Si intitola “Chronicles of Ephemeral” il primo disco di Francesco D’Agnolo, pianista romano che approda finalmente ad una scrittura sua personale, privata, contemplativa. Disco in piano solo ovviamente che si concede il lusso anche di sperimentazioni e sovrancisioni nell’ultima traccia titolata “Chaos”, epico finale per un lavoro che cerca di celebrare il moto ondulatorio e spesso caotico del vivere di emozioni. L’effimero, o almeno quello che si vuol oggi far passare come tale, diviene dunque il centro del concept che a tutti gli effetti punta a restituire al sentire umano una posizione di assoluta importanza. Il suono di questo pianoforte ci conduce lontano… ad ognuno il suo viaggio.

 

 

Chronicles of Ephemeral Francesco D’Agnolo coverMi piace l’espressione “piano solo”. Che poi non risulta mai solitario nella sua veste completa. Ci hai mai fatto caso? C’è un mondo dietro… che ne pensi?

Il pianoforte è lo strumento polifonico per eccellenza. Anche se considerassimo l’orchestra sinfonica come fosse un solo strumento, quindi oltre che polifonico anche multitimbrico, il “piano solo” ha una caratteristica, che è “quel mondo dietro” che hai citato: lo suona una persona sola, ogni nota è influenzata solo dalla precedente e dallo stato d’animo che questa provoca in chi sta suonando. Non c’è altra interazione tranne che quella tra il pianista e il suono che egli stesso, tramite lo strumento, produce. La trovo una cosa estremamente “romantica”, e anche se già dal prossimo disco utilizzerò anche altri strumenti, un disco solo io e lui, il piano, lo dovevo a me stesso.

 

E poi ti chiedo: ma non hai mai sentito la necessità di arricchirlo con altro? Altre voci, altri strumenti, altre parole?

Come dicevo, il prossimo disco già vedrà altri strumenti “co-protagonisti”, non voglio comparse nella mia musica. Non è una necessità quella che mi spinge ad utilizzare altri strumenti, forse anche delle voci, bensì il desiderio di ampliare il dialogo. Nel piano solo si possono far dialogare anche più voci (il pianoforte, appunto, è polifonico), ma avere la multitimbricità a disposizione e non utilizzarla volutamente, mi sembra una limitazione imposta quasi da un fremito narcisistico (sorrido), o da un purismo che per nulla mi appartiene.

 

In effetti in “Chaos” lo hai fatto… come mai questa scelta di fare sovraincisioni? E perché solo in questo brano (se non ho capito male)?

Esatto, “Chaos” è l’unico brano in cui ho utilizzato sovraincisioni. Volevo “fotografare” (O dovrei dire fonografare?) il caos, ma non mi sarebbe bastato fare sovraincisioni. La modalità che ho utilizzato è stata quella di registrare una traccia alla volta ma senza aver ragionato prima su nessuna di queste. Potevo ricordare vagamente ciò che avevo inciso un attimo prima, ma desideravo proprio sperimentare questo disordine (che poi si è rivelato a mia insaputa più ordinato di ciò che mi aspettavo), che seguisse la mia grande regola: far suonare le emozioni. Stavolta non andandole a visitare come negli altri brani, ma lasciare che fosse il caso (che sia un anagramma di caos sarà appunto un “caso”?) a farmi creare le melodie che mi avrebbero portato di volta in volta in un “luogo” diverso.

 

 

La scrittura di queste cronache dell’effimero ti ha portato a riconsiderare la dimensione dell’effimero?

Assolutamente sì. Più che altro mi ha portato a mettere in ordine ciò che le esperienze della vita mi hanno suggerito fin ora. Scrivere un disco rivivendo tali esperienze mi ha, in un certo senso, costretto a vederle con un ordine, a dar loro un nome, ad associarle a delle emozioni. Ed è ciò che chiedo di fare a sua volta, a chi ascolta la mia musica. Visitare luoghi, più o meno luminosi, più o meno ampi, che rievocano emozioni vissute, e dargli un senso.

 

Ho come un’altra sensazione: il colore blu. Questo disco è come se custodisse il colore blu… sono fuori pista? Forse “Spiraglio azzurro” ti ha influenzato?

In realtà il colore “nascosto” è il bianco, inteso come somma. L’azzurro è un colore che nel disco ha un ruolo ben preciso, ed è legato al brano che parla della morte (lo spiraglio azzurro è quello di uno sguardo ad occhi semichiusi un attimo prima) ma intesa come viaggio che termina perché le esperienze da fare sono state fatte, il labirinto è stato compreso, accettato e vissuto nella porzione che si voleva vivere. E’ quindi un riposo dopo un viaggio, e chissà che non si possa ascoltare o suonare ancora musica, in totale pace e in uno stato di sereno godimento?