MARCUS MILLER: Slappin’ The Groove!

Poter vantare, nell’odierno panorama musicale, una duplice rilevanza in termini di sperimentazione e successo commerciale non e’ davvero cosa da tutti. Il fatto e’ che, spesso e volentieri, questi due elementi sono in aperta contraddizione tra loro: la’ dove c’e’ il primo e’ assente il secondo, e viceversa. Sperimentare, innovare, ma saper trovare il modo d’essere sempre e comunque accessibile, compiacendo sia platee esigenti che quelle di meno pretese, e’ certo una delle doti di Marcus Miller, musicista totale e spettacolare nella sua piu’ inequivocabile accezione.



 


Marcus Miller rappresenta per le ultime tre generazioni di bassisti quello che Miles Davis e’ stato per tante generazioni di musicisti: una guida sullo strumento e un esploratore di generi. In quest’ultima veste la sua conoscenza e ricchezza derivano da molteplici esperienze musicali: il funky e il rhythm ‘n’ blues, il soul e il country-western, il pop-rock e la disco music, il jazz elettrico e la fusion, il reggae e l’hip pop. Per quanto riguarda invece la prima (di carattere squisitamente tecnico-strumentale), ha innescato e compiuto la terza rivoluzione del basso elettrico (dopo le precedenti operate rispettivamente da Stanley Clarke e Jaco Pastorius), aggiornando la tecnica su quello “fretless” ma soprattutto esasperando in chiave spettacolare quella ritmica e percussiva dello “slapping”.


 



Da quest’ultimo tipo di approccio (di cui e’ maestro riconosciuto assieme all’altrettanto funambolico Victor Wooten) ne consegue una sonorita’ timbricamente incisiva, grave e metallica, tipica del Fender Jazz da lui usato e poi brevettato in una versione a quattro e cinque corde che porta il suo nome.


 



Bassista, clarinettista, polistrumentista, cantante e produttore discografico, Marcus Miller e’ uno a cui nulla sembra proibito e precluso. D’elezione il suo campo di battaglia e’ quello del jazz-funk in veste progressista, mescolato al filone fusion e ai mille accenti della black music con un plurale virtuosismo fondato su scrittura, improvvisazione, tecnica extraterreste e fantasia melodica.


 



Le sue composizioni e i suoi dischi, spesso semplici e diretti all’orecchio del profano, accettano segretamente delle sfide musicali che sposano l’avanguardia piu’ complessa alle esigenze del momento (non escluse quelle piu’ commerciali), ma con la preoccupazione per un groove ipermoderno che non si smentisce mai.


 



La sua stella inizia a brillare in giovanissima eta’. A diciasette anni parte in tournee’ con Lenny White, batterista jazz-fusion che a New York suona e abita nel suo stesso quartiere di Brooklyn, posto dove Miller e’ nato il 14 giugno del 1959. Cio’ avviene anche grazie al padre, direttore di coro di chiesa, organista e pianista, da cui Miller apprende precocemente a leggere partiture di accordi, scrivere accompagnamente e a cimentarsi con estremo profitto nello studio di diversi strumenti: a otto anni il flauto, a dieci il clarinetto (in cui si diplomera’ alla High School of Music and Art) e subito dopo il sassofono. Al basso elettrico Miller approda invece quasi per caso, durante gli anni del college a New York, periodo in cui come bassista svolge un’intensa attivita’ concertistica con gruppi funk-soul, pop-rock e rhythm ‘n’ blues locali. Esordisce in studio a sedici anni con il pianista e tastierista Lonnie Liston Smith (colui che per primo si accorge di lui e lo lancia nel mondo del professionismo musicale), e poi con la flautista Bobbi Humprey. Nel 1978 compone e firma nell’album Exotic Mistery di Lonnie Smith i brani Space Princess e Night Flower, suoi primi hit soul-funk che spopolano alla radio e in discoteca.


 



Da questo momento in poi e’ talmente richiesto dal vivo e negli studi di registrazione che i suoi studi di perfezionamento sul clarinetto al Queens College vengono interrotti e quasi compromessi. Tuttavia, tre anni in passati tra palchi e sale d’incisione faranno del giovane Miller un musicista aperto e consumato. Tra il 1978 e il 1979 e’ nella band del popolare show televisivo statunitense “Saturday Night Live”. Li’ incontra David Saborn, che lo scrittura nel proprio gruppo e lo invita a partecipare alla realizzazione di molti suoi album, un rapporto di amicizia e collaborazione che da allora e’ proseguito fino al termine degli anni Novanta.


 



Nel 1981 suona e incide con la cantante Roberta Flack, poi con Chaka Khan fino a incontrare per la sua strada la grande Aretha Franklin. L’anno prima, con tutte le riserve di un possibile caso di omonimia da verificare, finisce anche alla corte di John Zorn come percussionista e vibrafonista nel radicale e ostico album d’improvvisazione totale Pool. Nello stesso periodo lo si trova contemporanemente impegnato con Dave Liebman, Luther Vandross, i Crusaders, Mike Mainieri, i Brecker Brothers, Grover Washington Jr., Joan Amatrading e con il leggendario folk-bluesman Stefan Grossman.


 



Questo pero’ e’ anche (e soprattutto) l’anno di svolta cruciale per Miller, ossia l’incontro con Miles Davis (avvenuto, pare, sulla scorta di una presentazione e raccomandazione fattagli dal batterista Kenny Washington) e l’inizio di una collaborazione decennale con il leggendario trombettista che segnera’ il rilancio e l’ultimo iatus della sua carriera artistica.


 



Il primo passo e’ l’incisione dell’album The Man With The Horn (Columbia 1981) con un ampio organico che oltre al leader e a Miller vede coinvolti anche il sassofonista Bill Evans, il chitarrista Mike Stern, il batterista Al Foster e il tastierista-pianista Robert Irving III. Seguono subito appresso il doppio album dal vivo We Want Miles (Columbia, 1982) – dove Miller e’ perno stabile di un sestetto che comprende Evans, Stern, Foster e il percussionista Minu Cinelu – e Star People (Columbia, 1983), dove l’ossidrica mescolanza di fusion, blues e jazz-rock e’ fomentata proprio dal basso di Miller in combutta con le chitarre di Mike Stern e John Scofield.


 



Dopo le strade di Miles Davis e Marcus Miller si dividono per un paio d’anni. Miller ne approfitta per debuttare finalmente da solista e produttore con l’album Suddenly (Warner Jazz, 1983) esercizio di dance-funky-soul e jazz-fusion in cui canta, suona basso e tastiere e si avvale della collaborazione di Luther Vandross, Ralph MacDonald, Mike Mainieri e Dave Sanborn. L’anno successivo il musicista migliora ulteriormente il tiro con l’omonimo Marcus Miller (Warner Bros. 1984), dove accanto a una performance vocale di grande intensita’ ed espressione disco-soul dilagano il suo polistrumentismo e il suo virtuosismo di arrangiatore-compositore di brani ritmati d’alta classifica e d’atmosfera (vedi rispettivamente My Best Friend’sGirlfriend e Nadine).


 



Nel 1986 per Marcus Miller si realizza improvvisamente il sogno di una vita. Miles Davis lo richiama affianco a se’ e gli da’ completa carta bianca per la realizzazione di Tutu (Warner Bros., 1986) album con cui inizialmente Davis sperava di imbastire una collaborazione con Prince. La scelta di Miller si rivelera’ pero’ indovinatissima, proprio per le doti di polistrumentista, vocalist, arrangiatore, compositore e produttore che accomunano in qualche modo il bassista elettrico e il genio di Minneapolis. Tutu – dedicato all’arcivescovo anglicano Desmond Tutu di Citta’ del Capo, vincitore del premio nobel pre la pace nel 1984 – e’ forse l’unico disco in cui l’esigentissimo e dispotico Miles Davis abbia condiviso, se non quasi subito, le idee artistiche di un altro musicista, ammirandone stupito le qualita’ e la professionalita’. Marcus Miller lo rende un disco iconico e futurista al tempo stesso, ponte di raccordo tra un’idea sperimentale di jazz-funk elettrico e una ancora piu’ ardita e avveniristica di pop-fusion.


Tranne Tomaas (confirmata con Davis), Backyard Ritual e Perfect Way, tutti i restanti brani dell’album sono frutto dell’ispirata penna e fantasia di Miller.


 



La collaborazione con Davis prosegue con l’album Music For Siesta (Warner Bros, 1987, colonna sonora del film “Siesta” diretto da Mary Lambert) e termina con il disco in studio Amandla (Warner Bros., 1989), dove Miller coproduce insieme a Tommy LiPuma e George Duke e suona, oltre al basso, chitarra elettrica e clarinetto basso.


 


 



Scomparso Davis, Marcus Miller suona con Lenny White e Mark Stevens nel gruppo dei Jamaica Boys (con cui incide un paio di album oscillanti tra rap-reggae e pop-funk-blues) e inizia a comporre musica anche per il piccolo e il grande schermo (per quest’ultimo davvero tante le colonne sonore finore incise, da “House Party” del 1990 fino al recente “Obsessed” del 2009).


 



A partire dai primi anni Novanta riparte stabile e proficua la carriera solista di Miller. Forma una propria band in cui, di volta in volta, si alternano prestigiosi ospiti, collaboratori e solisti di ogni ambito e genere musicale. È la consacrazione di un successo ormai mondiale nel segno del crossover funk, dell’electric jazz-blues e del pop-rock che passa attraverso titoli quali The Sun Don’t Lie (PRA, 1993), Tales (PRA,1995), Live And More (GRP, 1998), il superlativo M