LEONARDO DE LORENZO | Il suono di mille tamburi

All’indomani dell’uscita del suo nuovo lavoro, “on fiVe”, abbiamo incontrato il batterista Leonardo De Lorenzo per farci raccontare qualcosa in più del suo mondo musicale.

 

Parliamo di “on fiVe”, il tuo nuovo lavoro: come è nato dal punto di vista della scrittura dei pezzi, che sono sicuramente complessi ed articolati, ma straordinariamente “cantabili”?

Ho moltissimo materiale composto da brani e arrangiamenti già pronti, ma in questo avevo solo qualche cellula tematica. Sono sempre più proteso a scrivere forme e strutture articolate, dove posso giocare col ritmo e con le armonie e, anche se questo è un repertorio per quintetto, ho avuto il mio solito approccio. Mi sono seduto al pianoforte e ho cominciato a suonare i temi che erano già scritti cercando piano piano di arricchirli. Per quello che riguarda la cantabilità di questi temi, per me è condizione imprescindibile. Mi piace quando un tema semplice si appoggia ad un’armonia complessa che a sua volta gira su un ritmo complicato. Purché tutto questo funzioni bene! Per me la musica deve essere sempre fluida e fruibile.

Ascolta “on fiVe” e leggi qui la recensione

Per quanto riguarda in generale sul tuo modo di comporre, hai una prassi compositiva, dei punti di riferimento che ritornano nella tua scrittura?

A parte il rituale di scrivere una prima struttura veloce su pentagramma e provare e riprovare l’idea fino a quando non inizio a scrivere seriamente, non ho un metodo standard. Ogni volta è diversa e anche se con gli anni mi sono appropriato di tecniche e varie modalità compositive, l’approccio varia di volta in volta ed è influenzato dalla musica stessa e da quello che richiede in un dato momento dello svolgimento della composizione. Poi va detto che un brano può richiedere ore, giorni o mesi di lavorazione e mi regolo al momento. Qualche volta ho lavorato ore per creare una battuta come l’avevo in mente, altre volte le idee fluiscono all’istante, altre volte sto sul piano giorni senza riuscire a scrivere nulla di interessante. Il processo creativo non è mai lo stesso. Lo sono le tecniche di espressione di quel processo, ma la base è: avere qualcosa da dire. Una cosa che ho imparato a fare è di cancellare quello che non mi convince senza paura, sicuro che prima o poi mi verrà l’idea giusta.

Quali sono le tue fonti d’ispirazione, i musicisti che ti hanno influenzato nel tuo percorso, i dischi della “formazione”?

Io sono musicalmente onnivoro e qualsiasi musica può influenzarmi. O qualsiasi artista. Sono partito col rock e col rock sinfonico da ragazzino per approdare al jazz-rock, alla fusion e poi finalmente al jazz della tradizione. Un percorso un po’ al contrario se vogliamo, ma assolutamente coerente se penso che ho iniziato ad ascoltare un certo tipo di musica già verso gli otto-nove anni, complici, anzi responsabili, alcuni miei cugini più grandi che suonavano e con i quali avevo contatti frequenti. Con loro è stato naturale conoscere Frank Zappa, gli Yes, i Gentle Giant, i Genesis, Emerson, Lake & Palmer e tanti altri. Poi verso i sedici anni mi sono imbattuto in Stanley Clarke, Chick Corea, Billy Cobham, per arrivare come dicevo, alla musica più tradizionale nell’ambito del jazz. Se uniamo tutto questo ad ascolti anche nella musica classica, ti renderai conto dell’immensa quantità di stimoli e spunti che posso avere nella mia mente.

Tra le tante collaborazioni della tua carriera ce n’è qualcuna in particolare che ha lasciato il segno nella tua vita artistica?

Tutte le esperienze musicali del mio passato sono state formative, nel bene e nel male. Dai primi complessini da cantina di quando abitavo a Milano, per poi passare a gruppi decisamente più professionali anche se avevo ancora quattordici-quindici anni, sempre a Milano, quando provavo in una stanza del centro sociale Leoncavallo in via Mancinelli, fino al trasferimento in Campania, dove ho potuto conoscere musicisti straordinari con i quali ho suonato, registrato e vissuto relazioni importanti come l’amicizia. Non posso non citare il trombettista Marco Sannini, il chitarrista Pietro Condorelli, il mio amico più che trentennale Giulio Martino, il mio amico da quasi quarant’anni Pericle Odierna, la mia amica fraterna Elisabetta Serio. Con questi musicisti ho vissuto più esperienze musicali, di vario genere e tutte molto intense sia sotto l’aspetto artistico che umano.

 

Come sta il jazz in Italia visto dal tuo punto di osservazione?

Conosco musicisti eccellenti in tutta Italia anche se mi rapporto maggiormente con quelli del mio territorio e penso che dal punto di vista meramente artistico ci sia sempre tanto fermento e si produca moltissimo. Questo lo evinco anche dai tanti progetti in cui molti miei allievi prestano la propria opera e per questo potrei dire che non siamo messi male. Se devo lamentare qualcosa, questo è più relativo ad un problema di tipo strutturale e di sistema, dove non si permette con una certa facilità, a musicisti meno conosciuti, di accedere alle programmazioni dei festival e delle rassegne che dovrebbero promuovere nuovi lavori e musicisti.

 Progetti futuri? mi accennavi al lavoro di arrangiamento di un repertorio pop.

Ho in corso d’opera un cd orchestrale con una big band totalmente campana e costituita da giovani talenti del mio territorio, soprattutto vesuviani. L’organico si chiama Vesuvian Jazz Society e sto cercando di renderla un progetto stabile, in cui giovani musicisti delle mie zone possano, a rotazione, suonare e fare l’esperienza del lavoro in orchestra.

Al momento siamo fermi, ma abbiamo registrato un repertorio di brani del pop internazionale degli anni ‘80 arrangiati da me, nel 2019. Abbiamo anche fatto diversi concerti sia per conto del Conservatorio di Benevento dove insegno batteria jazz, che in altri festival campani. Nel frattempo avevo anche attivato un bel progetto ospitando il batterista internazionale Israel Varela. Il progetto prevedeva l’incontro della Vesuvian Jazz Society con la musica di Israel, che io ho arrangiato. Israel è un grande batterista-cantante ed anche un compositore che scrive musica bellissima. Io ho scelto alcuni suoi brani da suonare con questo organico e lui sarà ospite, suonando e cantando la sua stessa musica con questo “abito” inedito. In questo lavoro figurerò come arrangiatore e conduttore. Purtroppo il Covid19 ci ha fermato, ma siamo riusciti a registrare un pezzo in modalità “casalinga” in remote e l’abbiamo postato su Youtube. Spero di poter riprendere prestissimo anche questo bel lavoro.

Che musica stai ascoltando in questo periodo?

Come sempre ascolto di tutto. Su Instagram seguo molto musicisti come Antonio Sanchez, Joshua Redman, Avishai Cohen, Snarky Puppy e tanti altri, riuscendo a carpire informazioni sugli ultimi lavori discografici e novità di vario genere. Questo mi aiuta a tenermi sempre aggiornato su come gira la musica (ovviamente quella che interessa me), ascoltando materiali sempre molto interessanti.