Che bella intervista quella che segue… per un disco come “Gurfa” in cui decisamente tutto ruota attorno alla voce, non solo come filosofia ma anche come progettazione di scrittura e di arrangiamento. Un disco che impegna l’ascolto anche e soprattutto in una direzione spirituale avendo come DNA quel concetto di benessere e di ricerca interiore di pace. Voci corali grazie alla partecipazione dell’ensemble vocale Ciwicè e qui suoni che alla natura prendono ispirazione e cercano un ritorno ad essa. Marilena Anzini pubblica un disco impegnato, impegnativo, pregiato nelle sue piccolissime sfumature umane.
I complimenti per la produzione. Niente di innovativo ma molto composta e accomodante. Oppure c’è qualcosa di innovativo che mi sfugge?
Grazie per i complimenti! Per ciò che riguarda l’innovazione è vero, non sono una fanatica della novità a tutti i costi: avverto il rischio che l’eccessivo desiderio di essere originali possa portare lontano dalla propria autenticità e addirittura soffocarla con sovrastrutture esteriori. Credo fortemente nel potere della semplicità e nel fatto che ognuno di noi è unico al mondo: se c’è una novità che possiamo portare, credo che la si debba cercare all’interno, lavorando sulla conoscenza di sé e della propria autenticità, sulla sincerità espressiva, sulla coerenza tra la nostra musica e la nostra vita. È un’aspirazione alta, e l’intera vita non basta a realizzarla, ma per me è importante tenerla almeno come direzione da seguire, al di là del fatto che la si riesca a raggiungere o meno…quello è un altro discorso.
E parliamo di ricerca musicale, della radice gregoriana impressa nelle voci… perché questa direzione?
La voce umana è il mio campo di ricerca preferito e tutto ciò che sperimento credo che confluisca naturalmente negli arrangiamenti vocali che intreccio alle mie canzoni. Il canto gregoriano è un repertorio sacro che studio e canto come mia pratica spirituale ed è anche un esercizio straordinario per lavorare sulla fusione delle voci, caratteristica molto importante in un coro. Poi lavoro molto anche con l’improvvisazione e molte parti vocali affidate alle mie fide Ciwicè – l’ensemble vocale femminile che canta con me sia in studio che dal vivo – si ispirano alle famose Circle songs, canti corali basati sull’improvvisazione e la ripetizione portate a conoscenza del grande pubblico da Bobby McFerrin con la sua Voicestra. In questi arrangiamenti vocali utilizzo un linguaggio non verbale, fatto di fonemi e suoni che creano delle atmosfere particolare e quasi strumentali diventando, più che background vocals, vere e proprie parti strutturali dei brani. E la scelta dei suoni non è casuale ma dipende dal significato del testo o dall’atmosfera della canzone: ad esempio nel testo di Nuvole e rose ci sono molte immagini che richiamano la luce, e quindi ho scelto di far cantare delle parti con il suono della consonante “elle” che è ricca di frequenze acute, chiare e luminose. Tra l’altro nella notazione gregoriana c’è una piccola nota che si chiama “liquescenza”, che suggerisce di dare la giusta importanza alle consonanti liquide di certe sillabe (come la M, la N e la L), proprio perché portano ‘luce’ nel canto, e la luce ha un significato sonoro ma anche spirituale, ovviamente. Ci sono così tante meraviglie nella voce umana da scoprire, sperimentare e condividere…
E nel futuro che cosa vedi? Come si evolverà il tuo suono? Oppure è già questo il tuo futuro?
Questo davvero non te lo saprei dire: se c’è una cosa che mi porta a non pensare al futuro è proprio l’aspetto creativo della musica. Quando scrivo, raramente faccio un programma di come debba essere la canzone: mi metto in ascolto e cerco di cogliere uno spunto, una scintilla che possa dare inizio al processo creativo per poi farmi sorprendere da dove la musica, il testo e la canzone vogliono andare. Credo che questa attitudine sia il retaggio dell’Improvvisazione vocale che pratico da tanti anni grazie agli studi con Oskar Boldre e Rhiannon (collaboratrice di Bobby McFerrin e fondatrice del percorso Vocal river). Quando si improvvisa – individualmente e ancor di più insieme ad altri – non c’è tempo per programmare e nemmeno per rivolgersi al futuro perché tutta l’attenzione è attirata da ciò che sta accadendo in quel momento: è un presente dilatato nel quale risuona l’eco di ciò che è appena accaduto e si intravedono le prime luci di quello che sta per accadere, un flusso continuo caratterizzato da fiducia, istinto e stupore. Nella scrittura ovviamente si inserisce anche il tempo per fermarsi a fissare le idee che arrivano, in uno stato che sta un po’ a metà strada tra un monaco che medita e un bambino che gioca…sono i momenti che preferisco, quando mi dimentico anche di mangiare! Quindi, che dire? Se penso al futuro della mia musica posso intuire che la voce sarà ancora protagonista perché, come ho già detto, sento che questa ricerca mi attira ancora e penso che io abbia ancora molto da sperimentare, per il resto…chissà? Mi lascerò sorprendere.
Spesso siamo stati a contatto con artisti che trovavano nella musica un potere curativo… sempre più spesso se ne parla… secondo te perché?
Sì, sento anch’io che questo tema sta prendendo sempre più spazio nel mondo artistico e ne sono felice. Del potere terapeutico della musica se ne parla da molto, e ormai è riconosciuto anche in alcuni ambiti un tempo scettici, al punto che in alcuni ospedali si sono introdotte delle pratiche di musicoterapia a fianco delle cure tradizionali. Per il resto, partendo dal presupposto che la musica è fatta di suono, è un dato di fatto che interagisca con noi esseri umani dal momento che siamo sensibili alle vibrazioni; e ce ne accorgiamo in particolare con la voce umana, che è proprio il frutto del corpo che risuona per effetto dell’oscillazione delle corde vocali. Lo si può sperimentare cantando una nota qualunque e appoggiando la mano sul petto, o sul viso: si sente chiaramente. E quindi anche quando ascoltiamo della musica, soprattutto dal vivo, possiamo entrare in risonanza e vibrare per ‘simpatia’. Ma accade anche il contrario: se il volume è troppo intenso, per esempio, il corpo si irrigidisce, come se si volesse difendere da queste vibrazioni troppo invadenti. Oltre a questo aspetto vibrazionale c’è anche l’effetto prodotto dal linguaggio musicale; ritmo, sequenza di accordi, armonizzazione, arrangiamento, scelta degli strumenti…tutto ciò può provocare in noi una reazione di tipo biografico-personale (uno stesso brano può ricordare due cose diverse e provocare reazioni emotive anche molto differenti in due persone) e anche più universale (è risaputo che il modo maggiore trasmette sensazioni di allegria, di estroversione, di leggerezza nella maggior parte delle persone, a differenza di quello minore che suggerisce uno stato più malinconico, lunare, introspettivo). E poi, nella forma canzone, c’è anche il testo, le parole: qui è ancora più evidente quanto la musica possa influenzare gli esseri umani, soprattutto se non ancora adulti e formati. Insomma…è un discorso ampio e che apre molte domande per gli artisti. Personalmente avverto come una grande responsabilità la scelta di cosa mettere nelle mie canzoni: anche se le ascoltassero solo due persone, vorrei che lasciassero qualcosa di buono in loro.
A chiusa di tutto: “Gurfa” per te che forma ha preso?
Questo album è ispirato all’acqua, a partire dal titolo che è un’antica parola araba il cui significato letterale è “l’acqua che si può raccogliere in una mano”. Una piccolissima quantità, che rischia di scivolare tra le dita e che va tenuta dunque con molta attenzione tra le mani; la stessa sostanza che è presente anche nell’immensità del mare, nei ghiacciai, nella pioggia che irriga la terra e anche in ogni essere umano, il cui corpo è formato prevalentemente di acqua. È dappertutto, scorre e cambia forma ma rimane sempre se stessa, e dove arriva porta vita e abbondanza…un po’ come la musica! Ecco, mi pare che Gurfa abbia la forma dell’acqua, di una goccia che ho tenuto tra le mani con molta cura, e che ora è libera di scorrere nell’oceano della musica…