ROOTS MAGIC | Take Root Among The Stars

ROOTS MAGIC
Take Root Among The Stars
Clean Feed Records
2020

Nel loro campo i Roots Magic sono tra le più belle realtà della scena jazz tricolore e non solo. Il nuovo terzo album “Take Root Among The Stars” amplifica e aggiorna, come meglio non si potrebbe, la peculiare formula già veicolata e apprezzata nei precedenti lavori “Hoodoo Blues & Roots Magic” (2015) e “Last Kind Words” (2017). La strategia guida è, infatti, sempre quella di fondere il verbo blues più arcaico e primitivo con gli schemi e i modelli più vibranti e vivaci dello spiritual free e della Great Black Music in generale.

 

Stavolta a fare la differenza nel sistema sonoro del progetto è la scelta d’innestare parti e arrangiamenti originali nei temi di otto composizioni estrapolate dal songbook di altrettanti autori diversi, alcuni dei quali già ripresi nella coppia d’album antecedenti. Secondariamente, al quartetto base composto da Alberto Popolla, Errico De Fabritiis, Gianfranco Tedeschi e Fabrizio Spera si affiancano i colori strumentali di Eugenio Colombo e Francesco Lo Cascio, ospiti d’eccezione in un paio di tracce tra le più sensazionali del disco.

“Take Root Among The Stars” (titolo pescato tra le pagine di “The Parable Of The Sower”, romanzo fantascientifico della scomparsa scrittice afromericana Octavia Estelle Butler) mette subito l’ascoltatore sugli attenti proprio con una di queste due tracce, l’iniziale Frankiphone Blues del trombettista e polistrumentista Phil Cohran, dal 1959 al 1961 membro dell’Arkestra diretta da Sun Ra e inventore di un singolare strumento elettricamente amplificato derivato da mbira e kalimba, denominato appunto frankiphone. Facile intuire, a questo punto, il clima esotico e orchestrale del brano in questione, trascinato dal timbro battente e guizzante del vibrafono di Lo Cascio come anche dai fraseggi arguti e sottili del flauto di Colombo.

Inizialmente cauto e ancestrale, il passo della successiva Humility In The Light Of Creator (di Maurice McIntyre alias Kalaparusha, scomparso sassofonista membro dell’AACM che nei suoi ultimi anni s’era buttato a suonare in strada e metropolitana) si muta in un frenetico e scomposto assalto d’ance, corde e tamburi mentre Devil Got Woman (di Skip James) richiama gli ospiti in organico per declinare atmosfere brillantemente ondivaghe in chiave Art Ensemble Of Chicago; armonie dapprima regali e processionali, poi stridule e viscerali, smorzate all’improvviso da una coda morbosamente tribale e rituale.

Proseguendo troviamo la scalmanata e danzante gioia di Still Screaming For Charles Tyler, medley che ingloba Cha Lacy’s Out East e Man Alone del fenomenale sax baritono partner di Albert Ayler; il lirico avanguardismo di A Girl Named Rainbow, spartito inedito di Ornette Coleman riesumato nel 2010 dal quintetto di Andrew Cyrille con l’album “Special People”; il maniacale e irresistibile motivo di Mean Black Cat Blues del venerato Charley Patton; il febbricitante e scapigliato passo blues di When There Is No Sun, intrigante rilettura di un Sun Ra meno extraterreste, mentre più aderente all’introspettiva veste originale sembra essere Karen On Monday, ennesimo omaggio al formidabile clarinettista texano John Carter.

Mi sono dilungato nel citare e segnalare ogni brano perché il disco è davvero fantastico, dal principio alla fine. Ascoltarlo in modo disimpegnato o in guisa di semplice sottofondo mi pare impossibile. L’opera ha il magico potere di calamitare l’attenzione e invadere il quotidiano domestico. Difficile opporre resistenza al suo ricco portato di energia, al suo incredibile modo di gettare ponti tra passato e presente. “Take Root Among The Stars” istiga al movimento, a farti battere il piede, a portare il ritmo con uno schiocco delle dita, a inventare coreografie danzanti immaginando d’essere sulle rive del Mississippi o in qualche lontano villaggio africano.

Che dire poi dei musicisti? Ognuno nel suo ruolo e con il proprio strumento appare perfetto, efficace nel dialogo come nel monologo. Con le tonalità alte e gravi delle loro ance Popolla e De Frabritiis congegnano vortici, fraseggi e contrappunti che richiamano situazioni d’alta scuola. Con Tedeschi e Spera la sezione ritmica scandaglia il tempo in modo urgente, pulsante e chirurgico, sottolineando la qualità basica, misteriosa e anche esistenziale di questo repertorio. In “Take Root Among The Stars” la personalità e la compattezza del quartetto romano sono alquanto evidenti. Auspicabile, a questo punto, che si getti il cuore oltre l’ostacolo, per darci in futuro un album altrettanto bello di soli brani originali.

Voto: 8/10
Genere: Free Jazz / Blues / Creative Music

Musicisti:

Errico De Fabritiis – alto sax, baritone sax, harmonica
Alberto Popolla – clarinet, bass clarinet
Gianfranco Tedeschi – double bass
Fabrizio Spera – drums, percussion, zither
Eugenio Colombo – flute, bass flute #1, 3
Francesco Lo Cascio – vibraphone, gong #1, 3

Tracklist:

01. Frankiphone Blues
02. Humility In The Light Of Creator
03. Devil Got My Woman
04. Still Screaming For Charles Tyler
05. A Girl Named Rainbow
06. Mean Black Cat Blues
07. When There Is No Sun
08. Karen On Monday

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