PIER BERNARDI | La rinascita comincia dal suono

Pier Bernardi. Bassista di professione. Bassista di carriera. Bassista di vita. L’arte e la composizione come unico filo conduttore in una storia personale che se pur ancora giovane è già ricca di traguardi e di collaborazioni. Ed è così, dall’istinto come dal caso che l’incontro e la contaminazione di grandi musicisti approdino oggi in un unico grande disco dal titolo “Re-Birth”. Oltre a lui, ovviamente, troviamo Ace degli Skunk Anansie, Micheal Urbano (batterista tra gli altri di Ligabue, Sheryl Crow etc.), un prezioso cameo di Davide Rhodes (a lavoro con Peter Gabriel) e Paolo Vinaccia e Roger Ludvigsen che troviamo nella struggente e malinconica composizione di lancio dal titolo Grace. Bellissimo anche il video che vi consigliamo di vedere. Un disco che parla di musica… dalla world fino alle sembianze urban, dalle metropolitane del mondo alla fusion di cocktail alto-borghesi. Pregiato ascolto che non va contaminato e mescolato nei ripiani dei tanti. Sono pregiate scritture. Non sono banali canzoni.

 

 

Che si nasconde dietro questa “rinascita”? Comporre è come rinascere ogni volta?

A volte si compone per esigenza personale, a volte per lavoro altre ancora per divertimento. Scrivere una canzone è sempre scrivere qualcosa di sé, ma non per questo assume i connotati di una rinascita. Dietro a “Re-Birth” e alla mia rinascita c’è e c’è stata la voglia di raccontare tramite la musica alcuni dei momenti più significativi della mia vita e delle persone che ne hanno preso parte. La rinascita non è solo una metafora, musicalmente sono rinato con questo disco perché ho fatto tutto quello che non avrei mai creduto di fare, cioè far parlare esclusivamente il mio basso ed il mio stile lasciandomi per sempre indietro tutto quello che è stato. È un punto di arrivo, ma anche di partenza per nuove esperienze e nuove avventure nella musica come nella vita.

 

Quanto mondo c’è dietro “Re-birth”? Sarebbe stato lo stesso se fosse nato soltanto dalle tue mani?

Le composizioni le ho scritte io, poi è vero che in studio tanto è stato stravolto, ma mai il senso che volevo dare ai brani.

Ace, Michael Giovanni e anche tutti gli ospiti che ci sono hanno dato il loro contributo, unico sicuramente, ma i brani non perderebbero di valore o intensità se li suonassi da solo perché in fondo è così che sono nati, “Grace” ne è un esempio. La persona che più ci ha influenzato nel lavoro è stato sicuramente il mio produttore Giovanni Amighetti oltre che per il suo ruolo per le ottime idee che ha avuto riguardo i brani. Mi ha però sempre lasciato libero, si è sempre fidato della mia musica ed è intervenuto deciso laddove sapeva che potevamo dare di più.

 

L’ho trovato anche un disco molto intimo… sei d’accordo?

D’accordissimo. Lo è decisamente. Come ti dicevo prima “Re-Birth” è un continuo riferimento alla mia vita, a come vedo il mondo, ai miei legami passati e presenti. È pieno di calore, ed è pieno di me. Nato dalla mie mani e dalla mia anima. “Re-Birth” è un disco coraggioso che, nonostante non usi parole, fa arrivare all’ascoltatore attento un mondo vero e proprio. È arrivato anche a te e questo mi rende molto felice.

 

Una domanda che mi incuriosisce sempre di fronte a composizioni strumentali: il significato e la vita che ti ha condotto alla stesura di un brano, non avendo testi e appigli concreti da dare ad un pubblico esterno al tuo vissuto, non pensi che possa arrivare deformato o totalmente lontano da quello che tu vuoi destinare al brano stesso? In altre parole: io ascolto un brano e ci vedo del mio… ed il tuo come potrei venirlo a scoprire?

È il secondo obiettivo che volevo raggiungere! La libertà interpretativa. È vero che per me “Re-Birth” ha significati ben precisi che ho spiegato nel track by track dell’album ma è un disco che si apre alla gente.

È fatto per le persone che devono essere i principali creatori di significato di questo disco.

Se a una persona “Grace” ricorda un’estate passata al mare mentre a un’altra un inverno di duro lavoro per me va benissimo, perché ho fatto centro!

Fare centro vuol dire per me trasmettere emozioni, sensazioni ed atmosfere che le persone interpreteranno ognuna a loro modo e questo fa sì che gli ascoltatori di “Re-Birth” siano potenzialmente innumerevoli proprio perché è un disco libero da significati precostituiti. Vuole essere un regalo a chi ascolta.

Domanda assai filosofica ma assolutamente pertinente ascoltando queste composizioni: è musica che hai scritto, che hai inventato o che in qualche modo hai semplicemente raccontato?

È musica che ho immaginato prima di tutto. L’avevo in mente, ma non era concretizzata. Dopo averla immaginata mi sono lasciato andare a ciò che sentivo e quindi l’ho inventata. Infine trasformandola in realtà ho raccontato qualcosa di reale, di mio, di molto intimo.

Direi che è sempre così per me quando decido di fare un disco, prima lo immagino, poi trovo le ispirazioni, anzi loro trovano me, ed infine a me il ruolo di tramutare il tutto in musica per gli altri e in qualcosa che li suggestioni.

 

Chiudo la chiacchierata pensando: hai mai scritto un brano senza prevederne il basso ed il suo supporto? Quantomeno qualche composizione di questo disco è nato da tutt’altra parte rispetto al suono di basso?

In “Re-Birth” è successo per I’m ready now, che non è nata da una mia idea ma da un’idea di Ace, è stato lui a partire io gli sono andato dietro e insieme a Michael e Giovanni abbiamo scritto il brano. Il basso lo ritengo essenziale nella musica, è quello strumento che, per il mio modesto parere, trasforma una canzone da bidimensionale a tridimensionale. Hai mai provato ad ascoltare una canzone togliendo tutte le frequenze basse? Prova! Otterrai una canzone che non ha profondità appena rimetterai i bassi sentirai che la canzone si apre diventa più profonda e prende dimensione.

È il motivo per cui adoro questo strumento e il motivo per cui ho scelto di studiare basso e non altri strumenti.  Una volta imparato il basso, però, mi è stato più facile imparare a suonare anche gli altri strumenti. Non perché il basso sia il più difficile ma perché dà una diversa prospettiva alle note. Non sta “lì sotto” da solo, ma crea il tappeto per tutti, dà spessore e dà ritmo come nessun altro strumento può fare.