Si intitola “Learn to Live” il nuovo lavoro di Giuliano Vozella. Dal titolo direi che le premesse sono ambiziose… ma l’ascolto e soprattutto lo studio del mood e degli scenari che ci regala, l’ambizione si tramuta in sincerità, l’arroganza diventa dolcezza, la voglia di insegnare qualcosa a qualcuno diviene fragilità di esistere e onestà di confessarsi. Giuliano Vozella pubblica un bellissimo disco, liriche personali, intime, silenziose… per quanto brani come The Groove, Juggling Time o l’ultima The Sun abbiano in sé l’energia giusta per urlare di felicità alla vita e correre via. Un bellissimo inglese, una timbrica vocale che non lascia scampo alla direzione artistica del tutto ma soprattutto un bellissimo pop internazionale di matrice acustica – che a tratti mi riporta sulle spiagge sempre felici di Jack Johnson – che si dipana in questi nuovi 10 inediti con fascino e mestiere. Il picco massimo si raggiunge (scusate la banalità) nel brano di lancio Over, in cui Vozella ha racchiuso tutto il leitmotiv portante dell’opera. Chissà che non sia proprio questa canzone l’origine della sua nuova scrittura. Un disco da avere per i giorni di viaggio e un ascolto da fare attento per i giorni di pioggia. In fondo, senza volerlo e con molta umiltà, Vozella lo ha utilizzato per imparare a vivere. Eccone i risultati.
VOZELLA è l’Italia. Sembra quasi che la tua sia una chiara voglia di espatriare o comunque non è da casa nostra che cerchi l’ispirazione. Come mai?
Sicuramente da un punto di vista sonoro non è da casa nostra che prendo ispirazione, questo sì. Ma come esperienze raccontate in musica, invece, sono esattamente quelle che vivo nella mia città, ma in lingua.
C’è tantissimo fingerstyle in questo disco. Le tue principali radici culturali in merito? Ispirazioni e maestri di riferimento?
Sì, diciamo che negli anni su questo genere ho ascoltato e visto tantissimi chitarristi. Mi sono appassionato alla forma canzone americana con una forte dose di fingerpicking seguendo molti anni fa un’etichetta chiamata Candyrat Records che su youtube caricava video di ottimi musicisti. Da Don Ross a Andy Mckee, Trevor Hall, Antoine Doufure. Subito dopo, quasi contemporaneamente, ho sviscerato dischi di Wolfgang Muthspiel, Ani Di Franco, John Mayer, Allen Stone.
La tua voce è assai caratterizzante e direi che sposa a pieno questo genere che ti vesti addosso. A questo punto mi viene da chiederti: sei partito dalla voce per realizzare questo genere di musica? Oppure tutto è stato un incastro assai naturale?
Nono, in realtà sono partito dalla chitarra. Ho sempre utilizzato la mia voce come “mezzo” naturale con cui sperimentare delle melodie che prima di tutto scrivevo per chitarra. In questa maniera ho sempre allenato l’orecchio e sviluppato la mia voce di pari passo ma in modo molto naturale.
Sono sincero nel dirti che ti conosco ora con questo terzo disco. A quanto pare devo essermi perso molto lungo il percorso. Volendo riassumere il tuo passato? A quelli come me che conoscono Giuliano Vozella solo oggi con “Learn tu live”, cosa ci puoi dire?
La fortuna di questi anni è che quando ci si appassiona ad un’artista la rete ti permette di scoprirne tutti gli aspetti riferiti anche ad anni passati. Di me posso dirti che mi piace suonare tanto. Mi piace collaborare con tanti progetti e fare squadra per spingere la musica di qualità. Sono molto sincero e piuttosto che pensare a tavolino un disco preferisco che questo esca in modo spontaneo, coltivando il mio ascolto verso nuovi dischi e produzioni stimolanti.
Ti sarai chiesto sicuramente come e quanto spazio ci sia per questa musica in un territorio come il nostro. Forse saranno già in molti a farti la stessa domanda. Io però vorrei afferrare questa metafora e chiederti: questo disco che tanto promette di insegnare a vivere, ha raggiunto il suo scopo con la sua stessa esistenza? In altre parole: Giuliano Vozella si sente appagato dall’aver fatto questo disco o cerca appagamento dal vederlo celebrato?
Questo disco ha rivestito il suo ruolo nel momento stesso in cui è uscito. Non sono un tipo che aspetta di essere celebrato, anzi preferisco che il disco faccia il suo corso sperando che sempre più persone possano capire i messaggi che volevo e voglio mandare. Questo disco è prima di tutto un auto-insegnamento. Tutti i messaggi che ci sono dentro sono mantra che servono alla mia persona per imparare a vivere. Detto ciò può succedere, e sarebbe fantastico, se questi messaggi siano condivisi da altrettante persone.
Hai mai provato a pensarle in italiano questa canzoni? Oppure sei della scuola che l’inglese in sé ha una musicalità difficilmente raggiungibile in altro modo?
No, queste canzoni sono nate direttamente in inglese. Sì, penso che l’inglese conservi una musicalità maggiore rispetto alla nostra lingua, ma di brani in italiano ne ho scritti per me e per altri artisti e continuerò a farlo. Ci sono cantautori italiani come Fabi che riescono a impreziosire la nostra lingua sfruttandone le metriche con un gusto pazzesco. Ecco, se dovessi pensare ad un autore italiano che mi piacerebbe seguire in una mia versione italiana sarebbe proprio lui.