INGAR ZACH | Trasgressioni, Connessioni

Doppia (ma non antitetica) veste professionale per Ingar Zach, strumentista e produttore: lungamente attivo sul campo in quanto sperimentato percussionista (con un passato di batterista ortodosso), noto per la produzione individuale quanto in variabili ensemble, ma non poco quale attivo produttore di una label d’avanguardia che sembra non essersi posta limiti sul piano delle sfide all’ascolto.

Apprezzato per la militanza da co-fondatore entro la libera band Dans les Arbres, oltre all’intercontinentale trio Mural, attivo entro varie formazioni aperte, del musicista e promoter norvegese Ingar Zach deve esser considerata con non minore attenzione l’attività di produttore tramite Sofa music, label da egli stesso fondata, e presso la quale ha edito una successione di lavori personali, a partire da “Percussion Music” a “M.O.S.” , quindi concedendosi alcune collaborazioni, per lo più in duo, tra cui spicca una performance in tandem con Derek Bailey (“Llaer”, registrata nel 2000 e cui sarebbe succeduta dopo due anni l’analoga “Seven”, pubblicata presso Incus).

ph Ariele Monti

Tra i più recenti album individuali del Nostro si segnala “Le Stanze”, articolato fra quattro titoli in italiano, tra cui spicca lo scintillante e notevole brano Il battito del Vichingo, segnato da peculiare luce e morfologie di cristallo raggianti a partire da un ostinato nucleo ritmico.

Più recente ed alquanto diverso, il lavoro in collaborazione con l’ensemble australiano Speak Percussion, che lo ha ospitato per una session presso Melbourne (“Before Nightfall One”) segnata da un unico movimento di vivace spettacolarità elettro-percussiva.

Ultima produzione a propria firma, “Floating layer cake” lo vede alla testa di un’insolita formazione cameristico-vocale cui s’affianca in associazione al sodale Kim Myhr (che aveva diretto il medesimo ensemble in una differente incisione per Hubro). Molto recente anche un’ulteriore prova in duo in cimento con Michele Rabbia (“so-nò-ro” per i tipi di CamJazz), e particolarmente consistente la nuova anzi triplice uscita discografica (“Volatil, Mausoleum, Ending Canberra”) con il proprio iconico quartetto Dans les Arbres.

Insomma, anche al di fuori di una comunemente intesa arena free-jazz, quanto entro una meno definibile arena avant, Ingar Zach ha edificato un profilo crescente quale carismatico esploratore della contemporanea arte percussiva che in scena allestisce una eterogenea panoplia strumentale, comprendente oggetti, elettroniche e combinazioni di altoparlanti, con una certa centralità da parte della grancassa, abitualmente caratteristica delle orchestre sinfoniche come pure delle primitive formazioni jazz.

All’indomani delle ultime pubblicazioni citate, abbiamo raggiunto Zach presso il suo studio di Oslo per alcune considerazioni conoscitive in una concisa intervista, che disvelano anche inattese realtà del recente mondo discografico scandinavo, nonché alcuni approfondimenti tecnici oltre che sul proprio pensiero in arte e sulle personali prospettive musicali, qui esposti in forma di interessante sintesi.

‘Sofa’ è una parola che evoca comfort e relax, non proprio ciò che sembri proporre nell’intero contesto della tua etichetta, a mio avviso un’autentica ‘palestra’ o quanto meno una sfida per l’ascoltatore. Quando hai deciso di darle il via e qual è il tuo personale bilancio come produttore (considerando anche lo stato dell’attuale music-business)?

Io penso che non sia corretto sottovalutare (ma nemmeno sopravvalutare) l’ascoltatore, e credo che la musica “dovrebbe” essere una sfida e, a sedere su un sofà, trovo che sia uno dei posti che preferisco per ascoltare un buon disco. Ammetto che all’inizio quando uscimmo con questo nome, non era certo per suggerire relax o comfort, sebbene non volessimo nemmeno suggerire l’opposto: accadde insomma che abbiamo preparato il primo album sedendo sul divano del mio salone.

Per quanto attiene ad un bilancio tra il mio ruolo quale parte in causa della casa discografica e quello di musicista, mi trovo davvero a mio agio. Abbiamo dato il via all’etichetta per pubblicare le nostre registrazioni, poiché in Norvegia non esistevano case che volessero nemmeno metterci le mani; ora è diverso, in giro c’è un bel po’ di label sperimentali. A me piace anche presentare giovani e nuovi artisti, e continuare a dar forma all’etichetta sia come produttore che come musicista.

 

Un racconto della Percussione.

I miei migliori Maestri sono stati …le prime! Due giovani ragazze che mi insegnarono come tenere le bacchette e come esercitare le tecniche di base: avevo sette anni ed esse fecero un gran lavoro nell’introdurmi alle tecniche rudimentali. E non ho mai avuto problemi con le mie mani e braccia proprio grazie a loro. In seguito, credo che siano stati il percussionista Raymond Strid ed il chitarrista Derek Bailey ad esercitare su di me il maggior impatto, e farmi scegliere di approfondire il percorso dell’improvvisazione e dell’esplorazione nella musica contemporanea.

 

Come vive l’idea del ‘Jazz’ nella tua musica?

Non saprei, davvero. Il Jazz, per come io lo conosco, ha poco a che vedere con ciò che io faccio attualmente: comunque ciò vale per il jazz, così come per il bluegrass, il rock, il pop, l’elettronica, la musica contemporanea etc … e potrei andare avanti. Dico che ogni genere musicale ha avuto e tuttora ha un’influenza… ma non credo sia il caso di porre l’enfasi su uno stile piuttosto che su un altro.

 

Cosa c’è nel prossimo futuro di Sofa music?

La continua pubblicazione di musica che per noi rimane di primario interesse: semplicemente questo. Ed abbiamo così tanti progetti in cantiere! Uno di questi è stato Dans les arbres , con una nuova uscita già dello scorso autunno; altre cose in pubblicazione o in programma, il duo Propan, Owl, Sheriffs of Nothingness sono esempi ulteriori di giovani progetti.

Possiamo considerarci fortunati nel poter tuttora pubblicare ciò che davvero ci piace.

 

Tenterei una sintesi estrema del tuo personale mondo musicale impiegando due parole chiave: Trasgressioni e Connessioni.

Io mi identifico più nelle connessioni che nelle trasgressioni. Il mio lavoro come produttore e quello di musicista hanno delle analogie e ciò che voglio è esplorare qualcosa di davvero speciale, di unico! Ed ho bisogno di sentirmi parte di un processo creativo in entrambi i ruoli.

Come artista creativo e come produttore, sono interessato a musica nuova, e non vecchia: amo tutta la musica del resto, ma nell’atto del produrre qualcosa ciò dev’essere nuovo, nel senso di non realizzato prima.

 

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