Chitarrista avventuroso e versatile, nonche’ improvvisatore e compositore di vaglia, Marco Cappelli e’ oggi una preziosa testa di ponte tra la fertile scena sperimentale di New York (luogo dove vive e opera da molti anni ormai) e la ricca tradizione del panorama musicale italiano. Una dicotomia culturale ed estetica che il musicista napoletano ha sempre vissuto e gestito con estrema intelligenza e disinvoltura, sintetizzando caratteristiche e linguaggi differenti su piani espressivi complementari, all’insegna di collaborazioni, progetti e idee che mirano a tenere in piedi un discorso e un percorso artistico sintatticamente vario e articolato, fondato tanto sulla ricerca nel campo dell’avanguardia, della musica classica e della colta-contemporanea, quanto sulla dimensione legata all’improvvisazione, alle radici del folk e del blues o ai piu’ innovativi aspetti del pop-rock. Formatosi al Conservatorio romano di Santa Cecilia e alla Musik Akademie di Basilea, a Napoli Marco Cappelli ha subito interagito con artisti e musicisti di calibro per dar vita, nel 1993, all’Associazione Dissonanzen, promotrice di importanti rassegne concertistiche volte a diffondere e sviluppare, anche attraverso l’attivita’ dell’Ensembe Dissonanzen, un discorso sui piu’ autorevoli linguagggi e repertori della musica accademica e sperimentale, sovente collegati anche a originali proposte di danza e teatro. Trasferitosi a New York dal 2002, Cappelli ha subito trovato modo di farsi notare e collaborare con molte delle piu’ note e autorevoli personalita’ musicali della scena Downtown, suonando e incidendo con Anthony Coleman, Michel Godard, Butch Morris, Jim Pugliese, Marc Ribot, Elliott Sharp, Kato Hideki e Andrea Centazzo. Gia’ titolare di una consistente ed eterogenea discografia (contrassegnata dal marchio di etichette prestigiose quali Mode Records e Tzadik), Marco Cappelli alterna la sua intensa attivita’ musicale con quella didattica, essendo docente di chitarra classica al Conservatorio Vincenzo Bellini di Palermo e Associate Professor presso il Music Department della Columbia University di New York. Da anni amico e collaboratore del batterista siciliano Francesco Cusa, ha organizzato a New York una serie di concerti promozionali per diversi progetti del collettivo Improvvisatore Involontario. Proprio con Francesco Cusa e il bassista-contrabbassista Luca Lo Bianco, ha fondato l’Italian Surf Academy, progetto in circolazione sin dal 2010 ma solo da qualche settimana giunto al debutto discografico con l’album The American Dream (Mode Records, 2012). Marco Cappelli e Italian Surf Academy presenteranno l’album e il nuovo repertorio dal vivo (con la partecipazione della vocalist Gaia Mattiuzzi) venerdi’ 3 agosto, nella penultima serata dell’edizione 2012 dell’Orsara Musica Jazz Festival, ragion per cui abbiamo colto al volo l’occasione di fornire ulteriori dettagli sul progetto e molti altri aspetti e interessi del personaggio nell’intervista che segue.
Sound Contest: Partiamo subito dal progetto Italian Surf Academy, attivo gia’ da un bel po’ di tempo. Piu’ precisamente quando e’ sorto, su quali direttive estetiche si basa e soprattutto com’e’ nato il sodalizio con Francesco Cusa e Luca Lo Bianco?
(Marco Cappelli) Il progetto e’ nato tre anni fa un po’ per per gioco come Marco Cappelli Surf Trio quando, ricominciando a frequentare la Sicilia per motivi didattici, decisi di proporre a Luca e Francesco – musicisti con cui da tempo condividevo grande sintonia e con i quali avevo gia’ avuto occasione di collaborare – di suonare covers di surf music americana. Al tempo ero molto interessato a quelle sonorita’ poiche’ mi ero convinto – stimolato da svariate chiacchierate con Marc Ribot – che l’identita’ della chitarra elettrica passasse attraverso quella parte della cultura americana identificata dai cosiddetti B-movies e da certa musica leggera. Io, provenendo dalla chitarra classica e dalla musica contemporanea – ma avendo il background di ascolti e visioni di qualsiasi individuo della mia generazione – avevo voglia di studiare quel suono per avvicinarmi ad uno strumento che conoscevo meno.
“The American Dream”, il vostro album di debutto ufficiale, sarebbe gia’ un feticcio obbligato per la splendida e maliziosa immagine di copertina (a proposito chi l’ha scelta?). I generi da cui attingete (surf, twang e hot rod music, colonne sonore spaghetti western e cult B movies italiani) hanno una ricchissima tradizione e produzione di repertorio. Quali ragioni o predilezioni vi hanno portato a scegliere gli autori e i brani selezionati per il disco?
Ah Ah… la copertina – ovvia citazione del mitico Fausto Papetti – e’ di mia moglie Maria Isabel Gouverneur che ha curato la grafica di diversi miei dischi con uno stile inconfondibile… Con mia grande sorpresa in America viene ritenuta antifemminista e pure un po’ scandalosa. Pensa che io ne preferivo un’altra versione, in cui una bellissima donna nuda giaceva su una spiaggia hawaiana con un teschio tra le gambe: mi pareva piu’ azzeccata per rappresentare “The American Dream”, ma giu’ tutti a dire che era troppo esagerata e non me l’hanno fatta fare. Sia come sia, l’anno scorso abbiamo avuto occasione di fare alcuni concerti in USA, tra l’altro in particolare a New York, in diversi club di Manhattan e Brooklyn.
A quel punto ci e’ sembrato assurdo, essendo tutti e tre italiani, andare in America a suonare cover americane, pur sentendo che quei materiali in qualche modo ci appartengono … pensando a come venirne fuori, mi sono reso conto che tanti film che ho visto da bambino e da adolescente – dal western al poliziesco alla spy story – sono accompagnati da colonne sonore che ricalcano sonorita’ surf. Allora ho messo a fuoco il paradosso: il cinema americano ha influenzato la fantasia di tanti artisti europei, che dopo la seconda guerra mondiale hanno guardato all’America come ad una sorta di Eldorado immaginario. In particolare abbiamo una corrente italiana che ha prodotto films allora definiti di serie B ed oggi oggetto di culto – penso ad esempio all’opera di Mario Bava – e che in certi casi ha addirittura costituito un genere specifico ed ammirato come il cosiddetto “spaghetti western”. Ebbene, queste pellicole erano musicate da giovani compositori di ottima scuola e dotati di gran classe, che non a caso hanno successivamente fatto grandi carriere conquistando ruoli di primo piano proprio in America: basta pensare ad Ennio Morricone e Riz Ortolani, senza dimenticare Luis Bacalov, Armando Trovajoli, Piero Umiliani e Carlo Rustichelli, tutti nomi che troviamo nel volume “Mondo Exotica” di Francesco Adinolfi (Edizioni Einaudi, 2000), indicati come riferimenti di un genere diventato cult. Dunque ce n’e’ a sufficienza per giustificare, non senza una certa necessaria forzatura del termine “Surf Music”, il nome dato al progetto, ribattezzato come Italian Surf Academy.
Prima i Guano Padano e adesso voi. Due formazioni in trio che sembrano guardare verso lo stesso orizzonte. Con la differenza che nei dischi dei Guano troviamo numerosi brani originali ricchi di citazionismo e i contributi di molti musicisti ospiti, mentre l’Italian Surf Academy ha solo la sensualissima voce di Gaia Mattiuzzi e sembra proporre direttamente i modelli originali per poi effettuare su quei temi un lavoro piu’ ricercato di invenzione e trasfigurazione, per alcuni versi anche a discapito di una vena d’irruenza che nei Guano e’ piu’ marcata. Questa e’ la mia opinione. Ma a tuo avviso, cosa differenzia e cosa invece accomuna questi due progetti?
L’accostamento con Guano Padano mi onora: conosco i suoi musicisti e li stimo molto. Pensa che un promoter palermitano aveva addirittura ipotizzato un Italian Surf Festival con Guano Padano, noi e Calibro 35 … purtroppo non se ne e’ fatto niente – almeno per ora – ma e’ interessante vedere come in effetti intorno ad un genere di riferimento si coaguli il lavoro di diversi musicisti. Comunque mi sembra che la differenza con noi sia principalmente nella massiccia dose di improvvisazione che rende il nostro approccio assai caratteristico. Noi partiamo dalle “covers” per sconfinare dovunque il gioco della memoria ci porti. Dal vivo non chiudiamo mai i brani in un arrangiamento e lavoriamo in prova solo sulle sonorita’ dei materiali tematici, proprio per scoprire insieme dal vivo dove ci porta in tempo reale il flusso dei riferimenti. È un gioco molto affascinante, sempre sul filo e dunque di difficile equilibrio, possibile solo con musicisti che condividano non solo un’estetica ma anche un background culturale ed un senso dell’humour: tutto cio’ rende i componenti di Italian Surf Academy insostituibili.
Il pubblico ci segue con entusiasmo in questo percorso, e si lascia condurre in pericolosi territori “noise” forte del solido riferimento costituito da temi che riecheggiano nella memoria di ciascuno, confermando che anche le musiche piu’ difficili possono essere portate al grande pubblico scegliendo percorsi opportuni (il nostro naturalmente non e’ l’unico ma funziona!). Per quanto riguarda la presenza di Gaia Mattiuzzi nel disco, si e’ trattato di un fatto abbastanza casuale – quando abbiamo registrato in un piccolo ma magico studio di Brooklyn lei si trovava a New York nell’ambito della rassegna di Improvvisatore Involontario da me curata – ma che si e’ rivelato una svolta nel nostro lavoro, tanto che oggi Gaia fa parte stabilmente del progetto, ridisegnato come quartetto. Dopo “The American Dream”, nostro album di debutto, pensiamo infatti gia’ al futuro con lei e con diverse altre sorprese …
Passiamo invece ad altre tue sfere d’azione, collaborazioni e produzioni discografiche. In che misura la tua formazione classica sulla chitarra convive con i tuoi interessi verso la musica sperimentale e contemporanea? Quale dei due aspetti, o meglio, che tipo di chitarrista, sta prevalendo in questa fase della tua carriera?
Mah, questa domanda mi mette in seria difficolta’. Io mi ostino a seguire un istinto che mi porta a passare da Italian Surf Academy a programmi solistici misti di repertorio e musiche mie e/o scritte per me, ai quintetti di Boccherini per chitarra ed archi, all’interpretazione di opere prime di compositori come Fabrizio de Rossi Re e Giovanni Sollima (con l’ABC Modern Trio, formato da me, dall’arpista Lucia Bova e dal mandolinista Avi Avital), alla straordinaria esperienza di Caged Funk (rilettura funky di John Cage con Marc Ribot e Bernie Worrell), alla scrittura ed esecuzione dal vivo di musiche per la danza (sono appena stato in tour in Corea del Sud con un’ottima compagnia newyorchese: “White Wave Young Soon Kim Dance Company”) al duo con le percussioni di Adam Rudolph …. e mi fermo qui per non annoiare, non prima di aver condiviso con voi la felicita’ per la recente notizia relativa alla presenza di un film per il quale ho scritto le musiche al prossimo Festival di Venezia: si tratta di “Intervallo”, di Leonardo di Costanzo.
Comunque va detto che non sempre questa varieta’ giova alla carriera … nel senso che rivela qualcosa di sfuggente alle categorizzazioni che, se talvolta impressiona positivamente critici ed organizzatori, talaltra li mal dispone, causa mal di mare. Io, d’altra parte, non posso farci niente se vedo tutto cio’ come il frutto di un unico pensiero musicale, che disegna percorsi che spesso comprendo davvero solo a distanza di qualche anno.
Cosa mi dici dell’Ensemble Dissonanzen? A quali materiali state lavorando ultimamente e come mai non e’ ancora uscita una nuova incisione dall’ultimo lavoro dedicato a Hanz Werner Henze? Che aspettative nutri dalla costituzione e dalle attivita’ promosse della rete associativa ‘Namusica?
L’Ensemble Dissonanzen e’ una pietra miliare del mio percorso, con compagni di viaggio quali Claudio Lugo, Tommaso Rossi, Ciro Longobardi, Francesco d’Errico, Marco Sannini. Nasce e si sviluppa a Napoli, mia citta’ natale, e dunque risente degli alti e bassi collegati agli umori delle amministrazioni di turno, dalle quali dipendiamo, insieme con piccole ma significative partecipazioni di sponsor privati, per le solite cose che rendono possibile l’attivita’ artistica: spazi, finanziamenti, ecc ecc.
L’attuale assessore alla cultura, pur nella crisi delle finanze, si sta mostrando particolarmente attenta alle realta’ come la nostra, e dunque prevedo una fase positiva, gia’ inaugurata a Maggio scorso con il festival ‘Namusica. Tale fase fara’ perno sulla Casina Pompeiana, uno spazio piccolo ma molto bello e centrale, che il Comune intende concedere alla rete.
È vero comunque che negli ultimi anni l’attivita’ dell’Ensemble ha virato dalle opere di repertorio che hai citato, verso territori meno definiti dall’etichetta di un genere ma non per questo meno affascinanti, come la recente collaborazione con Adam Rudolph, nostro ospite a Napoli per la seconda volta a dirigere un orchestra di circa 40 elementi da noi messa insieme. È di prossima uscita un cofanetto che documenta 20 anni (wow!) di attivita’ dell’Associazione Dissonanzen, attraverso il quale sara’ possibile ricostruire le varie fasi della nostra attivita’: ascoltare per credere!
Molto bello e particolare e’ stato il disco “Les nuages en France” uscito lo scorso anno e intestato al tuo trio acustico con Ken Filiano e Satoshi Takeishi. Un album che ha portato allo scoperto la tua passione per la scrittrice Fre’de’rique Vargas. Me ne vuoi parlare? Perche’ proprio lei e che relazione hai pensato di innescare tra la musica e l’universo dei suoi singolari personaggi?
L’Acoustic Trio e’ un progetto al quale tengo molto, per il quale le musiche che scrivo sono completamente originali. Devo dire che l’interplay raggiunto con Ken e Satoshi e’ straordinario: sono davvero due personaggi fantastici, sia come musicisti che come persone. Il riferimento alla letteratura “noire” e’ relativamente importante … almeno nel caso di “Les nuages en France”: si tratta piu’ che altro di un pretesto per immaginare materiali tematici e successivi sviluppi che fanno della ricerca di semplicita’ e forza ritmica il proprio baricentro. Diverso e’ il caso del materiale del prossimo CD, al quale stiamo lavorando: qui il riferimento all’opera di Maurizio de Giovanni – autore del fortunato ciclo del Commissario Ricciardi – prende spunto da un rapporto diretto con lo scrittore, insieme al quale stiamo pensando ad una collaborazione dal vivo.
Un’altra recente produzione, che ti ha visto direttamente coinvolto e’ stata quella relativa alle musiche contenute nel DVD “In The Shadow Of No Towers”, ispirato dall’omonimo libro a fumetti di Art Spiegelman e con la partecipazione di John Turturro. In questo caso da quali urgenze o interessi sei partito e quanto e’ stato impegnativo organizzare il prodotto finito?
Quello e’ un progetto che ha avuto una gestazione lunghissima … nato nel 2008 come “videoconcerto” a cura mia e di Syntax Error (con Daniele Ledda e Roberto Pellegrini) – proprio in occasione di una prima a Napoli per il Festival Dissonanzen – il lavoro e’ stato successivamente notato dalla Mode Records che ne ha proposto la pubblicazione in DVD a patto che si trovasse un attore americano rappresentativo che ne curasse la versione inglese del testo (recitato in italiano da Enzo Salomone). A quel punto alcuni amici che avevano lavorato a Napoli al film “Passione” mi hanno messo in contatto con John Turturro che ha accettato la proposta, consentendoci lo strike: infatti, trainato dal nome di Turturro e dello stesso Spiegelman, il DVD, che in effetti e’ molto originale, sta facendo il giro di diversi Film Festivals (Toronto, Londra, Atlanta … ed altri in cantiere). Pensa che siamo stati invitati a settembre prossimo per un live al Lincoln Center di New York … sperando che l’agenda di John lo consenta!
Sono stati molto apprezzati, da critica e pubblico, i tuoi precedenti album incisi con l’EGP (Extreme Guitar Project) e l’IDR (Italian Doc Remix). Pensi di rimettere mano a quelle belle situazioni e incidere nuovo materiale o dobbiamo considerarle come definitivamente archiviate?
Ho da anni in mente un EGP 2, ma e’ impossibile partire senza un finanziamento per un nuovo ciclo di commissioni: dunque puoi immaginare che con i tempi che corrono l’idea sia in stand-by. Per quanto riguarda IDR – Italian Doc Remix (quintetto con Doug Wieselman, Jose’ Davila, Ken Filiano ed il mio co-leader Jim Pugliese nonche’ con l’ospite fisso DJ Logic) invece posso qui annunciare la “ripresa delle ostilita’”: lo scorso marzo abbiamo battezzato un nuovo repertorio dedicato alla musica di Nino Rota, che insieme con il materiale sulla tradizione del Sud Italia del CD pubblicato da Itinera, costituisce il nostro nuovo corso. Non e’ facile portare in giro un sestetto con la crisi che c’e’, ma su Youtube puoi trovare dei video di IDR che dimostrano quanto forte sia questa musica. Io spero in un tour di qui a breve.
Da anni hai anche un progetto denominato 2 Sky Trio, che ti vede assieme al violino della talentuosa Jennifer Choi e alle percussioni koreane di Von-gu Pak. Cosa mi dici al riguardo e quando pubblicherete qualcosa?
Purtroppo 2 Sky Trio e’ il classico esempio di una splendida collaborazione che si perde per strada, a causa del frullatore a massima velocita’ in cui si vive a New York. Jennifer e’ una violinista fantastica, non a caso scelta da John Zorn per molte sue prime esecuzioni, e Vong sta portando avanti la sua ricerca che ha origine nella tradizione delle percussioni coreane con una sua rock band. Non escludo pero’ che prima o poi avremo occasione di ricominciare a suonare insieme …
Cosa si muove e si sente adesso a New York che ti sembra importante e interessante? Hai avuto modo di effettuare nuovi incontri stimolanti, oltre ai partners e ai musicisti con cui ti frequenti e operi gia’ abitualmente?
Io sono del parere che con l’avvento della rete il “luogo” dove le cose nuove avvengono sia sempre meno limitato ad un luogo reale e geograficamente localizzato: credo piuttosto che sia piu’ importante seguire cio’ che accade nei luoghi virtuali. Ma naturalmente le epoche storiche ed estetiche si accavallano senza lesinare dissolvenze e dunque a New York, citta’ sempre piu’ invivibile per artisti che non siano gia’ affermati o figli di papa’ senza problemi di reddito, le tendenze per me piu’ interessanti sono quelle legate alla scena dell’elettronica e della visual art, nonche’ ad una propaggine del jazz proveniente dalle ricerche ritmiche di personaggi come Steve Coleman. Un nome per tutti: Vijay Iyer.
Infine, oltre alla promozione del disco e ai concerti con l’Italian Surf Academy, cos’altro cuoce in pentola nell’immediato futuro?
Be’, mi sa che ne ho dette di cose. Concluderei annunciando il “release concert” dell’Italian Surf Academy in ottobre, in una serata che divideremo con i Ceramic Dog di Marc Ribot. Con Marc e Caged Funk saro’ a Parigi a dicembre, e prima dovrei passare da Napoli per attivita’ legate a ‘Namusica.
Links:
Marco Cappelli: www.marcocappelli.com
Orsara Musica Jazz Festival: www.orsaramusica.it