Si intitola “Panir” questo lavoro strumentale che il chitarrista e compositore italo-indiano Krishna Biswas consegna alla memoria. Una pubblicazione RadiciMusic curata in ogni angolo perfino da un’estetica che si rende preziosa. Nel girare, la chitarra acustica che è intrappolata dentro questo disco, dipinge e poi straccia ogni tela. Sono 17 “canzoni” (visto che sono solo strumentali) di sola chitarra acustica appunto… e niente altro. E non è un viaggio quello che ci propone Biswas ma un’analisi, un’osservazione, un modo di stare al mondo. Ci confida la sua memoria e le sue sensazioni, i suoi incontri e le sue origini. Dunque in queste 3 suite e in altre 5 “canzoni” che sembrano vivere di filologia propria, il chitarrista ormai naturalizzato fiorentino, ci mostra una chitarra che danza con eleganza e saccenza tra ritmi polverosi e pacati, tra nebbie di sogno e ansie costipate in poco spazio. Energia e riflessione assieme. Tre colori per capitolare le 3 suite, ai colori si associano immagini e precisi significati. Ogni brano della suite lo racconta a suo modo. Personalmente ho abbandonato lo studio della lunga presskit che era a guida di questo ascolto e ho lasciato alle mie sensazioni di venir fuori. Consiglio l’ascolto di “Panir” in questo modo. Visto che il mondo tecnico e di scrittura è anni luce lontano dai soliti ascolti pop delle radio, conviene perdersi senza avvisare casa. Perdersi… nel bel video incornicia il singolo “Respira”.
Fingerstyle. Dopo Tommy Emmanuel diciamo che in Italia abbiamo scoperto (parlando di opinione pubblica) di questo modo di vivere la chitarra. Eppure?
Difficile per me dire qualcosa in merito; nonostante mi presenti come chitarrista acustico solista non replico un modello di scelte vicine a quelle di Emmanuel sempre attento alla ricerca della perfezione estetica. A mio avviso il mio punto di forza è la poetica dell’imperfezione.
“Panir” è un disco psichedelico. Credo di averlo anche letto altrove e mi ritrovo moltissimo. Psichedelico nello spirito e nella scrittura sicuramente. Ti ci ritrovi in questa definizione?
Mi piace il mondo dei viaggi mentali e le scoperte che comporta; mi fa molto piacere che evochi questo mondo.
Come il Jazz o la musica classica, anche questo genere lo porterei nella catalogazione di musica colta. Forse è la cultura che impone un filtro e una severità sugli strumenti da avere per la comprensione di un’opera simile la vera salvezza per l’opera stessa… o sbaglio?
Credo che per godere del materiale musicale che presento occorra essere animati dal desiderio di contatto con un’esperienza imprevedibile.
Ad un artista che scrive di immagini di vita non posso che fare questo tipo di domande: chi c’è dietro “Panir”? La vita che hai osservato o la vita che hai vissuto?
Dietro i brani ci sono elementi di vita personale vissuta in prima persona ed osservazione della realtà che mi circonda, il tutto in una miscela che si presta poco alla geometria.
E invece chi o cosa ci sarà dopo “Panir”? Qualcosa che sta raggiungendo o qualcosa che sognerai sempre di raggiungere?
Dopo “Panir” ci sarà un’altra ricerca di aderenza con me stesso attraverso il suono acustico della mia chitarra.