Crooner elegante, dalla vocalità accattivante, madida di swing genuino, Matteo Brancaleoni è uno tra i cantanti più acclamati e apprezzati della scena jazzistica tricolore. Attraverso questa amena chiacchierata racconta le sue esperienze umane, artistiche e descrive il mood di “Made in Italy”, la sua nuova proposta discografica.
Quando hai scoperto che albergava in te il cromosoma della musica?
Sin da piccolissimo. A 2 anni i miei genitori mi regalarono una tastiera.
Il tuo incontro con il jazz: è stato amore al primo ascolto?
Al jazz sono arrivato dopo. L’amore al primo ascolto fu con la voce di Frank Sinatra, in un’audiocassetta che mi regalò mia nonna quando avevo 12 anni.
La tua formazione musicale è meramente da autodidatta oppure hai intrapreso gli studi conservatoriali?
Ho studiato privatamente chitarra classica, poi jazz. Successivamente ho seguito qualche lezione di tromba. Vocalmente ho studiato per sei, sette anni, sia privatamente che presso gli istituti musicali con diversi insegnanti. Ho frequentato il conservatorio per un anno e mezzo, che ho poi abbandonato per svariati motivi.
Quando hai capito che la tua ugola sarebbe diventata un vero e proprio strumento di lavoro?
In realtà non l’ho capito da solo. Me lo disse Franco Cerri, una sera dopo un concerto in cui cantai un brano insieme a lui. Mi disse esattamente: «Sai che potresti fare il cantante per professione»? Fino a quel momento cantavo per pura passione, come per il teatro.
Hai tenuto una pletora di prestigiosi concerti in giro per l’Italia e all’estero, suscitando sempre l’entusiasmo del pubblico. Quali sono le analogie e le differenze tra gli uditori italiani e quelli stranieri?
Non ho trovato grandi differenze. Ho avuto la fortuna di esibirmi di fronte a un pubblico entusiasta sia in Italia che all’estero. Gli ascoltatori stranieri sono forse un po’ più attenti, ma credo che dipenda da un problema di formazione musicale che esiste nel nostro Paese, più che di rispetto verso chi fa musica.
Nel tuo palmares annoveri svariate collaborazioni con musicisti di caratura internazionale. C’è un artista in particolare che ha arricchito considerevolmente il tuo bagaglio umano e artistico?
L’ho citato prima e ripeto il suo nome: Franco Cerri. Lui è un caro amico, un musicista dalla raffinatezza e delicatezza straordinarie, sia come artista che come persona. Mi ha sempre dispensato consigli. Insieme a lui ricordo anche Renato Sellani, per il quale ho un grande e affettuoso ricordo, per i tanti momenti passati assieme, le ore spese a fare musica, le risate che mi hanno insegnato tanto. Veramente un grande, perché in quanto tale è stato in grado di prendersi poco sul serio. A Sellani devo il mio primo disco, poiché mi ha incoraggiato senza paura di sbagliare, l’unico modo per imparare davvero che mi guida ancora adesso.
Nell’arco della tua brillante carriera hai fatto incetta di premi e consensi. Se dovessi scegliere una persona speciale nella tua vita a cui dedicare tutte queste enormi soddisfazioni artistiche, chi sceglieresti?
Ne sceglierei due: mia madre e mio padre. Loro mi hanno sempre supportato, hanno creduto in me anche quando dubitavo di me stesso.
Il 13 novembre è uscito il tuo nuovo album intitolato “Made in Italy”, che vede la straordinaria partecipazione di Rosario Fiorello, Renzo Arbore, Fabrizio Bosso e Melita Toniolo. Qual è la genesi di questo disco e quale messaggio hai intenzione di comunicare attraverso questo nuovo capitolo discografico?
L’idea iniziale di questo disco nasce dalla richiesta di tanti amici e tanti ascoltatori che nel corso degli anni mi hanno chiesto come mai non cantassi in italiano. Questa è anche una prova di maturità e consapevolezza. Per anni mi sono ispirato alle grandi voci americane come Sinatra, ma poi capisci che non sei americano, ma italiano. Ciò è parte della tua unicità, di cui sei fiero. Bisogna essere fieri di tanta bella musica prodotta dal nostro Paese e amata in tutto il mondo. È un disco che mi rappresenta molto e forse quello in cui c’è più me stesso rispetto a tutti i miei album precedenti. Ho seguito ogni aspetto, dall’ideazione agli arrangiamenti, insieme al mio pianista Nino La Piana (senza il quale non sarebbe mai uscito il cd), sino a tutte le registrazioni. “Made In Italy” non comunica un messaggio particolare e non credo di trasmetterne uno. Ogni canzone ha un suo messaggio, perché parla prima a me, racconta una parte di me, sia per le cover che per quanto concerne gli inediti. This is my life, ad esempio, è un inno alla vita, alla consapevolezza, all’aprirsi alla gioia, all’amore, nonostante gli errori commessi in passato. Anche Domani, scritta insieme al mio amico Donato Santoianni, è più malinconica e riflessiva, un brano che proietta lo sguardo verso il futuro. Ecco, forse il messaggio può essere questo, attraverso momenti più solari e altri più riflessivi del disco: guardare avanti, puntare i piedi, dire io sono questo, ci sono e guardo al futuro con speranza. E di speranza e ottimismo, oggigiorno, ne abbiamo bisogno tutti.