Sono 13 nuove scritture. Un’estetica raffinata e accattivante con un booklet rigido dalle dimensioni ampie. Colori scuri che un poco distolgono dal leitmotiv dell’opera e un poco richiamano quell’aria intima e introversa che si nasconde dentro tutto l’album. Massimo Priviero è tornato alla ribalta con un disco davvero importante, bellissimo sotto tanti punti di vista, un’opera che probabilmente corona una maturità lunga quasi 30 anni. Si intitola “All’Italia”, un leggerissimo equilibrio di dolcezza e nostalgia, un reportage poetico sulle partenze e gli addii, un occhio lucido alla storia ed uno (forse) ricco di speranza all’attualità. Quando si lascia questo nostro paese ci sono sempre tanti motivi e tante storie uniche che Priviero non giudica né condanna in questo lavoro ma ce le racconta semplicemente toccando corde assai personali in ognuno di noi. Non è un disco rock per quanto il singolo “London” sia di quella pasta lì.
Un disco “acustico” come anche dice la critica da più parti. Come arriva un rocker come te a concepire un disco di questa fattura?
Parliamo in generale di musica d’autore, ancora meglio di rock d’autore. E se vogliamo parlare di rock spesso lo si può fare meglio con una chitarra acustica. L’immagine stereotipata legata a una chitarra elettrica distorta, che come immaginerai un poco conosco, è spesso fatta di fuffa che supporta testi parecchio superficiali. Ovvio che così è per me anche se poi ognuno può dir la sua ma che quel tipo di rock non è mai stato il mio.
Sono scritture maturate nel tempo o sono idee e nuove canzoni uscite nell’ultimissimo periodo?
Sono canzoni nate di getto in un periodo relativamente breve e figlie come sai di un unico concept. Nate per essere chitarra, voce e armonica e poi vestite solo il poco che era necessario. Tutto è stato scritto tra la fine dello scorso e l’inizio del novo, Villa Regina e Bataclan a parte composte invece un po’ prima. Dunque fai conto che solo l’inizio e la fine hanno una genesi di qualche mese antecedente.
Il tema portante è chiaro ma ti chiedo: cosa davvero ti ha spinto a scriverci un intero disco?
La necessità di raccontare storie di italiani che considero la parte migliore del nostro paese. Le loro storie, che poco per volta si scrivevano da sole, hanno dettato l’album e di loro mi sono innamorato. Poi volevo un tema centrale che non disperdesse questa mia necessità.
Nel video di lancio c’è anche tuo figlio: quindi è un disco per molti versi autobiografico?
Credo sia il mio album meno autobiografico. Io mi sono messo in un angolo a fotografare i protagonisti cercando di essere per loro idealmente figlio, poi fratello e poi padre. Mio figlio è solo un capitolo, certamente il più importante per me, di questo ipotetico libro. Il fatto che lui viva e lavori a Londra traduce quel che fanno molti giovani italiani oggi. Molti giovani italiani che se ne vanno e che sono i nuovi migranti naturalmente. A volte senza volerlo fare ma costretti dalla nostra realtà.
Nel disco anche la bellissima canzone che si lega alla tragedia del Bataclan. Come nasce questo brano e che legame ha con il disco?
Scrissi Bataclan il giorno dopo l’attentato e dopo un mio concerto che feci a Genova il giorno dopo. Volevo pace. Non volevo bombe che scoppiavano ma cercavo una carezza tra una madre e una figlia, come avviene nella canzone. E la protagonista, tornando al discorso di prima, era molto simile come attitudine a mio figlio. Bataclan è una storia di tenerezza e lo spirito di una giovane donna come Valeria non morirà mai, non ci sarà alcuna bomba che potrà mai fermarlo.
A parte il singolo London, il vero Rock ti è un po’ mancato? Tornerà o è questa una nuova strada per Massimo Priviero?
Cosa intendi per vero rock? Si aprirebbero discorsi un po’ lunghi non credi? Comunque non so cosa mi riserva il futuro ma stai tranquillo che per esempio ad Alcatraz il concerto inizierà acustico per poi diventare un assalto anche elettrico a Fort Apache. Credo che così ci siamo capiti al meglio!