Consegnato alle stampe dall’etichetta Barly Records (By Encore Music), “Chorale” è la nuova opera discografica di Giacomo Papetti The Loom, ardimentoso quartetto alla testa dell’estroso contrabbassista jazz e compositore Giacomo Papetti e completato da tre valenti “fratelli” di note: Fulvio Sigurtà alla tromba e al flicorno, Achille Succi al clarinetto basso e Nelide Bandello alla batteria. “Chorale” è un lavoro particolarmente complesso sotto l’aspetto melodico, timbrico, armonico e ritmico, dove i dieci brani originali scaturiti dalla magmatica vena compositiva di Papetti sono improntati su una visione “aperta” da ogni punto di vista. Il leader di questo progetto entra nelle pieghe della sua musica descrivendola in profondità.

 

Giacomo Papetti The Loom coverIl primo aspetto che emerge da “Chorale” è l’assenza di uno strumento armonico. Questa scelta ti ha permesso di avere un respiro più ampio e una maggiore libertà proprio dal punto di vista armonico?

Sì, il fatto di lasciar aperto lo spazio armonico mi ha permesso di sfruttare al massimo la polifonia contrappuntistica, sia scritta che improvvisata, e di valorizzare “l’ambiguità” modale di ogni ambiente sonoro, in funzione dell’interazione estemporanea. Ogni voce strumentale, ogni singola linea melodica, apporta   nuovi elementi di riconoscibilità agli accordi impliciti che, in pratica, così si formano e trasformano   gradualmente, senza soluzione di continuità, in modo spontaneo, a seconda delle sovrapposizioni che si creano a livello corale.

Analizzando invece le sonorità e l’aspetto timbrico, figurano al tuo fianco due eccellenti musicisti: Fulvio Sigurtà alla tromba e al flicorno e Achille Succi al clarinetto basso. La differenza timbrica fra questi strumenti rappresenta un valore aggiunto per il tuo disco?

Fulvio (Fulvio Sigurtà, ndr) e Achille (Achille Succi, ndr) sono strumentisti unici e sensibilissimi. Siamo amici da anni e abbiamo spesso collaborato insieme: con Fulvio nell’ensemble contemporaneo Take Off e con Achille sia nel trio condiviso Three Branches, che in diverse altre formazioni come sidemen. La scelta di unirli e coinvolgerli in The Loom, prima ancora che dai loro strumenti (all’inizio pensavo genericamente a due fiati di registro complementare grave/acuto), nasce dalla specificità del loro approccio all’improvvisazione. In effetti l’eterea eppur materica vocalità della tromba di Fulvio e l’ironico ed obliquo saltellare tra i timbri e i registri del clarinetto basso di Achille, dialogano e si completano, coralmente, sia sul piano narrativo, del fraseggio e ritmico, sia su quello del timbro e delle dinamiche in modo fantastico. Ho chiesto loro di suonare quasi sempre nel corso dei brani, non alternandosi in maniera netta come succede spesso tra grandi solisti, ma interagendo in un flusso continuo, pensandosi in un collettivo nel quale ognuno, elasticamente, può assumere ruoli e livelli di presenza diversi, dal protagonista alla comparsa, pur sempre necessari. Sono molto felice di questa scelta e credo questo sia il primo disco nel quale figurano insieme, come unici solisti.

Focalizzando ancora l’attenzione sui tuoi compagni di viaggio, la presenza del batterista Nelide Bandello rende il tuo album ritmicamente più cangiante?

Con Nelide (Nelide Bandello, ndr), altro caro amico, suono da più di dieci anni e in diversi gruppi, ed è uno di quei musicisti la cui forza sta in una particolare forma di discrezione. Non perché manchi di personalità, anzi! A lui lascio quasi sempre la totale libertà, perché so che mette l’ascolto al primo posto (la musica si fa con le orecchie, non con le mani!) e, quasi ogni volta, ciò che avevo in mente per il suo strumento all’inizio della scrittura, sbiadisce mentre ascolto la sottile, poetica idea sviluppata da lui nel corso di una prova o di una registrazione.

Giacomo Papetti

Ascoltando approfonditamente i tuoi brani originali, fin dalle prime misure, si nota una scrittura piuttosto complessa, articolata, ricca di architetture melodiche, armoniche e ritmiche particolarmente interessanti e moderne. Attraverso quale processo compositivo sei riuscito a raggiungere questa brillante sintesi stilistica?

I brani presenti in questo disco sono molto diversi tra loro, anche perché sono stati scritti nel corso di un lungo lasso di tempo, dal 2008 al 2023, sostanzialmente da quando ho iniziato a dedicarmi in modo serio alla composizione di musica strumentale e per l’improvvisazione. Però ho selezionato quei materiali che avessero alcune caratteristiche comuni: l’ispirazione alla musica “pre-tonale” antica, la tensione ritmica, un’idea di base contrappuntistica, corale. Tutto ciò rispondeva perfettamente all’analogia con il telaio (The Loom) e il mondo della tessitura: l’intreccio di linee simultanee, in grado di​ formare disegni variegati e imprevedibili, visibili solo nel complesso e da debita distanza, che è alla base di questi processi compositivi e di arrangiamento.

Soffermandosi sul lato puramente emozionale, quali sono le sensazioni e gli stati d’animo che hai voluto tradurre in note con “Chorale”?

In generale direi soprattutto la ricerca di equilibrio e forma, all’interno di forze tensive anche molto marcate. Non a caso, i quindici anni di origine dei brani corrispondono ai quindici anni di una relazione, finita, o meglio trasformata, molto importante per me. Il disco, in qualche modo, è anche una forma di elaborazione di questa trasformazione. Non lo trovo un album di “lutto”, ma sicuramente un lavoro da cui emergono il processo di cambiamento, l’eterna rinascita e la potenza tellurica dei sentimenti.

Sia in termini di ascolto che dal vivo, che tipo di feedback stai ricevendo per la tua nuova creatura discografica?

Il disco e i concerti stanno ricevendo riscontri molto positivi da parte di colleghi, pubblico e critici. Mi fa molto piacere, perché questo non vuole essere un lavoro particolarmente “estroverso” né ammiccante, “per gli altri”, ma più che altro l’urgenza, l’espressione sincera di un sentire e un ricercare intimo, a volte anche ostico dall’esterno, forse, ma pur sempre guidato dalla forte tensione melodica che mi anima. Sì, perchè in fondo sono un amante delle canzoni e della cantabilità, nonostante le varie stratificazioni con cui le vesto. Ma ciò che credo traspaia è il fatto che la mia musica racconta qualcosa di autentico, imperfetto e fragile. E lo fa con le voci, sensibili e uniche, dei miei compagni di viaggio.