MICHELE FERRARA: Orsara Festival tra trulli e jazz

Da qualche settimana sono partite le iscrizioni ai seminari internazionali dell’Orsara Musica Jazz Festival, uno dei jazz festival piu’ longevi della Penisola. Michele Ferrara, patron del Festival, ci ha spiegato, tra le altre cose, quanto una politica culturale accorta e lungimirante puo’ fare per il nostro territorio.

 

Partiamo dalle origini. Come e’ cominciata l’avventura del Festival di Orsara ben 22 anni fa? Come e’ nata l’idea? Da quali eventuali esperienze pregresse? E soprattutto guardando a quali altre realta’ gia’ presenti in Italia?


La prima edizione del festival fu nel 1990, la Puglia aveva poche realta’ culturali di rilievo regionale o nazionale e tutte di impronta classica (i teatri cittadini di Bari, Foggia, Lecce, il festival della Valle d’Itria…). Lo stesso anno, se non erro, nacque la bella esperienza dell’Europa Jazz Festival di Noci, una ventata di novita’ e di originalita’ che proponeva artisti ed esperienze di vari paesi europei dando spazio a voci e personalita’ della scena olandese, tedesca, francese, ma anche delle repubbliche ex-sovietiche (era appena caduto il “muro”). In Italia c’erano le importanti realta’ di Umbria Jazz, Clusone, Roccella Jonica, Siena Jazz ed emergevano nuove realta’ significative a sud di Roma quali Onyx a Matera, ANDJ a Napoli, Pescara, Berchidda, Lennie Tristano di Aversa. Una nuova scuola di musicologia afroamericana si imponeva attraverso le tesi e le analisi di Marcello Piras e della SISMA. In quegli anni il Jazz, tramite la spinta fondamentale dell’AMJ, inizio’ un percorso che lo vide, prima in maniera sperimentale poi sempre piu’ strutturato, sempre piu’ presente nei Conservatori musicali. Per tornare a noi direi che la consapevolezza dei contesti musicali regionali e nazionali e’ cresciuta nel tempo. Le motivazioni iniziali di Orsara Musica risiedono nello spirito e nelle inclinazioni personali, da una parte, e nell’entusiasmo di un gruppo di amici con cui ad Orsara ho condiviso un percorso umano e sociale di crescita e di impegno politico e culturale. Orsara e’ stato da sempre un paese vivace culturalmente e politicamente, cio’ ha influito sulla nostra formazione e sulle motivazioni che sono alla base anche della nostra esperienza di produzione culturale.



Quale e’ stato il tuo ruolo nella nascita e nella crescita del festival?


 

Posso definirmi un cofondatore, uno degli ispiratori che ha dato inizio con un ristretto nucleo generatore all’esperienza di Orsara Musica. All’inizio c’e’ stato il festival (la prima edizione nel 1990) supportato poi, dal 1991, da un’associazione culturale che ha raccolto una decina di amici interessati a costruire una realta’ culturale in un posto in cui non c’era niente, non un ristorante, non una camera per ospitare, non uno spettacolo di qualita’, men che meno realta’ organizzate che avessero a cuore la produzione culturale. Questo nucleo fondatore, per la verita’ assottigliato negli anni da varie vicissitudini, ancora continua a costituire il riferimento per le attivita’ che si svolgono oggi anche se nuove energie si sono aggiunte strada facendo, nonostante le difficolta’ e l’impossibilita’ di remunerare tutti i contributi volontari e le competenze messe a disposizione da tante persone in vent’anni.



All’inizio erano previsti solo concerti? Come si e’ evoluto il vostro pubblico? Come si sono modificate le aspettative da parte del pubblico locale?


 

In tanti anni abbiamo fatto di tutto: concerti, performance pittoriche, sculture, espressioni artistiche interconnesse in varie forme, dal 2003 sono nati i seminari residenziali. Il pubblico iniziale era eterogeneo e incuriosito dalla novita’, poi nel tempo si e’ selezionato da solo, oggi e’ composto in parte da locali ma soprattutto da persone che vengono da fuori, dagli immediati dintorni, ma anche da piu’ lontano a godersi tutto il periodo sul posto, immersi nell’atmosfera unica del festival. La nostra esperienza e’ anche alla base di un fermento ed uno sviluppo territoriale diffuso che ha portato Orsara a diventare un modello riconosciuto di ospitalita’ e di turismo evoluto (citta’ slow, bandiera arancione). Abbiamo dimostrato che e’ possibile investire nella cultura ed e’ possibile avere un ritorno dell’investimento, materiale e non. In vent’anni di attivita’ abbiamo contribuito a creare possibilita’ per la nascita di attivita’ ricettive, recuperare l’architettura e il territorio, affermare marchi tipici, creare anche occupazione nel settore del turismo culturale evoluto. Il tutto nel clima politico regionale pugliese particolarmente stimolante degli ultimi anni , volto com’e’ a promuovere la cultura e a favorire la qualita’.


Come vi finanziate? Ci sono degli sponsor, oltre ai finanziamenti pubblici?


 

Innanzitutto c’e’ l’autofinanziamento costituito dai tanti contributi volontari non remunerati, quella miriade di attivita’ e competenze necessarie a fare le cose. Per quanto riguarda il sostegno economico riusciamo a raccogliere delle entrate da parte di sponsor abituali, che credono nell’esperienza che portiamo avanti, ma anche dai finanziamenti regionali ed europei previsti per le attivita’ della cultura e dello spettacolo. Mai nulla e’ scontato, ovviamente, ci sono regole e vincoli molto serrati da parte regionale, ma e’ giusto cosi’. L’attuale politica culturale regionale ha molti lati positivi, come pure qualche ombra come in tutte le cose, ed ha fornito strumenti di sostegno e di sviluppo attraverso l’avvio di programmi lungimiranti che guardano al ruolo fondamentale della produzione culturale come motore di sviluppo territoriale ed economico. Altro elemento importante e’ l’autofinanziamento che si realizza ripagandosi in parte dei servizi eccellenti che offriamo in termini di didattica musicale e dei seminari residenziale di alto livello internazionale. Nel 2010 abbiamo dato vita anche ad un consorzio culturale che riunisce diverse realta’ della provincia di Foggia (5FSS Consorzio per la promozione della qualita’ culturale nel territorio), uno strumento in piu’ per aggregare e crescere nella produzione culturale integrata e nello stesso tempo accreditarsi come soggetto unico, con piu’ forza comunicativa e progettuale, verso gli interlocutori privati e pubblici.



Negli anni il festival sembra aver recepito diverse influenze musicali. Come si e’ modificata nel tempo la scelta degli artisti?


 

Vent’anni di attivita’ sono tanti, in un articolo di 7-8 anni fa comparso sulla rivista Jazzit si faceva un resoconto dei primi 10-12 anni e gia’ si distingueva fra una fase iniziale pionieristica, una militante e una fase di maturita’. La Direzione artistica e’ sempre stata sostanzialmente collettiva, anche se con le alternanze naturali dovute alle disponibilita’ variabili dei singoli soci e ad un clima di discussione interna spesso vivace. Direi che nel tempo la direzione artistica si e’ evoluta con gradi di consapevolezza progressiva, come in qualsiasi processo di crescita culturale ed umana. Oggi, a distanza, possiamo ricostruire il percorso fatto e rivivere l’entusiasmo per la ricerca, le scoperte musicali tradotte in progetti originali, lo sconcerto per alcune performance molto estreme, ma anche tanta bella e ottima musica che non avremmo mai conosciuto senza il festival. Siamo molto orgogliosi di produzioni create nel passato quali “Pirotecnie Sonore” (ed. Splasc(h) Records), “Don Chisciotte” (commissione originale, registrata e tuttora inedita), “Lettere da Orsara” (ed. Polosud), “Giove a Pompei” (progetto originale con registrazione inedita), nate da commistioni e rapporti speciali creati con alcune personalita’ artistiche fuori dal comune (Pasquale Innarella, Bruno Tommaso, Alex Von Schlippenbach, Giancarlo Schiaffini), ma siamo anche consapevoli che oggi le scelte musicali sono soggette ad altre influenze e ad altre disponibilita’, i musicisti e il pubblico sono cambiati, guardiamo con piu’ flessibilita’ anche ad un certo recupero del mainstream e alla necessita’ di autofinanziarci attraverso iniziative rivolte ad un pubblico piu’ numeroso che in passato.



Oggi il festival e’ diventato una specie di “villaggio musicale”, dove la musica viene vissuta a 360 gradi e per l’intera giornata. Seminari e giornate insieme agli artisti sono forse piu’ importanti dei concerti stessi. Questo accade in Italia e in Europa solo nei festival piu’ importanti.


 

Si’, in effetti c’e’ uno sviluppo di questo tipo di attivita’, pur nella diversita’ degli approcci. Anni fa in questo campo c’era solo Siena Jazz che ha avuto il merito di formare e lanciare tanti musicisti negli anni. Oggi ci sono tante realta’ seminariali, concentrate o distribuite nel tempo con formule diverse. Noi stessi abbiamo iniziato nel 2002 ad inserire seminari, workshop, incontri divulgativi e poi man mano ad inserire nel programma seminari residenziali con musicisti importanti (Benny Golson, Lee Konitz, Steve Grossman, Billy Harper, Antonio Ciacca). I Seminari Internazionali di Musica Jazz, voluti e diretti da Lucio Ferrara, hanno anche prodotto numerosi scambi e collaborazioni internazionali, europee ed americane. Guardando un pò il panorama nazionale credo che i festival oggi sono “costretti” ad estendere le attivita’ perche’ devono farsi carico anche di creare un pubblico, farlo crescere musicalmente per supplire alle carenze delle strutture e delle politiche culturali dell’istruzione. Creare un pubblico significa far conoscere la storia della musica, le evoluzioni tecniche e sociali che hanno prodotto certi fenomeni, insegnare l’uso di strumenti musicali, creare le condizioni affinche’ chi vuole possa suonare insieme ad altri ed esercitarsi. Siccome tutto cio’ non e’ garantito e non e’ perseguito dalla scuola, ma nemmeno dai Conservatori musicali, ne’ dai mezzi di comunicazione (che inseguono la moda del momento, la diffusione facile e solleticano i gusti piu’ omologanti), tocca a noi seminare, fare pratica, fornire elementi critici e di conoscenza della cultura musicale, nel nostro caso orientata al jazz.



C’e’ una disparita’ di trattamento mediatico tra la vostra realta’ e altre realta’ italiane (Siena Jazz, Umbria Jazz, Berchidda…)? A quali cause e’ dovuta, secondo te?


 

In primo luogo c’e’ da considerare la forza economica e i budget a disposizione per le attivita’ di comunicazione e di promozione. Noi abbiamo fatto una scelta iniziale forzata: avendo poche risorse economiche abbiamo dato priorita’ ai contenuti e alla qualita’ delle iniziative, ogni singola lira/euro e’ stata impiegata per produrre e sviluppare idee artistiche, progetti originali, sperimentare nuovi luoghi e forme di fruizione culturale. Abbiamo dovuto rinunciare a pagare addetti stampa, inserzioni pubblicitarie, intermediari della comunicazione, distrarre risorse dall’impiego artistico a quello della comunicazione di grande impatto. Il nostro festival e’ cresciuto soprattutto attraverso il passaparola, la partecipazione diretta agli eventi, attivita’ di comunicazione autoprodotta (ad es: i nostri booklet sono delle dispense vere e proprie non volantini pubblicitari a due facciate). Cio’ fa di Orsara Musica Jazz Festival un posto esclusivo, per intenditori, meno noto al grande pubblico, ben noto a chi c’e’ stato, ha vissuto esperienze speciali, ha potuto apprezzare di persona cosa significa vivere di musica in un posto fuori dalle mode.



Dei seminari di quest’anno gia’ sappiamo. C’e’ qualche notizia che puoi far trapelare sul programma del festival?


 

Non ancora… la curiosita’ e’ materia feconda.

 

Link:

Orsara Musica Jazz Festival: www.orsaramusica.it