Penso che il pop sia una dimensione quasi definitiva, un approdo sicuro dentro cui la scrittura musicale ha trovato la quadra di massa. Ogni variazione sul tema poi finisce per creare direzioni altre e mode parallele. Mi affascina sempre chi al pop chiede comunque una personalità che si celebra sui dettagli delle soluzioni, delle piccole cose… come nella vita reale degli uomini. Lorenzo Bonfanti ha preso il suo suono, dei suoi strumenti (quasi in solitaria potremmo dire) e ha celebrato l’urgenza di dar loro una forma coerente e pulita, semplice e per niente esoterica, in cerca di chissà quale arrogante novità. “Amare è così” sembra un manifesto del suono: il pop è così. L’autore e il cantautore poi si mettono a nudo e ogni cosa, pur se vestita, suono di una solidità che non manca di nulla.

 

 

Un suono davvero preciso, pulito e puntuale. Raccontacelo: come nasce, come ci hai lavorato?
Innanzitutto, grazie per queste bellissime parole. Il disco è nato dall’esigenza di “buttare fuori” qualcosa di mio, che rispecchiasse ciò che sono ora. Al disco ho lavorato in solitudine, registrando ogni strumento da solo dedicandomi all’arrangiamento facendo affidamento al gusto nato dall’ascolto di tanta musica differente. È stato un percorso di crescita in cui ho dovuto affrontare parecchie difficoltà poiché in alcuni momenti era difficile uscire dagli schemi preimpostati di scrittura di una canzone.

 

Alla fine dei lavori? Nel riascoltare il tutto, hai trovato qualcosa che somigliava alle idee che avevi all’inizio?

Tutto e niente. Se mi piacerebbe che le canzoni suonassero diversamente o che le avessi arrangiate diversamente? Si, in tutta onestà, ma credo che sia legato proprio al discorso di crescita personale che menzionavo prima. La mia necessità era quella di “presentarmi” e provare a raccontare chi sono tramite un disco. Ho imparato moltissimo, soprattutto lasciarmi andare senza cercare di cambiare ogni canzone cento volte.

 

È sempre curioso sapere se oggi cambieresti o riscriveresti qualcosa in modo diverso. Un po’ come dire: ho cambiato opinione…

Ecco, ho anticipato la risposta nella domanda precedente: chiedo scusa (me lo dico sorridendo).

Se posso aggiungere vi confesso che ogni canzone è stata registrata e modificata almeno quattro/cinque volte per poi arrivare, in brani come Danny, a capire che un arrangiamento troppo ricco avrebbe reso la canzone lontana dal significato del testo quindi ho optato per lasciarla nuda.

 

Perché poi il disco si chiude con un brano “sghembo” rispetto al resto del disco? Che responsabilità ha Sfigato?

Ogni canzone parla di amore e l’amore per se stessi credo sia il fondamento di ogni cosa. Mi spiego meglio: non intendo dire che amo la persona che sono, ho lavorato tanto su me stesso e volevo raccontare la storia di un ragazzo che ha scritto una canzone su un fazzoletto sopra ad una macchina da trafila mentre sognava in grande e ha cercato in tutti i modi di riuscire ad iniziare ad inseguire il suo sogno. Direi quindi che imparare a lavorare su stessi e provare ad apprezzarsi un pochino, ogni tanto, ci aiuta a buttarci in cose nuove sapendo soprattutto chi si è per rimanere fedeli a se stessi senza dover scendere a troppi compromessi se non quelli del rispetto per se stessi e per tutte le persone che ci circondano.

 

E poi in Colore ho trovato il manifesto di questo lavoro. Tu sei cambiato? È un bel messaggio quello di non vergognarsi di certe mutazioni…

Ti ringrazio perché di tutte le canzoni del disco Colore è quella a cui sono più legato. Volevo fosse proprio un manifesto: non permettere a nessuno di dirci che cos’è la felicità per noi, di non farci vergognare delle scelte che prendiamo cercando la felicità (o la serenità sarebbe più appropriato dire) e di capire che fallire è un diritto perché solo così possiamo capire come rialzarci.