Eh sì, il deciso scostamento dalla sua storia non è qualcosa che si nasconde dietro dettagli. In questo nuovo disco, Massimiliano Martelli parla di pop e di sonorità main stream, elettroniche e liquide, leggere di una quiete matura e credibile. “Quanto pesa la felicità” ci incuriosisce anche per i suoi aspetti di produzione di cui, come nostro solito, chiederemo conto per indagare da vicino l’anima di qualcosa che, soltanto all’apparenza, sembra davvero figlio di una massificazione espressiva. È la vita che, a forza di venir consumata, regala anche la saggezza di pesare di meno.
Parliamo di produzione. I suoni di questo disco virano molto verso una scena indi metropolitana… cosa ne dici?
Beh, sì, se cominciamo proprio col dire che sentivo io l’esigenza, il bisogno, di realizzare un disco che fosse caratterizzato da sonorità e soluzioni musicali diverse dai miei precedenti lavori, pur mantenendo la mia cifra stilistica e identità cantautoriale. E per arrivare a questo è stato fondamentale e prezioso il lavoro di produzione di Maurizio Mariani, con il quale ho cercato di coniugare da una parte il mondo acustico della chitarra e dall’altro il suono in parte digitale degli arrangiamenti e della forma canzone.
Come li hai scelti i suoni e in che direzione puntavi?
In parte come ho già risposto, c’era appunto un desiderio di cimentarmi con scelte, groove e sound “diversi ma non troppo” da quelli a cui ero abituato nel mio lavoro di autore e compositore. Sperimentare sonorità che in parte strizzassero l’occhio anche a richiami di una certa “new wave”. Ma non è stato questo solo un discorso di suono del disco, anzi. C’è stato anche da parte mia un importante lavoro “di sintesi” per i testi di ogni brano: una forma più asciutta e concisa rispetto ai testi abbastanza serrati che ero solito scrivere. Questo proprio per permettere all’ascoltatore di concentrarsi e “respirare” su ogni parola scritta e cantata. Anche perché era una mia precisa intenzione nel disco quella di “non dimostrare” nulla o di lasciar “scoprire” tutto all’ascoltatore, lasciando un po’ come “sospesi” concetti e significati, tra un detto e un non detto, dare uno spunto per riflessioni e risposte a ognuno sulla base delle proprie esperienze di vita, associandone così un tempo, un peso ed uno spazio personali.
Alcuni suoni come dentro l’ultima traccia “Mezze verità e acqua tonica” li hai voluti distorti. Anche la tua voce: che racchiude questa scelta?
L’uso di suoni distorti e timbro di voce artefatto, quasi robotico, è nato per evidenziare che questo disco è comunque figlio di un tempo, il nostro, dove è sempre più difficile e complicata la comunicazione fra le persone. Io vengo da un passato lavorativo lungo oltre vent’anni svolto nel sociale, come assistente domiciliare, educatore e operatore sociosanitario al servizio di persone fragili in contesti difficili e scuole delle periferie della mia città, Roma. Quindi l’aspetto “umano” dei rapporti e sentimenti è stato sempre il focus, il cuore, il centro di ogni mio pensiero e azione, lavorativi e non… Ma in questi anni purtroppo ho visto sempre più assottigliarsi tempo e disponibilità al dialogo, all’incontro con l’altro, alla gestione dei conflitti, delle differenze e delle divisioni. E il tutto è cornice di questa difficoltà di vivere sempre di corsa per i tempi che detta questa società che non ammette errori e non di rado ci vuole vendere o trasmettere un’idea “vincente” di felicità legata più all’aspetto materiale del benessere, della realizzazione personale, dove si fatica sempre più ad ascoltare il proprio corpo che respira, il cuore che batte… Un po’ come dei robot.
Da qui, dunque, ho provato a “giocare” la carta di raccontare emozioni, sensazioni, sentimenti “umani” con suoni “non umani”.
E la chitarra acustica che campeggia in copertina?
Principalmente ci sono due motivazioni: la prima è una sorta di omaggio, ringraziamento, a questo strumento con il quale da adolescente ho iniziato ad approcciarmi alla musica “suonata. La seconda, più pertinente al disco, è quella che al di là delle scelte di composizione e arrangiamento presenti, arrivasse dritto il messaggio che già dalla copertina la chitarra acustica avrebbe comunque avuto un ruolo centrale nel suono complessivo delle canzoni, come riscontrabile già nell’ascolto di “Starò bene”, brano che apre il disco, dove un riff acustico ostinato fa da tappeto per buona parte della durata del pezzo.
Un Ep che apre le porte ad un disco di inediti
Sicuramente l’intenzione c’è da parte mia, ma intanto coi miei musicisti ci stiamo concentrando più sull’aspetto live, cercando di portare in giro e suonare il più possibile questo nuovo lavoro e parte del mio repertorio musicale meno recente.