GIANMICHELE TAORMINA | Papa Jack Laine italiano? Vi dico di no!

Gianmichele Taormina, firma di punta del giornalismo musicale italiano, segnatamente jazz, tratteggia la storia della vita di Papa Jack Laine, uno fra gli esponenti più rappresentativi degli albori del jazz, e svela alcuni clamorosi retroscena legati alla vera nazionalità di questo illustre personaggio attraverso una ricca intervista in esclusiva.

 

Quando, come e perché ti sei interessato approfonditamente a Papa Jack Laine?

Tutto è nato casualmente. Qualche anno fa, a latere di una conferenza, il relatore parlò di questa figura fondamentale e a dir poco avvincente. Essendo docente di “Storia del Jazz” da 20 anni, ovviamente ero a conoscenza del nome artistico di Papa Jack Laine, non certo di quello ipotizzato, ossia Giorgio Vitale. Sempre a detta di chi relazionava, durante quella sessione emergeva inoltre che la famiglia Vital si chiamasse realmente Vitale. Quest’ultima proveniva da un ceppo abruzzese o pugliese. A Partinico, in Sicilia, mia città natale, vivono centinaia di persone con quel cognome. Mi ero già girato un film! «E se Jack Laine fosse stato siciliano?», mi chiedevo fra me e me. «Chissà, si potrebbe organizzare un festival celebrativo come lo si è fatto per Nick La Rocca o Tony Scott!» Così, ho dedicato a Papa Jack Laine uno studio durato ben quattro anni. Invece, la risposta della non italianità di Giorgio Vitale l’ho trovata nell’immediato, precisamente nel 2011: Giorgio Vitale non esiste!

Pertanto, dalle tue minuziose ricerche, hai appurato la falsa origine italiana di Papa Jack Laine, in realtà francese. Alcuni autorevoli storici nostrani del jazz asseriscono di essere fermamente e fortemente convinti delle radici italiane del musicista. Tu, invece, stando alle fonti che hai raccolto, sei in grado di dimostrare l’esatto contrario. A tuo avviso, da quale fattore scaturisce questa loro convinzione?

GIANMICHELE TAORMINA
(ph Fabio Orlando)

Purtroppo taluni storici soffrono di claustrofobia esterofila, a tal punto che, per partito preso, qualsiasi dato concernente un ipotetico musicista dell’era pre-jazz e, senza prove concrete alla mano, questi debba essere per forza ricondotto a un’origine italiana. Buddy Bolden, John Robichaux, Sidney Bechet, Jelly Roll Morton, Joe King Oliver e altre centinaia di figure leggendarie, secondo alcuni, sono state soltanto apparizioni marginali e ininfluenti per la nascita della musica afroamericana. Insomma, per loro il vero inventore del jazz è stato solo ed esclusivamente Nick La Rocca.

Dal punto di vista giornalistico, come hai ricostruito le trame di questa appassionante vicenda?

Prima di tutto ho contattato l’Ambasciata Italiana a New Orleans, luogo di nascita di George Vital Laine. Dopo diverse corrispondenze, la “risposta regina” mi è stata fornita dal Consolato Italiano presente in città. Nei registri di nascita della Crescent City non vi è alcuna traccia del nome anagrafico di Giorgio Vitale riferita alla data del 21 settembre 1873. Questo unico dato poneva già la parola fine a quella italianità inventata. Ma tutto ciò non mi bastava. Mi ritengo peggio di San Tommaso. Potevano mai essere sufficienti queste semplici anche se importantissime prove? Per cui, ho effettuato diversi studi sulla famiglia Vitale, Vital e Lainé di ceppo francese. Il risultato è stato che Vital non è un cognome, ma un nome di persona e, appunto, il secondo di questo leggendario batterista: George Vital Laine. Il secondo nome dato al piccolo George doveva essere Vitale, in omaggio all’omonimo santo, ovvero il Saint Vital martirizzato in Svizzera. Guarda caso, si festeggia proprio il 22 settembre, giorno successivo alla nascita di Laine, il quale fu iscritto all’anagrafe esattamente il 22. Disgraziatamente, il nome Vitale che era nelle intenzioni dei Laine, fu storpiato all’anagrafe in Vetiala, così come riportato anche sul certificato di morte. Se si prova a fare lo spelling in inglese, sgrammaticato, di Vitale, si evince che l’Ufficiale dell’anagrafe e Mr. Laine ebbero un misunderstanding. Ecco perché Vetiala.

Altra deduzione è data dal fatto che nessuno dei sei fratelli di George Laine ha mai assunto l’eventuale cognome Vital o Vitale, né il padre del batterista, né tanto meno i figli di Jack Laine: Alfred “Baby” Laine, anch’egli musicista (cornettista e flicornista) e Alma Laine. Tralasciando l’origine autentica dei Lainé (era questo il loro vero cognome), ho scoperto in seguito la consuetudine da parte delle famiglie provenienti dalla Francia di dare ai propri figli il doppio nome. Nella famiglia di George Vital Laine le sorelle si chiamavano Emma Augustine, Mary Christine, Antoniette, e poi un suo fratello: Frank Andres. Come si può notare sono tutti nomi italianissimi! I Laine erano così profondamente italiani che l’ipotetica famiglia Vitale, invece di trovare sistemazione e residenza presso il quartiere italiano di “Little Palermo”, come sarebbe stato logico, aveva deciso di abitare nel quartiere di New Orleans denominato “Parish of Orleans”. Significherebbe un suicidio da veri incoscienti! A New Orleans i quartieri erano ben delimitati e suddivisi in caste, colore della pelle e provenienze geografiche rigorosamente chiuse. Stiamo parlando di dati assai noti provenienti da ben prima della metà del 1800.

Quanto ai Laine, sono entrato in possesso del documento ufficiale relativo al censimento dell’8 giugno 1880 effettuato dalla Città di New Orleans e segnatamente nel quartiere “Parish of Orleans”. La foto parla chiaro: Laine Frank padre (labourman), proveniente dalla Francia (da tre generazioni, aggiungo io), Bendina (Winck Laine), la madre (lavandaia), proveniente dalla Germania. Di seguito tutte le posizioni dei figli George, Mary, Alfred (il quale era l’unico scritto a scuola) e poi Frank e Augustine, tutti ancora piccolissimi per frequentare un percorso scolastico. George Laine, avendo all’epoca sei anni, è infatti indicato “At home”. Non contento di questo, un’altra prova incontrovertibile di Vital e non Vitale è un altro dato assoluto: Jack Laine stesso, in un suo audio, pronuncia esattamente il suo nome George Vital (pronuncia americanizzata “Viteil”) Laine. Nella forma scritta, invece, egli si firma George V. Laine. Come spesso accade, mai si riduce alla singola lettera maiuscola un cognome, ma al massimo un nome.

 

 

Papa Jack Laine non è stato solo un flicornista, contrabbassista e batterista, ma un autentico antesignano bandleader, a New Orleans, durante gli anni della guerra ispano-americana sino alla Prima Guerra Mondiale. Quanto è stata influente e rappresentativa questa figura per i musicisti jazz dell’epoca?

Papa Jack Laine è l’anello di congiunzione che unisce il ragtime suonato in forma bandistica e il nascente jazz di New Orleans, quello non ancora definito come “New Orleans Style”. L’importanza esercitata da questo bandleader e geniale talent scout è stata incalcolabile, se si considera il periodo storico da lui vissuto. Riguardo le musiche suonate dalla sua band, queste si svilupparono verso un ragtime moderno, riarrangiato per marching band, dunque con più strumenti e aperto alle prime sperimentali forme improvvisate per combo o small ensemble. Laine dichiarò che i suoi organici variavano dai 7 ai 18 elementi. Ognuno di essi, raccontava in un’intervista del 1930, contribuiva con i propri interventi ad arricchire il colore degli arrangiamenti. Inoltre, ogni musicista portava il suo personale contributo compositivo. I pezzi si definivano fin quando la maggioranza non esprimeva il proprio parere positivo. Per giunta, da diverse ricerche, ho scoperto che Laine è stato uno degli ideatori delle cosiddette sfide tra le band di New Orleans.

Svariate testimonianze dell’epoca confermano che Laine vinse alcune sfide contro delle band “nere”. Queste gare si tenevano casualmente negli incroci di periferia di New Orleans, quando bisognava stabilire quale marching band dovesse passare prima dell’altra. Dal punto di vista strumentale, Laine come molti dei suoi colleghi batteristi, sentiva più di tutti l’esigenza di un risparmio economico in termini di musicisti, nonché di una maggiore sintesi nello spazio da occupare tra lo snare drummer e il bass drummer. In questo senso, egli escogitò una prima forma di pedale adibito per la grancassa e lo splash. L’idea era assai contorta e non certo pratica. Il pedale non esisteva, dunque il battente, che batteva contemporaneamente anche sullo splash, veniva azionato manualmente da una molla, ovvero a tiro, con una piccola cordicella. Una soluzione molto rudimentale e scomoda che lui realizzò ben prima di Ludwig. Jack Laine, inoltre, posizionò il rullante su una sedia, e continuò a usare la seggiola anche dopo l’invenzione del reggirullante. Grazie alla sua attività di fabbro ferraio e maniscalco riuscì ad applicare un piccolo splash posto sopra la grancassa: ed ecco qui la batteria! Al vecchio George non mancava di sicuro la fantasia. Nessuna di queste idee fu da lui brevettata. La costruzione della batteria classica nacque da spunti e da vari contributi prima che ne fosse depositato il risultato finale. Non mi sento di affermare che l’assemblaggio conclusivo sia stata una sua idea. Certamente, però, ha contribuito alla formazione. Chi più, chi meno, se la cavava artigianalmente come poteva. Erano soluzioni da cavernicoli, ma l’importante era il suono.

Papa Jack Laine fondò la Reliance Brass Band, un folto organico incardinato su una commistione comprendente musica europea, africana e latina. Questo può essere considerato il primo esempio musicale di melting pot nella storia del jazz?

Dal 1888 George Laine ha diretto personalmente, e non, diverse marching band. Una di queste sette si chiamava Reliance Brass Band, ma ve ne erano altre diversamente denominate: Tuxedo Band, Laine Band, Laine’s Greater Majestic Minstrels e Papa Jack’s Boys. Altre cinque formazioni, sempre a suo nome, le dirigeva a Biloxi, cittadina distante 150 chilometri a nord est di New Orleans. Ognuna di esse si spostava continuamente nella vasta area della Crescent City, in base al tipo di ingaggio per il quale veniva reclutata. Laine dirigeva un’apposita “dance band” nelle hall degli hotel e in diversi ristoranti. Un’altra band, spesso la Reliance N. 1, era dedicata ai tragitti in battello che dal fiume Mississippi attraversava il cuore di New Orleans. Un altro organico, invece, era destinato a compleanni, matrimoni, pic-nic, eventi sociali e addirittura funerali.  Altri gruppi erano ingaggiati per parate, campagne politiche e o per la pubblicità di vari prodotti. Nelle band di Laine transitarono musicisti di varie nazionalità, estrazione e provenienza: creoli, portoricani, cubani, messicani, ispanici, italiani, francesi, irlandesi e neroamericani. Per ciò che concerne questi ultimi, lui li faceva passare per musicisti di origine latina, in base al colore più o meno scuro della loro pelle. All’epoca il razzismo non era solo dilagante, era una consuetudine. Eri bianco? Automaticamente eri razzista e odiavi i neri indistintamente. Laine rischiò in prima persona per aver incluso i neroamericani nelle sue band. La magica e perfetta sintesi di queste commistioni e provenienze, il fatto che taluni neri avessero suonato in altre forme di pre-jazz che si scontravano con il linguaggio bandistico-ragtime, assemblava in sé un melting pot unico e irripetibile. In tutto questo bisogna aggiungere la pratica, ancora non comune, della lettura a prima vista (erano in pochi a conoscerla) e della forma improvvisata. Secondo alcune fonti storiche, prima dei neri, furono i creoli e gli italiani a influenzarne lo sviluppo e a dettarne le regole.

Nel corso della sua attività, Laine ingaggiò oltre 150 musicisti all’interno delle sue svariate formazioni. Chi, fra la pletora di jazzisti da lui assunti, ha riscosso maggior successo?

Se si parla di successo, ovviamente non si può fare a meno di citare quattro dei cinque componenti della Original Dixieland Jass Band (ad esclusione del povero Henry Ragas che qualcuno, erroneamente, include), i quali militarono nelle band di Laine. Oltre un milione di copie vendute di “Dixieland Jass Band One Step” e “Livery Stable Blues”, anche se con riff derubati dal songbook dello stesso Laine ne testimoniano l’indubbia celebrità. Che sia meritata o meno, sarà poi la storia a deciderlo. Quanto ad altri notevoli musicisti che in tempi diversi facevano parte delle formazioni di George Laine, non bisogna dimenticare Sharkey Bonano, Johnny Wiggs, Santo Pecora, Ed Souchon, Giuseppe Alessandra, Lawrence Vega, spettacolare trombettista morto a soli 25 anni e considerato il “Buddy Bolden bianco”, il trombonista Tom Brown e poi un batterista che sicuramente superò di gran lunga il maestro (Papa Jack Laine, ndr), ossia Ragbaby Stephens. A questi si aggiungono di diritto Achille Baquet (strepitoso clarinettista e abile arrangiatore), così come Dave Perkins. Addirittura, per il solo fatto di averlo osservato in foto dietro una grancassa, qualcuno (sbagliando) ha evinto che fosse un batterista. Perkins, invece, è stato un magnifico trombonista e tubista nelle band di Laine. «Arrangiava e componeva in modo splendido», ha testimoniato più volte il vecchio Papa Jack. Indimenticabili anche i fratelli Brunies, Deacon Layacano e i fondamentali Alcide “Yellow” Nunez e Alphonse Picou. Infine, i fratelli Mello. Costoro, come svelato dai miei studi, non sono siciliani, come invece affermato da qualcuno, ma di padre francese e madre tedesca.

PAPA JACK LAINE intervistato da Richard B. Allen

 

Un altro dato, che dalle fonti in tuo possesso non corrisponde a verità, è la collaborazione di Laine con Buddy Bolden e Joe King Oliver, celeberrimi esponenti della tradizione jazzistica. In che modo sei riuscito a confutare questa informazione?

Anche questo è un falso storico, una drammatica forzatura assolutamente priva di prove concrete. Questa falsa leggenda è stata narrata soltanto da uno sconosciuto batterista statunitense ancora in attività, mentre vi sono altri documenti certi che specificano (e certificano) l’inesistenza di tale ipotesi. In una delle tante interviste rilasciate, Jack Laine dichiara di aver sentito parlare di Buddy Bolden, ma di non averlo mai conosciuto. Inoltre, vi sono gli elenchi e i registri dei musicisti con i quali Laine ha collaborato, sia facendoli suonare nelle sue varie Reliance Brass Band, sia per ingaggi con altre formazioni. Piuttosto, ci sono stati musicisti che, in epoca antecedente o successiva alle loro collaborazioni con Jack Laine, hanno suonato con Bolden e King Oliver.

Ti sei dedicato con ammirevole dedizione alla ricerca storica su questo straordinario precursore del jazz. Un lavoro alacre, estenuante, che ti è costato tempo. Ora quale scopo intendi raggiungere attraverso l’effettuazione di questi studi?

Fa molto male leggere su dozzine di siti web, soprattutto italiani, e riscontrare la falsità storica che aleggia attorno al nome inesistente di Giorgio Vitale. L’affermazione del tutto priva di fondamento da parte di chi ha scatenato questo “giallo” ha ingannato in cascata migliaia di persone, abbindolate da dati storici inattendibili e menzogneri. La contraffazione e la falsificazione costruite su questo grande musicista hanno fatto sì che diversi studiosi, non avendone verificato le fonti, venissero a loro volta abbagliati dall’illusione di un artificio per la sola gloria di un bugiardo simulatore. Questo ha fatto e continua a fare male al jazz e alla scoperta della mia verità. Una pubblicazione a riguardo renderebbe onore e merito a questo musicista, al quale, giustamente, fu conferito il titolo di The Father of White Jazz.