È da poco uscito su tutte le piattaforme “Se citofoni scendo”, il nuovo singolo del cantautore abruzzese Loris Dalì. Un pezzo impregnato di quella poesia che è possibile trovare soltanto negli attimi più semplici della vita quotidiana, tra una pila di piatti da lavare e un caffè sul fuoco mentre si scrive una canzone. Il videoclip che accompagna il brano fa parte di un reportage del fotografo Paolo Adduce che documenta lo stile di vita dell’artista mettendo in risalto la stagionalità in tutte le sue fasi e sfumature.
Abbiamo scambiato qualche parola con Loris per saperne di più:
Qual è stato il momento in cui hai capito che era ora di dar vita al tuo progetto musicale?
Ho sempre suonato e scritto canzoni, da quando mi esibivo ai concerti della scuola superiore con i primi gruppi improvvisati, poi con la mia band storica ho fatto centinaia di concerti, ma la musica non era ancora una parte importante della mia vita come lo è adesso. È arrivato un momento in cui la mia vita è cambiata e li ho deciso che era il momento di passare da considerarmi parte di una band ad essere Loris Dalì, cantautore. Ho sempre fatto musica, ma è dal 2014 che la faccio seriamente; infatti, quest’anno sono 10 anni di carriera. Il momento giusto per far uscire il mio quarto disco e per tornare live con la mia musica dopo tanto tempo.
Come senti di essere evoluto da quando hai cominciato a fare musica ad oggi?
Ho iniziato a suonare negli anni 90 ed allora funzionava molto il rock italiano, infatti inizialmente suonavamo cover di Litfiba, Negrita, Afterhours, Timoria. Era un modo di cantare in cui la voce un po’ roca, potente oppure molto alta erano cliché a cui andavo dietro, sinceramente. Tra l’altro nell’ambiente musicale in cui sono cresciuto c’era un po’ una gara per una effimera bravura tra una band e l’altra ed un metro di paragone era sicuramente il cantante e la sua voce. Poi quanto la band fosse potente e precisa. Ecco, da un bel po’ ho capito che tutto questo per me non ha importanza. La mia voce naturale si trova bene nelle tonalità più basse, preferisco suonare accompagnato da pochi strumenti e, se possibile, da seduto. Questo il mio cambiamento musicale, ma l’evoluzione maggiore è avvenuta in campi correlati alla musica in senso stretto. Negli ultimi anni mi sono dedicato molto alla mia identità artistica ed allo studio di argomenti che oggi è necessario conoscere molto bene se davvero da grande vuoi fare l’artista e magari riuscire anche a farci la spesa.
In che modo il brano “Se citofoni scendo” è rappresentativo della tua persona?
Come dico all’inizio della canzone ho una certa età e non ho più il fisico per diventare una rockstar. A dire il vero non ho neanche la voglia di provarci perché sono soddisfatto della mia vita artistica per come è ora. Lavorare d’estate in un ristorante sul mare ed uscire a fine servizio per suonare una canzone fa parte del mio essere artista così come quando da settembre a marzo mi dedico esclusivamente alla mia musica. Portare a spasso il cane e scrivere un ritornello, i piatti da lavare, sognatore quanto basta, una canzone sul fornello. Sono io.
Che musica stai ascoltando in questo periodo?
Alcuni grandi classici li assumo periodicamente, come una medicina, ma allo stesso tempo cerco di ascoltare sempre musica nuova e per questo Spotify è un ottimo strumento. In questo periodo mi sto appassionando alla musica africana ed ho scoperto artisti grazie ad una corposa playlist che comprende i grandi successi del continente Africa dagli anni 60 agli 80 ed è molto interessante. In alcuni brani si sente la contaminazione dalla musica europea o americana, in altri invece la tribalità rimane l’elemento essenziale. Poi ascolto musica d’ambiente oppure musica elettronica.
C’è un artista con cui vorresti condividere il palco?
Si. Un cantautore della penultima generazione che ha un approccio incentrato solo sulla musica ed oggi è cosa rara. È Francesco Motta. Anzi preferirei condividere uno studio di registrazione con lui, più che il palco.