del proprio mondo, sia musicale che geografico. Varcare i confini può essere fondamentale per trovare il proprio linguaggio espressivo. Alcuni non ne hanno bisogno e lo trovano “in casa” e questo è meraviglioso, ma siccome la maggior parte delle persone non conosce molto altro se non quello che le mode e i media ci offrono da ascoltare può essere importante uscire e scoprire altre esperienze.

 

…una risposta (o un aforisma) a piacere.

Un adulto chiede ad un bambino: Che ora è?

Il bambino risponde: Decidi te!

Forse c’è stata un’incomprensione, o forse due direzioni di pensiero diverse si sono incrociate con una buffa sincronia. Eppure il risultato è inatteso e illuminante, e sorprende più l’adulto che il bambino. Io mi sento nella musica come quell’adulto, che pone le domande e quando riceve una risposta così può far nascere qualcosa di buono.

… ne siamo appagati.

 

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Silvia Tarozzi