Batterista e incredibile esperto d’ogni tipo di strumento a percussione, Hamid Drake ha accompagnato con il suo ritmo e la sua eccezionale vocazione al rispetto dell’umanità i più grandi interpreti del free jazz e dell’avanguardia afroamericani. Leader e collaboratore di progetti tra i più validi sulla scena contemporanea, figura quasi dappertutto nella produzione discografica che più ha influito nella storia del jazz degli ultimi quarant’anni.
Come e quando hai iniziato a suonare la batteria e le percussioni?
Ho iniziato a suonare la batteria quando frequentavo le scuole elementari. Salii sul palco con la banda scolastica all’età di nove anni. In verità desideravo suonare il trombone ma il ruolo era già occupato e non ce n’era un altro disponibile, per cui ho dovuto suonare, o meglio, condividere il rullante e la gran cassa dell’orchestra con un altro studente. All’epoca vivevo con la mia famiglia nell’area suburbana di Chicago. Prima avevo suonato i bongo nel coro musicale della chiesa. Tutti gli altri strumenti percussivi sono giunti in seguito, a partire dagli ultimi anni dell’adolescenza.
Chi sono stati i principali maestri e insegnanti nel primissimo periodo della tua formazione e carriera?
Il mio primo maestro l’ho trovato alle elementari, era l’istruttore di batteria Harry Hawthorne che aveva lavorato sempre in delle big band. Quando se andò a Las Vegas fu rimpiazzato da un altro. Tuttavia ho anche intrapreso dei percorsi personali, all’epoca sotto forma di collaborazioni con amici nelle solite garage band. Molta influenza ha poi avuto il mio primo insegnante di tabla Raman Papaiah. Era originario di di Hydrabad, in India, e il suo maestro era stato Ustad Daud Khan. All’età di vent’anni ho incominciato a suonare con Fred Anderson, ma la sua influenza è stata molto più grande e consistente visto che la maggior parte della mia vita ha ruotato intorno a lui. Anche i miei genitori hanno svolto un ruolo fondamentale, ovviamente. Mi hanno dato l’opportunità di dedicarmi alla musica. Mio padre mi ha trasmesso e insegnato molte cose importanti avulse dal mondo della musica. Cose che ancora adesso continuano a guidarmi, soprattutto riguardo alla mia gente e al fatto che essa vive in certe situazioni in America. Mia madre ha mostrato grande compassione e solidarietà verso i miei amici, finendo per diventare essa stessa un modello per me. Tutte queste cose sono parte dell’arte e dell’essenza di un autentico essere umano, ciò che io considero la musica della vita. Dopo sono arrivati Don Cherry e molti altri.
Negli anni le tue doti ti hanno reso un musicista e un batterista richiesto da tutti e pertanto hai avuto l’opportunità di suonare e incidere con un numero davvero ragguardevole di grandi nomi del jazz e dell’improvvisazione. Ora, per alcuni di essi, vorrei che tu spendessi una parola o qualche aggettivo utili a descriverli secondo le impressioni che ne hai tratto lavorandoci insieme.
Fred Anderson: grazia e delicatezza, bontà e cortesia in azione;
Don Cherry: apertura mentale, spiccato senso dell’umorismo, cittadino del mondo;
Peter Brötzmann: forza del carattere, capacità di spingersi oltre;
Ken Vandermark: riflessivo, premuroso nei confronti della tradizione;
William Parker: nobiltà d’animo, ironia, fedeltà al voto fatto a Bodhisattva;
Archie Shepp: eloquente, storico, innovatore, maestro titolare della casta;
David Murray: potente, creativo, acuto e profondo;
Pharoah Sanders: spiritualità attraverso il suono, fluidità e grazia;
George Lewis: potente consapevolezza, educatore tramite il suono e la parola;
Joe McPhee: vibrante, innovativo, nobile.
Tutti questi individui condividono molte delle stesse qualità. Essi hanno il loro speciale posto nella storia, anche semplicemente come esseri umani. Li onoro e rispetto tutti.
Cosa significano per te ritmo e improvvisazione?
Sono entrambi attività della vita. Entrambi accadono simultaneamente nella musica della nostra vita.
Qual è la tua opinione del batterista in veste di leader e principale compositore di un gruppo? Nell’ultimo decennio capita sempre più spesso a molti tuoi colleghi di rivestire entrambi i ruoli. Nella fattispecia mi riferisco a personaggi come Ches Smith, Tim Daisy, Whit Dickey, Paal Nilssen-Love, Chris Corsano, Harris Eisenstadt, Mike Reed e molti altri.
Per un batterista essere il leader e il compositore di una band è una situazione per nulla diversa da quella di qualcuno che suona un altro strumento. Nella storia di questa musica ci sono stati molti batteristi che hanno guidato gruppi, Lionel Hampton, Gene Krupa, Max Roach, Buddy Miles, Buddy Rich, Art Blakey, giusto per nominarne alcuni. I colleghi che hai citato sono tutti grandi musicisti. Portano avanti con dedizione e passione una tradizione che esisteva prima di loro e di me, una tradizione destinata a continuare anche nel futuro. Non c’è nulla di speciale e di nuovo in questo. D’altronde se ti capita di osservare e conoscere da vicino le culture non occidentali ti accorgi che esiste una tradizione anche molto antica di percussionisti leader di gruppi.
Potresti sottolineare e illustrare gli obiettivi estetici e le differenze principali tra i tuoi due progetti Bindu e Indigo Trio?
Sono due gruppi diversi ma in sostanza si potrebbe affermare che lo scopo sia lo stesso, vale a dire il tentativo di esprimere la nostra migliore essenza e completa natura tramite la musica. Luci e ombre del medesimo concetto e aspetto. Però se da una parte sono possibili diverse configurazioni e combinazioni del progetto Bindu, dall’altra esiste un solo ed unico Indigo Trio.
Che mi dici riguardo all’esperienza e alla sensazione di suonare in coppia con Michel Portal? Avete suonato spesso insieme?
Michel ed io abbiamo suonato insieme solo poche volte. Mi sento onorato di suonare con lui. Per me rappresenta uno dei più preziosi tesori nazionali della Francia, proprio come Archie Shepp, Fred Anderson, Don Cherry e Pharoah Sanders lo sono per gli Stati Uniti.
Parliamo un attimo della tua collaborazione con Napoleon Maddox nel suo progetto IsWhat!? Com’è capitato d’incontrarvi e di registrare insieme? È previsto un nuovo album nel prossimo futuro?
Napoleon ed io ci siamo conosciuti all’incirca nel 2001. Ero in tour per gli Stati Uniti con i DVK, trio composto da me, Ken Vandermark e Kent Kessler. Uno dei concerti del tour si svolgeva a Cincinnati, nell’Ohio, città in cui risiede Napoleon, e suoi IsWhat!? aprivano il nostro spettacolo quella sera. Ci siamo conosciuti, abbiamo parlato e ci siamo piaciuti. Napoleon mi ha poi invitato a ritornare a Cincinnati per incidere con lui in studio il primo album degli IsWhat!?, progetto che, come penso sai, è votato ad una speciale sintesi di jazz, improvvisazione e musica hip hop. Da allora abbiamo continuato a suonare insieme sia in studio che dal vivo. Comunque sì. Napoleon sta lavorando ad un nuovo disco adesso.
Secondo te esistono dei benefici e degli svantaggi nell’essere un batterista?
Nessun svantaggio. Il beneficio è quello di essere un po’ come lo stregone-guaritore e il capo dell’Oglala Sioux Nation (tribù del Sud Dakota) famoso sotto il nome di Alce Nero. Lui diceva: “Il ritmo e la percussione sono il battito cardiaco dell’universo”. Il vantaggio e il beneficio lo capisci da questa sua affermazione. La batteria è sempre stato simbolo di guarigione e strumento di comunicazione in molte culture sparse nel mondo, anzi, si potrebbe sicuramente dire che sia uno tra gli strumenti in assoluto più antichi al mondo.
Ho sempre ammirato e apprezzato il pianista Lafayette Gilchrist, nonostante sia ancora sottostimato e poco noto al pubblico. So che avete spesso suonato in duo. Che notizie hai di lui?
Adesso vive a Baltimora, nel Maryland. Sta bene e suona parecchio. Non sta suonando molto in Europa come era solito fare prima. Penso anch’io che sia uno dei migliori pianisti in circolazione oggi. Prevedo che prima o poi avrà la ribalta che giustamente merita.
Ultima domanda di rito. Cosa prevedi di fare nel prossimo futuro?
Voglio continuare a dare il meglio di me stesso. Scoprire sempre di più cosa significhi vivere e agire come un vero essere umano.