Più che un elogio a Pasolini forse dovremmo parlare di fotografia, istantanea visionaria, una polaroid del nostro tempo e delle tante chiavi di lettura che la vita e l’essenza di Pasolini ha lasciato su tutti noi… ancora oggi. E Marco De Annuntiis in questo ANTI SINGOLO di 8 minuti, in questa lunga poesia beat che dipana sotto una melodia dai toni americani e reiterata all’infinito, spolvera la storia e l’attualità, inchioda al muro la verità e la riveste poi di sottilissimo cinismo piccante celato da quel certo modo di usare le parole che non hanno tempo da perdere dietro la scontata trama dei significati. E poi un disco, appena precedente: “Jukebox all’Idroscalo”. E tornano prepotenti i caratteri beat di Ginsberg e dello scrittore ucciso in quella notte ostiense. E sono canzoni notturne, fumate, con la r-moscia – anzi uvulare, non moscia – di finte radici nobiliari, di rum invecchiato e di sigari toscani. E il suono, su tutto, ci riporta l’Italia degli anni ’60. Per capire i testi di Marco De Annuntiis non bisogna lasciare spazio alle distrazioni.
Partiamo proprio dalla fine: l’antisingolo per Pasolini. Ci racconti come nasce?
Sotto lo stesso cielo nasce come una poesia, poi ho iniziato a performarla dal vivo ed è cresciuta sera dopo sera. Si fa un gran parlare di rapporto fra poesia e canzone, siccome scrivo entrambe le cose so cosa hanno in comune e quali sono le differenze. Mi sono reso conto che avevo qualcosa da dire e volevo farlo senza limiti, senza mediare con le formule del pop; il che comunque non significa che una struttura non ci sia. Del resto per gli standard di oggi anche una canzone di tre minuti e mezzo è considerata “troppo lunga” dai produttori e dalle radio, quindi ho pensato “chi se ne frega, chi vuole ascoltare ascolterà”. Anche il video che la accompagna (girato da Lorena Strummer) non è un vero videoclip ma più un cortometraggio, una sorta di documentario che arricchisce di senso l’operazione.
Che poi non penso si tratti solo di Pasolini. Ci leggo la vita di tutti… ancora oggi…
Pasolini è in tutte le periferie del mondo, come è presente nelle biblioteche più insospettabili. Su Ostia è nata una mitologia noir che ormai l’ha resa un simbolo della periferia in senso universale. Ma al di là delle narrazioni serializzate è un territorio composito, il pezzo si chiama così proprio perché “Sotto lo stesso cielo” avvengono tante cose diverse contemporaneamente, che nemmeno si accorgono di convivere l’una con l’altra.
i incuriosisce il suono di questo lavoro. Non è beat e non è pop. E a dirla tutta non è neanche indie… ci dici come orientarci?
È stato uno dei rari casi in cui ho scritto il testo prima della musica e ho capito che poteva essere eseguita solo come un pezzo di “spoken word”. Non è davvero poesia, ma nemmeno una canzone pura, mi sono ispirato ai pezzi recitativi di Jim Morrison e di Serge Gainsbourg, dove la base musicale è ripetitiva ma cambia continuamente di dinamica, è la teatralità dell’interpretazione che lo fa stare in piedi.
La tua erre “moscia”. Un marchio di fabbrica. Un modo per interpretare la parte o un “difetto” che hai celebrato per il genere di musica che fai?
La R uvulare (non “moscia”) è una caratteristica di famiglia che ha stroncato sul nascere la mia ambizione di diventare attore, come a suo tempo stroncò quella di mia madre. Forse anche per questo poi ho deciso di approfondire gli chansonnier francesi più che i cantautori italiani, è un modo di intendere la canzone che sento più affine.
Qualcuno ti ha descritto come un “finto nobile” o qualcosa di simile… cioè?
Ah sì? Non lo sapevo… che seccatura, se qualcuno davvero va dicendo questo mi toccherà sfidarlo a duello. Sicuramente non sono affatto ricco, anche se molta gente ne sembra convinta, forse lo sarei se non avessi dilapidato un patrimonio in droghe. Ma l’importante è ripartire, anche se ti è rimasto in mano poco per farlo.
De André secondo te va smitizzato? Oppure va smitizzato proprio il concetto di mito?
Ha detto tutto Kopp in un vecchio libro: “Conosci il tuo Buddha e uccidilo”. I miti quando crollano fanno un gran rumore. Avere degli idoli è un bisogno primordiale, ma spesso è un alibi per non provare a fare di più. Continuo a pensare che la canzone su Fabrizio De André sia stata un colpo di genio, anche se è stata sciagurata. È fastidioso che qualcuno pensi che io manchi di rispetto ad artisti che amo forse di più, sicuramente da più tempo. La verità è che se la gente incominciasse ad adorare come un totem che so, il Camembert, mi passerebbe la voglia anche di mangiare quello.
E se tu fossi un mito? Ti starebbe bene?
In realtà per alcuni (pochissimi e certamente pazzi) mi rendo conto di esserlo sono già. È una cosa che un po’ mi diverte, un po’ mi preoccupa. A sparare a John Lennon fu un suo fan, mica un suo “hater”.