MICHELE FRANCESCONI
Solo
Alfa Music (AFMCD237)
2020
Ne ammiro la s o u p l e s s e, l’atteggiamento disincantato di apprendistato, di artigianato attento alle rifiniture e ai dettagli, all’intarsio di parti, alla qualità intrinseca; lo stare a proprio completo agio anche in seconda linea, o vestendo i panni dell’arrangiatore “puro”: è appunto sua la regia sonora del delizioso “Sings Bacharach” della vocalist Laura Avanzolini uscito lo scorso anno per l’etichetta Dodicilune e per quanto mi riguarda uno dei migliori dischi dell’anno di jazz italiano.
Proprio per questi motivi, l’uscita di un intero album in assoluta solitudine (solo in digitale, ma ci voglio aggiungere per ora: spero nell’emissione della versione “fisica”, come si dice oggi, magari in vinile) mi ha colto di sorpresa. Eppure, anche ascoltato finalmente da leader e unaccompanied, a dominare in questo “Solo” – sia chiaro: uno strepitoso exploit solistico – è indubbiamente una scandita poetica della sobrietà, del rallentamento, dell’absconditus; un magistero pianistico, una conoscenza stratificata e profonda dell’essenza e della storia del jazz che emerge però non da uno sfoggio accumulativo, atletico, di stili e tecniche – ad esempio lo stride c’è ma non c’è… – ma dallo sforzo unitario, concentrato, di rarefare la materia sonora. Che non ne esce sottratta di forza emotiva, no, Michele trasporta ed emoziona quando suona, intendo dire che sgorga poi alla fine senza forzature, senza ampollosità. Tenendo a bada con sensibilità, con forza, con naturalezza, il virtuosismo.
Una misura e un rigore tristaniani, bachiani, contraddistingue la splendida Darn that dream iniziale e… ma a questo punto io devo fare un discorso sugli standards.
Sì, perché dei dieci brani proposti nel disco tutti e dieci sono riletture di classici della Grande Tradizione Americana del Novecento (della canzone e del jazz). Anzi nove, ma solo perché All the things you are è riproposta, alla terza e alla quarta traccia, in due versioni di cui la seconda slow. Che dire? Io, oggi come oggi, quando penso a questo standard penso al geniale chitarrista Lanfranco Malaguti che ci ha lasciati lo scorso 9 dicembre, troppo presto, e alla sua “Standard obsession” (titolo del suo cd dei primi anni dello scorso decennio): Lanfranco suonò infinite volte, fra gli altri standard, proprio All the things you are, tracciando attraverso l’evoluzione delle varie esecuzioni, una mappa, di impressionante valore artistico, della sua creatività. Penso a Lee Konitz, ahinoi altra recente dolorosissima perdita, che nei decenni All things you are l’ha rivista, rifratta, ne ha fatto il tema di variazioni sempiterne e composizioni esse stesse. Ecco il punto, credo. Francesconi rilegge But beatiful e quei bassi iniziali, l’umore corruscato, l’atmosfera piovosa, la ri-compongono, tutti questi elementi insieme riescono alla ri-composizione instant (si può dire?) di quella canzone. Insomma compongo, ma l’autore non sono io. Quale paradosso più affascinante? La mia statura compositiva per ora voglio che sia ancora tutta porosa intima “mia” riproposizione di cose che amo e che studio. E che all’infinito studierò perché infinitamente le amo. Ancora un effetto-Zelig. Meraviglioso. Fantastico. No? Quando il risultato è questo “Solo”, si.
Musicisti:
Michele Francesconi, piano, pad, rhodes
Tracklist:
01. Darn That Dream (Jimmy Van Heusen)
02. But Beautiful* (Jimmy Van Heusen)
03. All The Things You Are (Jerome Kern)
04. All The Things You Are (slow) (Jerome Kern)
05. Do You Know What It Means To Miss New Orleans* (Louis Alter)
06. Unforgettable* (Irving Gordon)
07. Lush Life (Billy Strayhorn)
08. Laura (David Raksin)
09. Tenderly (Walter Gross)
10. If You Could See Me Now (Tadd Dameron)
*with overdubbing
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