RITA ZINGARIELLO | Pittrice di parole e di suoni

Un nuovo lavoro di inediti per Rita Zingariello intitolato “Il canto dell’Ape”. Un disco di complicità con se stessa e di confessioni, di osservazioni, di belle sensazioni, di intimità. La cantautrice pugliese porta il colore felice e vivace della sua scrittura in un disco ottimamente prodotto con dei suoni compositi e assai ricchi di personalità. Bellissimi gli arrangiamenti che vestono la scrittura di etnie diverse, di quel fascino che somiglia ad un giocattolo di legno ben curato per il bambino o ad un vaso di fiori colorato sul davanzale, dietro le tendine, a due passi dal mercato e dal grande fiume. C’è tanto di lei e delle sue “piccole cose”, c’è la bella canzone d’autore italiana che ogni tanto, oggi in particolare, la smette di fare soltanto rumore e torna ad inseguire parole meno scontate. Non dico poetiche ma almeno sforzarsi è un dovere, crediamo noi. Riuscirci poi è un traguardo assai ambizioso. “Il canto dell’Ape” porta a casa un bellissimo risultato di visioni popolari, dove il popolo non è quello delle grandi metropoli mainstream, ma quello che stiamo perdendo delle antiche tradizioni rionali. Un buonissimo ascolto.

 

 

 

Un disco che in Italia ci resta poco, artisticamente parlando (mi riferisco soprattutto all’estetica delle canzoni). Perché secondo te?

Perché sono una persona curiosa che difficilmente resta e più facilmente si muove attraverso una linea definita e possibilmente molto curva.

Il mio rapporto con la musica si è sempre mosso nelle direzioni più disparate e nei vari periodi della mia vita mi sono avvicinata a più generi fino a raggiungere un mio personale stile, restando in Italia soprattutto per gli ascolti legati alla musica d’autore di qualche decennio fa e spostandomi più recentemente oltre i confini nazionali della musica pop.

 

E dovendo girare il mondo, qual è il posto dove vedresti ben collocate le tue liriche e le tue scritture?

Mi immagino avvolta tra i profumi di piccoli quartieri europei, Spagna, Francia, Portogallo.

 

Cosa ti ha spinto a raffigurare l’Ape come paragone di vita?

L’amore per la natura e per la semplicità che diventa operosità.

Amo chi costruisce da solo il proprio alveare, chi si dà da fare partendo dal basso e non si lamenta, chi senza urlare riesce a far sentire la propria voce e a farsi seguire nella scalata.

Ho osservato e amato l’ape regina così come le api operaie che con il miele in bocca sono pronte a colpire chiunque minacci la loro pace (si tratti anche una minaccia tanto più grande di loro).

Dolcezza e coraggio insieme insomma.

Anche l’Ape è una delle tante “piccole cose” che ami? Metaforicamente parlando…

Le piccole cose possono cambiare molto lentamente abbassando il rischio che un eventuale successo tanto quanto un insuccesso possano dare alla testa. L’ape, un insetto così piccolo, ha il grande potere di farci capire quanto di buono c’è nell’ambiente in cui sceglierà di operare. Nel mio piccolo sento di avere il grande potere di riconoscere attraverso la musica quanta bellezza mi circonda in un preciso momento e in un preciso spazio e in base a quello decido se fermarmi o procedere verso altri fiori.

 

Per chiudere: in questo disco c’è tanto suono naturale, che oggi sembra essere una novità. Come hai incontrato e sposato la produzione artistica di questi brani?

Ho deciso di coinvolgere nella produzione di questo album quelle figure artistiche che ho incontrato e stimato in questi anni.

Ho scelto di produrre l’album nella mia terra, dove in alcuni angoli si respira ancora genuinità e ho sentito di restituire quella stessa naturalezza ad un disco dove prevalgono i suoni acustici strizzando l’occhio alla modernità, quasi a voler dire che sono perfettamente consapevole di quello che mi accade intorno ma non potrei fare a meno di quei suoni naturali che tanto mi fanno sentire a casa:)