Dato alle stampe dall’etichetta Barly Records (By Encore Music), “Alien Flowers” è il nuovo progetto discografico del creativo chitarrista e compositore Giampiero Spina. La tracklist dell’album consta di nove brani originali scaturiti dalla rigogliosità compositiva di Spina, coadiuvato in questo CD da tre valenti sideman come Luca Fabio Gusella al vibrafono, Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso e al basso e Massimo Pintori alla batteria. “Alien Flowers”, in solco contemporary jazz, si caratterizza per una profonda ricerca melodica, armonica e ritmica che rappresenta la vera e propria cifra stilistica di Giampiero Spina, che racconta la genesi e descrive il mood del suo disco.

 photo by Tommaso Riva

GIAMPIERO SPINA Alien Flowers coverAscoltando “Alien Flowers”, di primo acchito, si nota una profonda e lodevole ricerca armonica e una scrittura dei temi complessa ma assai stimolante. Che tipo di percorso stilistico hai intrapreso per arrivare a scrivere brani così interessanti?
“Alien Flowers” è la sintesi di tutti gli studi che mi hanno interessato e occupato in questi ultimi anni: poliritmia, cambi di tempo e soluzioni armoniche inusuali, ovvero elementi stilistici che si possono trovare nelle composizioni della musica classica del primo Novecento così come nell’avant-garde jazz, mondi musicali che mi hanno sempre affascinato e ispirato. Ho cercato un modo per far convivere più linguaggi in maniera omogenea in un progetto, perché credo sia la naturale evoluzione di chi cerca di approfondire o trovare una propria identità artistica.

Oltre a suonare la chitarra utilizzi l’elettronica. L’uso degli effetti rappresenta un colore importante in più presente nella palette del tuo mosaico sonoro?

In questo progetto l’uso degli effetti è stato essenziale per ottenere un risultato espressivo e creare un’immagine sonora coesa con le interpretazioni degli altri musicisti. L’elettronica è stato un valido supporto creativo, ma i miei punti di partenza rimangono sempre il suono pulito, il tocco, l’intensità e la pronuncia.

I tuoi valenti partner in questo album sono Luca Fabio Gusella al vibrafono, Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso e al basso e Massimo Pintori alla batteria. Dunque, un disco pianoless. La presenza del vibrafono e l’assenza del pianoforte ti hanno permesso di ottenere un sound caratterizzante e riconoscibile dal punto di vista stilistico e, appunto, timbrico?

La formazione pianoless è la situazione che prediligo. Infatti, ad eccezione del mio precedente disco “Nothing is Real”, dove il pianoforte è presente in tutte le tracce, tutti i miei progetti e lavori discografici sono caratterizzati dall’assenza di un altro strumento armonico. Il vibrafono, a differenza del piano, è molto più duttile poiché produce voicing meno estesi ma molto efficaci, che mi danno maggiore libertà di movimento dal punto di vista armonico e ritmico. Inoltre, sotto l’aspetto timbrico, offre soluzioni sonore particolarmente stimolanti che ben si legano al suono della chitarra.

Focalizzando l’attenzione proprio sul genere del tuo CD, tendente al contemporary jazz con echi di avant-garde jazz, qual è stata la necessità artistica che ti ha spinto a concepire “Alien Flowers” con questa idea così moderna?

Ho sempre considerato il jazz degli albori, sino a quello dei nostri giorni, un potente mezzo comunicativo capace di raccontare la realtà del tempo in cui esso vive. Ho molto rispetto per tutti i modi e le forme espressive di questa musica, dal mainstream all’avanguardia. Amo studiare e suonare la tradizione, che ritengo rappresenti sempre la base per chi pratica questo genere. Ma per raccontare «la mia storia» ho avuto necessità di adottare un linguaggio moderno, rappresentativo della mia personale visione del jazz.

Soffermandosi ancora sullo stilema, Stomp in the Orange Cage è un brano swingante, decisamente diverso rispetto a tutte le altre composizioni di cui consta la tracklist. Perché la scelta di proporre un pezzo più vicino almeno concettualmente alla tradizione jazzistica in un lavoro discografico assimilabile soprattutto al contemporary jazz?

Tutti i brani presenti nell’album sono caratterizzati da una peculiarità compositiva incentrata su armonie e scansioni ritmiche complesse, con melodie apparentemente semplici. Stomp in the Orange Cage è esattamente l’opposto, poiché è un brano costruito su una progressione armonica standard, riferibile al bebop e all’hard-bop, ma con una linea melodica ritmicamente articolata, in stile con tutte le altre composizioni.

Nella presentazione di “Alien Flowers” dal vivo, che tipo di riscontro ti aspetti dal pubblico?

Il riscontro più inaspettato, in senso positivo, l’ho avuto dal pubblico meno abituato ad ascoltare certe sonorità. Credo che la formula magica stia sempre nell’energia comunicativa che trasmettono i musicisti durante l’esecuzione e nell’interplay, oltre ovviamente alla qualità dell’esposizione dei brani. Sono consapevole del valore artistico del progetto realizzato, ne sono molto soddisfatto. E questo, il pubblico, a sua volta lo percepisce e lo apprezza.