Nuova cantautrice sulla scena italiana, un esordio a cui perdoneremo molte cose anche grazie all’audacia e alla capacità di sperimentare una scrittura che non è certamente innovativa, ma di sicuro neanche scontata. Lisa Giorè pubblica il suo primo lavoro autoprodotto dal titolo “Le via dell’insonnia”. Un disco di dieci inediti personali e autobiografici, un sound che per alcuni tratti sfocia in America – come nella bellissima chiusura affidata a “L’effetto del vento”, mentre per molte altre parti resta ben ancorata ad una cultura italiana. C’è tanto sapore epico, quasi dark ma la cantautrice toscana si tiene ben lontana da strumenti distorti e sapori di metal. Un disco di musica leggera italiana, un lavoro squisito che sceglie con cura il target di pubblico adatto ad un simile ascolto. Dietro il femminile tocco di stile c’è anche tanta contaminazione verace, fuori controllo, senza particolari regole e aspettative. La maturità probabilmente le regaleranno anche quelle…per ora si va sciolti e senza legacci ai polsi.
Che radici geografiche ha la musica di Lisa Giorè?
Credo che ci sia un po’ di tutto: io sono toscana, ma ho origini liguri, piemontesi e campane, i ragazzi della band vengono dalla Sicilia, dalla Campania e dalla zona del Monte Amiata. Tutti abbiamo sempre ascoltato davvero di tutto, musica italiana, statunitense, sudamericana, balcanica, europea, quindi le influenze sono state molteplici ed estremamente differenti tra loro. Ci siamo ritrovati tutti a Siena, un incrocio di destini molto proficuo sotto l’aspetto musicale e sotto quello personale.
In molti tratti ho intravisto una maturità di chi non è così giovane come dimostra di essere. Che ispirazioni e che influenze hai subito e accolto per la scrittura?
Ad onor del vero adesso non sono più esattamente una ragazzina, ho compiuto trent’anni quest’anno: credo sia un’età per la quale la maturità dovrebbe essere ormai cosa scontata, è il contrario che dovrebbe, e sottolineo dovrebbe, essere un’eccezione. I brani dell’album risalgono tutti più o meno a circa quattro, cinque, sei anni fa, un periodo in cui sicuramente non ero serena e durante il quale mi sono ritrovata a dover fare i conti con determinate cose: questo ha sicuramente influito sulla mia costruzione, come accade a chiunque si ritrovi a vivere delle difficoltà, in gran parte sono quelle che ci fanno crescere ed evolvere. Per quanto riguarda lo stile della scrittura, più che di prendere l’ispirazione, che è un atto consapevole, parlerei di influenze, che sono qualcosa di inconsapevole, che si assorbe in seguito all’esposizione e all’ascolto di ciò che si ha intorno, che contribuisce a creare e plasmare lo stile di ciascuno. Circoscrivendo la questione al campo della musica italiana, i primi artisti che ho ascoltato sono stati Alice e Franco Battiato, poi amo i Matia Bazar dell’epoca di Antonella Ruggiero e quel filone di cantautori anni ’90 come Max Gazzè, Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Carmen Consoli e Paola Turci, non riesco però ad essere oggettiva nel rendermi conto di quanto e se si sentano eventuali echi di qualcuno di loro nei miei brani.
C’è tanto buio di notte, notte intesa come momento della giornata, ma anche notte come un buio intimo e introspettivo. Come mai toni così duri e severi?
La notte è qualcosa che può sembrare vuoto, ma in realtà è solo un vuoto apparente, perché tutte le cose sono al loro posto, celate dal buio e questo vale sia per la notte temporale, sia per quella interiore. I pensatori ossessivi la conoscono bene, di qualunque tipo di notte si stia parlando, e ne fanno un rifugio in cui stare lontani dal mondo e sfogare se stessi: “Lo sfogo creativo che placa il tormento” sulla conclusione di “Sabbia”, una delle tracce dell’album, è proprio ciò di cui sto parlando.
Eppure se per tutto il disco si parla di ansie e cattivi pensieri è anche vero che ci sono brani come “Scarse prospettive” o come “Parlo di te” che hanno tanta luce dentro…
In “Scarse prospettive” la luce è solo apparente, perché nonostante la musica allegra, il testo racconta una situazione di noia, insofferenza e mal sopportazione reciproca tra due persone che in passato stavano bene insieme: non è luce quel luccichio che vedi, è ironia. “Parlo di te” invece è piena di chiaroscuri, racconta come si arriva ad una condizione positiva dopo aver attraversato momenti neri.
Ma dicci la verità: “Le vie dell’insonnia” è servito per esorcizzare o superare ostacoli personali?
Direi che è servito a raccontarli e a metterci un punto fermo, è una cosa che ho fatto adesso, ma che parla del passato, di cose con cui ho convissuto e che fanno parte di me, anche se non ci sono più: questo album è la scatola delle fotografie che si rinchiudono lì per non vederle e che si riapre dopo tanto tempo con una consapevolezza diversa.
E quindi, immaginando il futuro, l’undicesima traccia di Lisa Giorè come si potrebbe intitolare?
Molti utilizzando lo stesso titolo per l’album e per uno dei brani, ma a me non piaceva come idea, quindi potrei far evolvere il suddetto titolo ed intitolare l’ipotetica undicesima traccia “I benefici di un numero di ore di sonno compatibile con la vita umana”.