Arriva al centro del discorso, al punto focale, all’essenza e non all’effimero. Roberto Sarno ristruttura la sua voce ed il suo suono in questo bellissimo “Prova Zero”, primo grande lavoro personale in cui restituisce voce ad alcuni dei suoi più grandi brani composti e realizzati negli anni al seguito di progetti paralleli. E questa volta chiama a sé Marco Mafucci colorando il tutto con un sapore intimo e introspettivo, di chitarre elettriche, acustiche, suoni campionati, un sax, un pianoforte. Cosa manca se non “il tempo che brucia sull’asfalto” che ci serve per dedicarci all’ascolto e all’immersione? Un disco che omaggia anche quel Motta di cui tanto si parla ed è interessante vedere come un brano come “Abbiamo vinto un’altra guerra” divenga un brano “di Roberto Sarno” nel mood e nella sua veste spirituale. Soluzioni che rischiano fortemente di ripetersi e di reiterarsi in un disco che non cerca la rivoluzione ma la difende dalla omologazione. È se stesso… non altro… è libertà.
Nuovo disco… anzi vecchio… passate canzoni con una voce nuova. È un nuovo o un vecchio disco per te?
Le canzoni erano già edite, ma considero questo lavoro un punto di partenza in assoluto. C’è voluto più di un anno di studio con Marco Mafucci per spogliare dalle vesti del passato i pezzi selezionati. È stata la ricerca di un mood che funzionasse dal vivo per essere suonato in due, che mi ha portato alla scoperta di una nuova pasta sonora, un tessuto da amalgamare all’essenza primordiale di queste canzoni.
Perché lo hai chiamato “Prova zero”? Cosa hai iniziato a cercare?
Mi sentivo impantanato nelle sonorità tradizionali, in tutte quelle cose che avevo sentito, amato e che in qualche modo avevo tentato di rielaborare o riprodurre. Non riuscivo a schiodarmi da lì, a dare un’impronta che fosse solamente mia. Obiettivamente non sta a me dire se con questo album ci sono riuscito, ad ogni modo questa è stata la ricerca in cui mi sono adoperato.
Un disco che hai voluto definire essenziale. Di cosa avevi bisogno? Di ritornare alle piccole cose? Alla verità?
Ho avuto bisogno di non perdere queste canzoni, di raccoglierle, di fissarle in una veste uniforme e più coerente con la loro intimità. Questo processo si è svolto attraverso la ricerca di un carattere sonoro più personale; un’espressione che volevo raggiungere prima di tornare a scrivere nuovi pezzi. L’essenzialità di questo disco sta nel tentativo di estrarre e concentrare l’emotività di queste canzoni nel loro contenuto primitivo.
Di tutta la carriera come hai scelto i brani? Cosa hai dovuto lasciare fuori?
Abbiamo registrato più del doppio dei pezzi che poi sono entrati nell’album, tutti quanti erano una selezione tratta dalle ultime tre pubblicazioni dal 2009 ad oggi, dai dischi con i Quigoh fino a “Endorfina”. In Prova Zero sono rimasti quelli che a mio giudizio risultano essere i più coerenti tra loro, sia per il significato delle parole, sia per le atmosfere sonore…non lo so, forse alla fine sono solo quelli a cui tenevo davvero di più!
E nel riascoltare il tutto ti sei accorto di aver dimenticato qualcosa per strada? Qualche canzone che invece dovevi inserire?
Probabilmente se avessi voluto fermare ancora il tempo avrei potuto trovare soluzioni più efficaci per qualcosa a cui tengo ancora molto e che invece ho escluso, ma credo che a volte sia importante imporsi delle scadenze. Soffermarmi ancora qui non mi avrebbe consentito di evolvermi ulteriormente, di affrontare una nuova vena che ha già voglia di esplodere. Pertanto va bene così, ciò che è dentro “Prova Zero” è una buona sintesi di quello che volevo.
Dal vivo questo disco suona come lo hai pensato o stai già lavorando ad un’altra veste? Magari la prova uno…
La forza del live di questo disco sta proprio nella formula con la quale è stato ideato il progetto. Sono molto gratificato dal fatto che ogni volta che esco ho dei riscontri positivi, non mi era mai capitato così tanto. Penso di essere sulla strada giusta, sembra che le scelte fatte siano risultate efficaci. Adesso non resta che evolversi ancora, ma voglio farlo con materiale nuovo.
Di tutto il progetto risalta un approccio lo-fi. Per chiudere vorrei parlare di questo, dai video alla produzione… perché?
L’approccio di basso profilo è stato una scelta stilistica all’origine, un veicolo che ho usato per avvicinarmi all’essenza di cui abbiamo parlato all’inizio. Talvolta ho voluto usare anche delle sonorità di disturbo o dei filtri per esasperare questo aspetto. Mi piace usare le apparecchiature, dai pedali analogici ai plugin o ai campionamenti dei programmi digitali più avanzati, come se fossero degli strumenti musicali veri e propri. Ormai molti fanno dischi con dei sample che si trovano nel web, da librerie di programmatori sconosciuti. Io vorrei conservare la libertà creativa di produrre ciò che suono, anche se in modo alternativo.