Incontriamo Emanuele Sartoris, pianista e autore dell’album “Notturni”, un musicista jazz con un occhio particolarmente attento ai suggerimenti e agli stimoli rivenienti dello sterminato universo della musica classica o, piuttosto, un musicista classico che ammicca al mondo del jazz…
Direi che già la prima potrebbe essere una buona definizione. Sono un musicista. Un musicista che ama la sincerità dell’improvvisazione e che vuole avere a disposizione la miglior tecnica possibile per poterla esprimere.
Sempre di più critici ed ascoltatori s’immaginano per me un percorso inverso, quello di un musicista classico prestato al jazz. Sicuramente questo pensiero si presenta per il tipo di percorso discografico che ho intrapreso partendo da “I Nuovi Studi” passando per il “Totentanz” fino a questi “Notturni”.
In realtà, andando ad analizzare nel dettaglio, anche in tutti dischi dal linguaggio più jazzistico è presente, anche se con misure diverse, questa tendenza. Credo che la musica in qualsiasi genere non debba badare troppo ai confini. Gli unici generi ai quali è determinante prestare attenzione sono la buona musica e la pessima musica.
Quello verso la pessima musica è un confine dal quale prendere le distanze ma, nel resto, la divisione ferrea dei generi musicali è una delle tante etichette e classificazioni a cui, per sua natura, è tanto affezionato l’essere umano. A me sta bene finché indica e suggerisce una direzione, nel momento in cui diventa un imperativo non valicabile inizia a farmi venir voglia di superarlo.
Com’è facile intuire dal titolo, l’idea di Sartoris è stata quella di realizzare un progetto a cavallo tra jazz e classico e la sua scelta è poi caduta sul prendere ispirazione dallo stile compositivo di Fryderyk Chopin…
Come spesso mi è già capitato di dichiarare, non apprezzo troppo il fatto che la musica colta rimanga ferma a dove l’hanno lasciata gli autori originali, perché gli autori stessi, quando l’hanno scritta, non l’hanno pensata così. Prendiamo ad esempio lo straordinario libro “Chopin visto dai suoi allievi”. Durante la lettura di questo testo si rimane particolarmente colpiti da quanti abbellimenti e variazioni Chopin avesse scritto su ogni spartito a seconda di quale allievo si trovasse di fronte. L’autore di questi brani immortali si prendeva la licenza di variare costantemente i suoi testi oggi considerati territorio sacro non calpestabile da mortale alcuno.
Siamo certi, dunque, che tutti i grandi autori desiderassero questo per le loro creazioni? Che una volta scritte venissero catalogate in ordine e lasciate ferme al tempo in cui sono state ideate? Per qualcuno certamente si.
Ma del giovane Beethoven, che stravolgeva le partiture che a sua volta interpretava rendendole, talvolta, del tutto personali, cosa vogliamo dire? L’improvvisazione si sa, non è nata esclusivamente con il jazz. E allora bisogna aver coraggio di sfruttare tutte le possibilità che gli spartiti arrivati a noi possono regalarci. Anche l’idea che possano essere rinnovati con la vitalità dell’improvvisazione.
La scelta è caduta su Chopin perché, nel mio percorso di studi, rimane il genio per me del tutto insuperato. Amo tantissimi autori classici, posso raccontarvi che nel mio salotto, di fronte al pianoforte, viene venerata una trinità composta da Franz Listz, Alexsander Scrjabin e Fryderyk Chopin. L’effige di Chopin svetta più in alto di tutti, perché? Perché si Listz era tecnicamente insuperabile, ha ideato il concetto di musica a programma e poema sinfonico che è un qualcosa che a mia volta utilizzo a livello compositivo riguardo l’aspetto descrittivo dei miei brani. Sì, alcuni suoi brani sono un perfetto connubio tra tecnica ed espressione. E’ vero che Scrjabin per me è il genio creativo dell’innovazione armonica, il visionario che ha saputo guardare oltre il suo presente viaggiando nel futuro, ma mi commuovo davvero solo ascoltando Chopin e per questo, il suo quadro, sta più in alto degli altri ed è così non solo sulla parete ma anche nel mio animo.
Andiamo ora a vedere più in dettaglio, nei “Notturni” di Sartoris, quanto c’è di composizione originale e quanto invece di ispirazione attinta dagli insegnamenti di Chopin…
Direi che il disco è prevalentemente composto da scrittura originale. Sei brani portano la mia firma ed uno quella di Daniele (Di Bonaventura, n.d.r.). In questo disco il ruolo compositivo di Chopin si limita esclusivamente alla prima e all’ultima traccia. I Notturni di Chopin qui sono qualcosa che dà ordine e racchiude i nostri scritti. Forse desideravo solo che i miei notturni fossero benedetti da chi li ha ispirati, dall’autore che amo profondamente. Nei brani a nostra firma non è difficile cogliere il retaggio di Chopin, ma nell’intenzione più che nella scrittura stessa.
A proposito di Daniele di Bonaventura, compagno di viaggio di Emanuele Sartoris in questi moderni ”Notturni”, è stata abbastanza singolare la scelta di accompagnare al pianoforte il bandoneòn, uno strumento che rievoca subito fortemente la tradizione del tango argentino…
Il tutto è profondamente legato al suono personalissimo che Daniele ha con il suo Bandoneòn. Appena l’ho sentito ho pensato che fosse davvero ciò che avrei desiderato per i Notturni che stavo scrivendo.
Daniele è la quinta essenza del termine espressivo “Cantabile”, con il suo strumento possiede la voce di un cantastorie. Ogni nuova nota ti fa venir voglia di sapere come andrà a finire la vicenda che sta raccontando, Daniele è un grande della descrizione e sa benissimo che il suo strumento relegato esclusivamente al tango perderebbe un’intera gamma di possibilità espressive. Se vi capitasse di trascorrere una serata con Daniele, benché si tratti di una risposta che avrà dato un milione di volte, armato di pazienza e sincero entusiasmo alla domanda “da dove nasce il bandoneòn?” vi racconterebbe sicuramente l’origine tradizionale legata alla Germania e al suo essere uno strumento nato per accompagnare le funzioni religiose in chiesa, siamo molto lontani dal tango.
Vi invito a cercare quanto sia ancestrale e ricco di storia e tradizione il bandoneòn, anzi, vi auguro di sentire Daniele di Bonaventura in persona che vi racconta questa storia. A questo punto nessuno si sorprenderebbe più dell’accoppiata pianoforte e bandoneon.
L’universo della musica classica è, per sua natura, più strettamente legato alla partitura e, in un certo senso, più vocato al rispetto più rigoroso dell’intenzione dell’autore. Nei “Notturni” di Sartoris & Bonaventura c’è un valore aggiunto che è dato dall’improvvisazione…
La risposta è semplice. Preferite sentir raccontare sempre, giorno dopo giorno, la stessa storia – per quanto bella e ben congeniata che sia – o preferite che la stessa storia venga variata ogni volta con il rischio anche che magari diventi qualcos’altro? Magari qualcosa di anche più bello rispetto all’originale? Io ho sempre desiderato cose diverse, anche con il rischio che, ogni tanto, possano essere storie che non mi piacciono, a patto però che siano sincere e raccontate con passione e personalità.
L’interpretazione ha dei limiti evidenti, corre sempre sullo stesso binario. L’improvvisazione è un discorso nuovo che può scegliere anche di non seguire per nulla la via originale; a mio avviso l’idea che anche l’ascoltatore scopra sul momento cosa sta per raccontare l’esecutore, e che sia qualcosa del tutto nuovo, rende il racconto onesto e realmente espressivo. Ecco qual è il valore aggiunto.
Ora che, grazie al senso di accresciuta sicurezza che l’uso dei vaccini e dei “green pass” stanno offrendo al pubblico e agli addetti ai lavori e il momento di difficoltà legato alla pandemia sembra circoscritto, sentiamo le impressioni di Sartoris riguardo alla ripresa delle attività “live” e tentiamo un primo bilancio della stagione estiva appena conclusa.
Quello che si spera per davvero è potersi lasciare al più presto alle spalle pandemia, “green pass”, posti contingentati e soprattutto il distanziamento sociale.
Le cose si sono fatte ancora più difficili per l’arte, un campo che già di suo era martoriato e mortificato prima della pandemia e che durante l’emergenza sanitaria è stato messo in terzo piano e a tratti abbandonato.
Io penso che sia necessario non dimenticare che l’Italia dovrebbe invece vivere esclusivamente di cultura, che dovrebbe permettere che il ramo artistico possa essere il settore rigoglioso e di ripartenza da poter sfoggiare rispetto al mondo intero. Fino a quando si penserà alla cultura come a qualcosa di secondario si starà togliendo investimenti da qualcosa di fondamentale per l’umanità. Le scoperte scientifiche sono fatte di arte idee e creatività, l’umanità è vincente nella sua capacità di esprimersi e l’arte è una delle più profonde varietà di espressione umana. Qualcosa deve cambiare.
Alla luce di quanto sopra, Emanuele Sartoris ha già in mente i prossimi sviluppi, i passi e i progetti che prevede per la prossima stagione invernale.
Siamo reduci dall’Open Papyrus Jazz Festival di Ivrea, diretto dal percussionista Massimo Barbiero, occasione in cui abbiamo presentato per la prima volta i nostri Notturni, ora stiamo lavorando per la data relativa a Torino, la mia città.
L’associazione Erremusica, diretta dall’infaticabile Marisa Rivera, avrà ospiti me e Daniele di Bonaventura con i nostri Notturni il 21 dicembre presso il Conservatorio di Torino. Si tratta di un evento a cui sono particolarmente legato, non solo perché Torino è la mia città, ma perché quello è il conservatorio in cui mi sono diplomato.
Nel contempo io e Daniele stiamo lavorando pianificando il calendario dei prossimi concerti.
Grazie a Emanuele Sartoris, buon lavoro e un grande “in bocca al lupo” per i suoi “Notturni” e per il seguito dei suoi progetti.