Si distingue anche quest’anno il Padova Jazz per una programmazione sempre ricercata, originale, elegante, che non tralascia la sperimentazione, il tutto nelle ormai consolidate location dell’Hotel Plaza e del Teatro Verdi.
Giovedì 18 novembre, tra i due set della band di Alessandro Fabbri all’Hotel Plaza, il Teatro Verdi ha presentato un originale spettacolo multimediale.
“Pianocorde” di Alessandro Fabbri, nella sua assortita composizione nata dall’unione del suo trio jazz con il Quartetto Archaea, ha dato prova con energica originalità della possibilità di inventare un linguaggio che, pur rispondendo ai gusti del jazz europeo, può ancora sperimentare e proporre un’alternativa non astrusa o concettuale alimentando così un dialogo osmotico tra scrittura e improvvisazione solistica.
Uno dei maggiori apici artistici di questo festival è stato toccato dalla band di Dave Douglas, Keystone, che in collaborazione col regista Bill Morrison ha realizzato un percorso multimediale impegnato e profondo. Il film di Morrison, “Spark of being“, è una rivisitazione di Frankenstein di Mary Shelley. Si divide in capitoli che raccontano tutta la storia, nella quale però F. non compare mai. Compare invece tutta la simbologia legata al suo personaggio, rappresentata con inquadrature e filmati “d’epoca” a tratti anche bruciati e mal ridotti o in forma di negativo fotografico. La rivoluzione scientifica si manifesta con la duplicazione cellulare proiettata in velocità con immagini telescopiche del primo ‘900 e tutta l’educazione del “mostro” passa attraverso immagini rappresentative dell'”amore romantico”, di momenti di festa, della vita familiare, fino all’unica immagine che nel pubblico ha probabilmente evocato lo splendido personaggio della Shelley, un’alienata figura solitaria che cammina senza meta nella brughiera. E la musica? Non si può dire che abbia accompagnato in sottofondo il film, perchè l’autonomia e l’originalità di pensiero hanno trovato una loro dimensione accanto al racconto filmato. I suoni dei Keystone, basati su elaborazioni elettroniche al computer, mescolano jazz, groove e musica ambient.
Un’altra chicca di questo splendido festival è nella serata di venerdì 19. Se non ci fosse stato qualcosa di meno convincente non sarebbe stato un Festival degno di questo nome.
Al Plaza, il duo “Apnea”, Max De Aloe e Bill Carrothers.
Al Verdi, il Gary Barton Quartet.
Apnea non è un lavoro che lascia col fiato sospeso. Lo toglie, purtroppo.
Il tono generale è melanconico, la sensazione particolare è che i due non si incontrino affatto nei loro soliloqui narcisisti riempiti di note di passaggio. Un’infinità di note a riempire i vuoti tra un’armonia e l’altra, infinite corse senza senso su triadi sciolte in quartine, per avere un alibi armonico. La performance migliore è stata quella del pubblico che ha educatamente sopportato anche un bis, in nulla differente dalla sequela di brani senza senso succedutisi per un’ora buona.
Altra storia al Teatro Verdi, con l’innovatore Gary Barton che, oltre ad aver suonato nella sua gloriosa carriera con Corea e Jarrett e lanciato Metheny, ha ispirato Miles Davis col suo nuovo modo di suonare il vibrafono. Quattro battenti invece di due, accordi complessi, mirabolanti architetture armoniche, rivoluzione insomma, nettamente percepibile in brani come “Light Blue” o “Mai allo stesso modo”, scritta dal contrabbassista e affidata alla fiammante esecuzione di Burton, ma soprattutto all’intesa del duo contrabbasso-batteria, credibile e coinvolgente.
Un consiglio in chiusura, non perdetevelo l’anno venturo.
PADOVA JAZZ 2010
15-20 novembre 2010
Teatro Verdi
Hotel Plaza