Il Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica e’ sempre un ambiente dal fascino particolare, racchiude in se’ un insieme di atmosfere che amplificano le trasmissioni sensibili presenti nelle proposte artistiche che vi si susseguono. Peccato che alle volte alcuni “passaggi importanti” vengano trascurati dal grandissimo pubblico romano. Sotto l’alone riverberante e’ la volta di Matthew Shipp, il pianista di Wilmington considerato dalla critica di settore tra i protagonisti di una nuova generazione di grandi del jazz. Il suo ingresso sommesso, caracollante nei movimenti con i suoi occhialoni ed una semplice t-shirt blu, quasi un rispettoso agire nei confronti delle idee che sta per tradurre in note. Poi giu’ sul piano a tessere freneticamente armonie pregiate. Tra le sue mani il pianoforte diventa come una marionetta, che lui striglia ed addolcisce a dovere, in una lotta di gioie e frammentari trionfi sonori.
“Le storie” che tira fuori appartengono al suo ultimo lavoro discografico 4D, il suo sesto disco da solista nel quale sintetizza le melodie degli standards alla canzone popolare, commistionandoli al continuum free-jazz dei lavori solistici precedenti. Un filo narrativo pregno di melanconia e ribellioni multiple che fuggono, sbottano, come ruderi sonori mai disturbati, avvalendosi a volte di schemi ossessivo-percussivi tenebrosi e di tetra lucentezza. Il piano suonato da Shipp sembra bruciare, il linguaggio del corpo riproduce il vicendevole domarsi, una lotta contenitiva che ede di fronte le feconde idee ed i diavoli blue di New Orleans che hanno preso possesso dello strumento e che vogliono portarlo con loro col fine di riesumare la storia e darle nuovo lustro.
Una performance divisa in due set, inframezzata da un timido saluto ed un ringraziamento, ricordando con molto piacere il concerto romano di cinque anni fa. La seconda parte del concerto e’ contraddistinto sempre dal suo mutevole gioco di tensioni, creare precari ambienti improvvisativi dove vaga alla ricerca di superfici armonico-ritmiche sempre nuove e di grande capacita’ espressiva, come n cartaio aggiusta o mischia, che dir si voglia, le tessere con una interpretazione sfuggente, quasi supersonica. Dopo il bis di chiusura ed un caloroso applauso che non vedeva mai fine se ne va con passo intimista…Grazie Matthew!!!
Matthew Shipp, piano solo
Auditorium Parco della Musica
Roma, 22 marzo 2011