SERENA “Welcome to Wasteland” è l’ep d’esordio della giovane cantautrice e produttrice italiana a Londra

    Un viaggio fisico e metaforico nella terra delle opportunità “sprecate” attraverso sonorità deep dark indie.

    Serena ha deciso di intitolare questo Ep “Welcome to Wasteland” poiché sentiva che la parola  “Wasteland” rappresentasse tutte le tracce che compongono la raccolta. È anche nella prima riga della canzone di apertura “Welcome to Wasteland”, che suona molto come un “benvenuto nel mio mondo personale”, un viaggio che l’ascoltatore sperimenterà ascoltando l’Ep.

     

    «Per molto tempo sentivo di aver scritto questo gruppo di brani inevitabilmente legati tra loro, ma non sapevo come sintetizzare questo rapporto. Poi un giorno capii, quelle canzoni così diverse tra loro, avevano come filo conduttore  la sperimentazione e la ricerca, di un suono ma anche di se stessi. Sono il dolore, la gioia, l’avventura, la paura di avere vent’anni e seguire i propri sogni mentre si cerca di diventare la persona che si è sempre voluto essere». Serena

     

    “Waste-Land” è il pianeta inquinato in cui viviamo, con gli oceani coperti per metà dai nostri rifiuti, come l’artista denuncia in Wild Lavender.

    “Inutile” è come Serena si sente dentro, in uno dei suoi momenti più bui di depressione, quando l’unica cosa che poteva fare era sperare di essere portata via dalla tempesta di vento, volare alto nel cielo e non tornare mai più (Ophelia).

    “Waste-land” è la terra delle “opportunità sprecate”, cose che sarebbero potute accadere ma non sono mai accadute, a parte negli scenari immaginari nella sua testa (Streetlights).

    Wasteland è anche il viaggio metaforico e fisico che Serena ha fatto appena compiuti 20 anni, trasferendosi dall’Italia agli USA, per cambiare vita, e poi ancora  dagli USA al Regno Unito per ricominciare tutto da zero pur di inseguire i suoi sogni.

    Inoltre Wasteland rappresenta i 20 anni della cantautrice, con le difficoltà e i dolori, le battaglie, le vittorie e le sconfitte, un rito di passaggio a quel territorio sconosciuto chiamato “età adulta”.

     

    TRACK BY TRACK

     

    Wild Lavender «Era l’autunno del 2016 e ero rimasta sotto shock nel leggere le notizie riguardanti la “Standing Rock Protest”, una protesta molto lunga e sofferta dai Nativi Americani, poiché il governo degli Stati Uniti voleva costruire un oliodotto su uno dei loro siti sacri, in una delle Riserve Nazionali. La protesta è stata piuttosto brutale e non ha avuto molta copertura mediatica. Parallelamente a questo Trump era all’apice della sua campagna politica e stava spaventando il mondo con affermazioni senza senso come “il cambiamento climatico non esiste”.

    Mi sentivo incredibilmente arrabbiata, sola e impotente. Così arrabbiata da non poter semplicemente “cantare una canzone”, così ho deciso di recitarla.

    Con questo brano volevo destare nel pubblico un senso di disagio e perturbazione iniziale che si traducono in una realizzazione dello stato delle cose in cui viviamo, sperando in una chiamata all’azione dal parte del singolo individuo. Non importa quanto grande ti sembra l’apporto delle tue azioni rispetto alla scala del problema, a lungo andare l’ammontare di tutte le tue piccole azioni risulterà in una grande azione e conseguente parte del tanto desiderato cambiamento».

     

    Ophelia «La canzone parla dell’eccezionale tempesta di sabbia chiamata “Ophelia” che qualche anno fa trasformò il grigio cielo di Londra  in un caldo tono arancione. Le due strofe nella canzone sono una sorta di flusso di coscienza dove descrivo i luoghi toccati dalla Tempesta, prima di incontrarmi. Ma non c’è tempo per fermarsi, il vento non si ferma mai, quindi i ritornelli sono il mio inaudito desiderio di essere portata via dalla Tempesta, lontano dai miei problemi, in cielo, sopra tutti e tutto. Ma è davvero lassù la soluzione? E se il cielo fosse proprio come qui, rumoroso e inquinato?

    Scritta in un momento abbastanza critico per via della mia salute mentale, Ophelia è un grido d’aiuto per via della situazione che stavo vivendo, ma anche una riprova del fatto che ci saranno sempre “uragani inaspettati” nella nostra vita che non possiamo controllarli come ci pare e piace, ma sta a noi fare del nostro meglio ad imparare a proteggerci da essi prima che sia troppo tardi.

    Vorrei trasmettere in chi ascolta il brano un senso di disorientamento, incapacità, disperazione, che sale in un crescendo quasi infinito. Ma quando meno te lo aspetti arriva la liberazione, il momento in cui capisci che l’uragano fuori di te e tale e quale a l’uragano dentro di te, non c’è motivo di scappare, ma di ballare nell occhio del ciclone».

    Mind the Gap «Questo brano è in realtà l’introduzione di Streetlights. Nata durante le performance live come momento di gioco e sperimentazione con i suoni campionati della metro di Londra, ho deciso di lasciarla come traccia a parte nell’Ep, un sorta di intervallo strumentale prima del gran finale.

    Non a caso il titolo è un gioco di parole tra l’omonimo annuncio dell’Underground londinese e lo “spazio vuoto” (=gap) tra una canzone l’altra». 

     

    Streetlights «Per un anno e mezzo sono stata follemente innamorata di qualcuno non disponibile (era in una relazione da più di 10 anni). Era nel mio gruppo di amici quindi era inevitabile vederlo ogni giorno o ogni volta che si usciva. Molte notti sono tornata a casa da una festa / serata fuori, da sola, piangendo per strada, sotto la luce dei lampioni, desiderando che fosse successo qualcosa tra di noi.

    Avevo così poco amore per me stessa che pensavo di meritare l’amore di qualcuno così annoiato della sua stessa relazione che voleva solo attenzioni da parte mia.

    Era arrivato il momento di dire basta a tutto ciò e affrontare la vera persona situazione da cui stavo scappando. E il primo passo verso quella direzione era prendere il cappotto ed andarsene da quella festa non poi così bella e tornare a casa, dove ci sarà sempre quella persona che sarà lì per te, a braccia aperte: te stessa».

    Autoproduzione

    Release album: 11 giugno 2021

     

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    BIO

     

    Serena è un’artista indipendente italiana che vive e lavora a Londra. Cantante, autrice e produttrice muove i primi passi nel mondo musicale prendendo lezioni di canto e chitarra, ma sin da bambina, la sua vera passione è scrivere canzoni, come il suo idolo Patti Smith. 

    Dopo le prime date in Italia si trasferisce a Londra per studiare canto e composizione creativa al British Institute of Modern Music. La vivace e cosmopolita scena londinese le rivela nuovi orizzonti musicali, spingendola a sperimentare nuove sonorità ed espressioni creative modellando quello che poi diventerà il suo caratteristico sound, Deep Dark Indie

    In questi anni Serena si avvicina al mondo della produzione musicale, scoprendo una vera e propria passione oscillando fra un’indole impetuosa e una natura sensibile.

    Nelle perfomance dal vivo, invece, continua a fare sintesi fra cantautorato, energia rock e delicati synths elettronici.

    Serena si è esibita su diversi palchi della capitale inglese, tra cui l’O2 Academy Islington, The Trobadour, il Notting Hill Arts Club, il London Coffee Festival.

    Ha co-scritto il club anthem “Leave it” con l’artista Andrea Di Giovanni, che si trova nell’album di debutto “Rebel”.