È decisamente un disco delicato, acustico ma anche denso di potenziale digitale. È un disco narrante, narrativo, dentro cui la lirica prende lo spazio e sgomita per rubarne altro, dove il suono sta un filo dietro, deferente, accomodante, custode. “La colpa” è il nuovo disco di Helle che in verità è qui il vero momento in cui fa capire di essere una cantautrice. Ma è anche un disco di grandissima fragilità, dove l’ego ha bisogno di sfidare se stesso per vincere la partita.
Helle dopo questo disco chi sta diventando? Quanto ti ha aiutato a diventare altro da te?
Questo disco è stato catartico, ha avuto una forza motrice – nel mio animo – incredibile. Ho compreso tanto di me stessa, soprattutto di chi ho intenzione di diventare. Mi piacerebbe parlare alla gente allo stesso modo, ma sono ben cosciente del fatto che si tratti di un obiettivo alquanto ambizioso.
Acustico ma dal potenziale digitale dicevo: è un lavoro da leggere e dunque la parola torna prepotente. Il suono invece sembra un ritratto a pastello dove raramente si concede il vezzo di una prima donna…ed è volutamente questo, suono che colora, sostiene e non racconta di suo. Dovrebbero essere voci complementari… ma forse qui il cantautore ha messo da parte anche la ricerca di melodie efficaci… non ne ha bisogno e per davvero questo disco non ne ha bisogno.
Dal vivo questo disco come pensi dovrà suonare?
Acustico, liberatorio. Stiamo provando vari set: di questi tempi il mondo della musica dal vivo richiede di adattarsi, poiché vengono organizzati eventi anche molto diversi fra loro non solo sotto il profilo della durata (sono esperienze preziose in tutti e quanti i casi), ma anche in fatto di location, come festival in piazza o nei club. ttid esempio, l’anno scorso ho pubblicato anche una raccolta di poesie, e abbiamo presentato il lavoro in serate live impostate sul connubio fra letteratura e musica. Specialmente i miei ultimi due dischi, per via della loro natura folti si prestano tanto all’intercambiabilità del set: posso suonarli da sola col pianoforte o la chitarra, con una band, col Cajon al posto della batteria, senza basso, con due archi, o uno, o nessuno. Con diversi musicisti di varia estrazione sono riuscita a trovare dei feeling speciali, e delle amicizie solide: mi ritengo piuttosto fortunata. Sto imparando quanto segue: essendo più che altro una cantastorie, i miei live sentiranno sempre la necessità, soprattutto quando durano più di mezz’ora, d’essere inframezzati da qualche sporadico intervento meramente poetico, o comunque letterario. Non vedo l’ora di portare l’ultimo album in giro…
Helle sembra chiudere una trilogia di evoluzione della forma canzone e del suo suono. Al centro sempre una sorta di liberazione. A latere sempre il bisogno di celebrare se stessi… e in questo nuovo disco, nella totale semplicità, esiste una pace e una quiete inenarrabili… nonostante le tempeste.