Milano, 13 luglio, una sera d’afa come tante.
“Dai Luca vestiti e scendiamo”
“No Mirko te l’ho detto, stasera non mi sento proprio bene”
“E’ la terza volta che fai il malato immaginario. Si puo’ sapere che hai? Dai non fare il solito rompicoglioni. Stasera al Jamila c’e’ una bella serata jazz e indovina un pò…il sottoscritto e’ stato invitato”
“No davvero. Andate voi. Io me ne sto qui a guardare Quark”
“No dico ma sei scemo? Ti sto dicendo che siamo stati invitati nel posto piu’ “in” del momento, che c’e’ una mitica serata, che significa buona musica e se ci dice bene figa gratis e tu rilanci sulla tele?”
“Lascialo perdere Mirko. Questo ormai s’e’ scordato pure com’e’ fatta. Da quando Claudia l’ha mollato”
“Che cazzo dici? Cazzo c’entra Claudia adesso?”
“Luca! Ale! Calma…che vogliamo fare adesso metterci a litigare?” fa Mirko lanciando un’occhiata ad Ale, come per dire non toccare questo tasto.
“Ha ragione Mirko. Scusa Luca, ho detto una cazzata, non volevo. Dai vieni con noi stasera, vedrai che ci divertiamo!”
Le note del sax vibrano nell’aria appesantita dal fumo.
Dopo quattro mohito a Luca pare di stare in tangenziale est al mattino presto quando la nebbia avvolge la sua macchina da ogni lato tanto da fargli credere che non ci sia piu’ nulla intorno. Che Milano se la sia ingoiata la notte. E Luca non sa se ridere o piangere. Perche’ con la citta’, la notte ha fagocitato anche il suo bilocale, quello che ancora non ha finito di scontare. Quello per il quale ha dovuto leccare il culo a Paolo Paletti, il direttore della banca, in cambio del mutuo agevolato a tasso fisso.
Le pareti bianche del locale sono a malapena illuminate dal bagliore delle candele poggiate su bassi tavolini che fanno pendant con i divanetti in pelle bianca che piu’ bianca non si puo’.
Sara’ pure “in”…mi pare una corsia d’ospedale pensa. Le infermiere servono da bere girando per i tavoli in camice rigorosamente bianco e abbastanza corto da lasciare poco spazio all’immaginazione.
“Dottoressa non mi sento bene, ho bisogno di una visita”
“Va a ciapa’ i ratt” si sente dire per tutta riposta
“Luca, ma che ti prende?”
“Lascialo stare Ale, ha solo alzato un pò il gomito. Vedi Luca qui girano solo tope di classe. Fanno le schizzinose: ti dicono si quando e’ no e no quando e’ si. Capisci che voglio dire?”
“No che e’ no”
“Insomma sono quel tipo di donna da maneggiare con cautela Almeno fino a quando…non le sfili le mutande”
“Poi diventan delle maiale!” aggiunge Ale divertito
“Ma se sono fatte in serie! Camicetta bianca, mini nera e stivaletto al polpaccio. Qui a Milano anche le donne le producono in fabbrica”
“Sara’… pero’ a me quel modello di rossa laggiu’ non mi dispiace. E anche l’amica non e’ niente male eh Mirko!”
“Gia’. Fanalini di coda di tutto rispetto e airbag anteriori adeguati agli standard di qualita’. Noi andiamo. Non andarci troppo pesante con l’alcol!”
Luca li vede allontanarsi e dissolversi nella nebbia. E’ di nuovo in tangenziale. Decide di prendere la prossima uscita e dirigersi al bar.
“Un mohito”
Si appoggia allo sgabello e tra la nebbia qualcosa attira la sua attenzione.
Una donna e’ seduta dall’altra parte del bar, proprio di fronte e guarda insistentemente nella sua direzione.
Ha l’aria sfrontata e non accenna a distogliere lo sguardo. E’ bellissima – pensa Luca – ed ha un’aria vagamente familiare.
“Il suo mohito”
“Come? Si grazie”
Una visione… Chissa’ quanti anni ha? Una quarantina piu’ o meno pero’… che classe. Cazzo continua a rivolgere lo sguardo in questa direzione. Ma allora e’ me che guarda.
La donna ha una cascata di stretti riccioli neri ad incorniciarle il viso fin sulle spalle nude. Le luci del bar ne esaltano i lineamenti del viso. Zigomi alti e grandi occhi scuri. Fanali che adesso Luca sente puntati addosso.
Inizia a fare un pò caldo qua dentro – si dice – mentre uno strano disagio lo assale. Dopo qualche minuto la donna, sollevandosi sulle punte dei piedi, si protende verso l’infermiera per dirle qualcosa all’orecchio e Luca puo’ accarezzarne con lo sguardo la linea perfetta del corpo.
Il lungo abito nero scende morbidamente su seno e fianchi lasciando scoperto un decolte’ dalla pelle bianchissima. Tutto il suo corpo rivela un’armonia di forme e sprigiona una sensualita’ che confonde. Il disagio di Luca muta in agitazione. Avverte un gran caldo. Tortura la cravatta nel vano tentativo di allentarla.
“Maledizione a Mirko e a quando mi ha convinto a metterla!”
L’infermiera porge alla donna un calice. Lei lo prende con due dita, accavalla le gambe e continuando a fissare Luca con aria di sfida, comincia a far roteare lentamente il vino contenuto all’interno.
Finalmente la cravatta cede e Luca la ripone maldestramente in tasca.
Lei pare accorgersi del suo imbarazzo perche’ accenna un sorriso. Poggia il bicchiere sul bancone del bar e lascia scorrere le dita prima lungo il collo e poi intorno alla base del calice senza fretta. Per un istante, come in un fotogramma, i loro occhi si incrociano ma Luca non regge e li abbassa. Capta il suo sguardo. Lo sente scivolare avidamente su di se’. E’ sempre piu’ accaldato. Sente le sue unghie scorrere lungo la schiena e affondare nella carne. Non c’e’ piu’ bar, non c’e’ musica ne’ rumore. Non ci sono pareti ne’ nebbia. Solo lei. Che ora porta pigramente il calice alla bocca. Le labbra rosse e carnose si schiudono. Luca ha un sussulto. E’ percorso da una scossa di piacere. Il suo equilibrio vacilla. Ma riesce a tenersi su reggendosi allo sgabello.
Devo aver bevuto troppo – pensa – stropicciandosi gli occhi. Nooo, lei e’ ancora la’. E’ vera! Non e’ una proiezione della mia mente. Forse dovrei avvicinarmi…no, non ce la faccio. Istintivamente si accende una sigaretta.
La donna sorseggia il vino inanellando i riccioli attorno alle dita affusolate. Poi qualcosa ruba la sua attenzione. Apre la pochette e porta il cellulare all’orecchio buttando i capelli indietro con un repentino movimento della testa.
Stesso modo di reclinare il capo, stessa espressione fiera… ecco perche’ mi era familiare. Ha il tuo stesso modo di fare risoluto Claudia.
Ancora non l’ho capito sai perche’ e’ finita. Si lo so, lo so che sono stato un coglione, un immaturo. Ma perche’ non mi hai dato un’altra possibilita’? Certo per te e’ stato facile. Hai cambiato vita. Te ne sei andata lontano dove non c’e’ nulla che ti parli di me. E io qui ad ammazzare ricordi. A sporcare la nostra storia. A resettare istantanee. Come quella volta in cui caddi sui gradoni della chiesa di San Rocco sbucciandomi un ginocchio.
Ecco, ora passa tutto, mi dicesti seria seria dandomi un bacio sulla ferita e guardandomi dritto negli occhi. E io li a bere le tue parole che cicatrizzavano il mio cuore prima di qualsiasi taglio.
“Mi fa accendere?”
Una voce morbida e calda lo avvolge. La donna ora gli sta davanti leggermente protesa verso di lui. Luca sorride meccanicamente ed il suo viso si avvicina a quello di lei che ora tiene la sigaretta fra indice e medio appoggiata alle labbra appena dischiuse. Da vicino e’ ancora piu’ bella – pensa Luca – nell’avvicinare la sigaretta alla sua che un attimo dopo produce un intenso bagliore rosso. Lei lo guarda subdolamente. Ora Luca percepisce chiaramente il suo sguardo. Occhi mobili, voraci. Sente che lo cercano avidamente. Ma c’e’ qualcosa di ambiguo in lei, qualcosa che non sa definire.
La donna aspira con volutta’ e tanti piccoli anelli di fumo si disegnano nell’aria. Luca sente un’attrazione incontrollabile. Il suo corpo si proietta verso di lei. Vorrebbe toccarla, stringerla. Muove un passo, ma dieci, cento, mille anelli di fumo si frappongono fra loro. Diventando sempre piu’ grandi fino ad occupare tutto lo spazio che li separa. Gigantesche orbite ruotano nell’aria. Una e’ esattamente sopra la sua testa. Luca si mette in piedi, allunga le braccia a mò di tuffo e si lascia risucchiare: prima la testa e poi il resto. Ora l’anello gli cinge la vita come un hula hoop e Luca balla.
La vuoi la verita’ eh la vuoi? Vuoi sapere perche’ ti ho detto di no quando mi hai parlato del tuo progetto di partire per l’Africa? No non e’ vero. Non e’ vero che ero troppo geloso e non mi fidavo di te. Che non mi andava di saperti cosi’ lontana. La verita’ e’ un’altra. La verita’ e’ che io ero invidioso. Si, invidioso della tua determinazione, della tua ambizione, della capacita’ di crederci fino in fondo, al punto di rischiare tutto, anche me, pur di inseguire il tuo sogno di fotografare il mondo.
Avrei voluto essere come te Claudia. Avere il tuo coraggio. La tua forza. Per mollare quello studio di merda e mettermi in gioco. E pensare che tu me lo ripetevi sempre. Provaci, mi dicevi, vedrai che all’inizio sara’ dura, dovrai fare sacrifici, ma io ti aiutero’. In fondo non e’ per questo che ti sei trasferito quassu’ lasciando i tuoi li’ al paese dei pescatori? come lo chiamavi tu.
Ma io non sono come te Claudia. Io ho paura. Tu no invece. Volevi guardare il mondo coi tuoi occhi. Dargli la tua prospettiva. Illuminare i particolari. Trovare l’ironia nella sofferenza. L’amarezza nella gioia. La magia nell’abitudine. Come quel sabato notte in cui dopo l’ennesimo giro per locali con i soliti amici mi prendesti per mano “Hai mai visto l’alba a Venezia?”
“No”
“E’ bellissima- dicesti con entusiasmo – andiamo”
“Andiamo”
“Dove?” risponde quasi inconsapevolmente
“Non lo so. Me lo dica lei. E’ tutta la sera che mi guarda. Vuol farmi credere che non e’ andato oltre con l’immaginazione?” gli chiede ammiccando.
Luca arrossisce.
“Touche'” esclama colpito da tanta disinvolta sfacciataggine.
“Non sia timido. Mi racconti pure i dettagli, come dire…bollenti”
Quella donna lo sta mettendo alla prova. Gode nel vederlo eccitato. Luca ne e’ consapevole ma il gioco e’ troppo intrigante e decide di andare fino in fondo.
“La porterei casa mia. Metterei su un bel disco di George Gershwin, accenderei qualche candela e la inviterei a fare un bel bagno rilassante nella grande vasca idromassaggio ovale”
“Vestita?”chiede provocatoria
“Perche’ no? Ma dopo un bicchiere di chardonnay glielo sfilerei lentamente senza lasciarla uscire dall’acqua” le bisbiglia all’orecchio.
“Interessante. E dopo?”
“La adagerei sul tappeto e comincerei a massaggiarla con un prezioso olio profumato di Tahiti” cercando di stuzzicarla
“E da dove comincerebbe?” mormora visibilmente eccitata
“Dai piedi. Sa nei piedi ci sono le terminazioni nervose di tutto il nostro corpo. Massaggiarne anche la piu’ piccola parte corrisponde ad accarezzare ogni nostro organo”
“E poi?”chiede con ebbrezza cingendogli la vita con un braccio.
Scacco matto pensa.
“Salirei su passando per la sua esile caviglia fino al polpaccio stando attento ad esercitare sempre la stessa pressione. Oltrepasserei il ginocchio e su per la coscia con movimenti continui e circolari fino a…”
“Mi spiace – lo interrompe – si e’ fatto tardi. Devo proprio andare”
“Ma come…Adesso?”
“Devo andare” ripete in tono che non ammette repliche. Si alza frettolosamente e passandogli una mano fra i capelli si allontana.
Luca non puo’ fare a meno di seguirla con gli occhi.
Non si dirige verso l’uscita pero’ ma verso il prive’. Fa appena in tempo a vederla sedersi sulle ginocchia di un uomo prima che chiudino il separe’.
Ma quello e’ Roi! Il professore di filosofia del diritto. Non ci posso credere.
“Hai capito la signora! Preferisce quelli maturi…” si lascia scappare a voce alta
“Parla della Signora Roi? Bella donna davvero” commenta l’infermiera da dietro il bar
“Signora Roi? Vuole dire che quella e’ la moglie del professor Roi?”
“Si. Credevo vi conosceste”
“Si…cioe’ no. Ma avra’ a dir poco quindici anni di meno!”
“Eh gia’…ma non trova anche lei che sono una coppia magnifica?”
“In effetti…”
“Vedendoli cosi’ appassionati lo direbbe che sono sposati da piu’ di vent’anni?”
“Vent’anni?”
“Certo. Li conosco bene, sa. Sono degli habitue’. Amano entrambi il jazz. Lei beve anche, ma solo vino bianco d’annata. Lui invece dev’essere quasi astemio perche’ qui al bar si vede poco. Solitamente si accomoda al prive’ e resta li’ a contemplarla da lontano. Anche per ore”
C’e’ qualcosa che dev’essermi sfuggito… ma certo che stupido! La magia nell’abitudine. Avevi ragione tu Claudia. Hai sempre avuto ragione.
“Luca! Ecco dov’eri finito”
“Ciao raga. Allora com’e’ andata?”
“Missione compiuta. Ci hanno lasciato i numeri”
“Gia’. Speriamo siano quelli giusti – aggiunge Ale – e tu fatto conquiste?”
“In un certo senso…mi sono licenziato”
“Come ti sei licenziato…stanotte?”
“Si”risponde sorridendo
“Credo sia meglio portarlo casa. Ha bevuto un pò troppo” fa Mirko
“Non preoccuparti, forse non sono mai stato cosi’ lucido”
“Va bene sara’ come dici tu, ma adesso andiamo. Si e’ fatto tardi e sai domani si lavora…noi”
“No ragazzi andate pure”
“Che fai ti trattieni?”
“No ma ho da fare”
“A quest’ora?” chiede Mirko guardando Ale sempre piu’ preoccupato
“Si, devo andare a Venezia” fa Luca salutandoli con la mano e avviandosi all’uscita
“A Venezia? Ma dove vai aspetta!”
“Io non ci ho capito niente e tu?” chiede Mirko perplesso
“Prendiamoci un caffe’ va, magari ci schiariamo le idee. Signorina… due caffe’ per favore. Credi che facesse sul serio, la storia che si e’ licenziato intendo”
“Ma dai! Non hai visto che era brillo. E’ una vita che va ripetendo che vuol lasciare quel posto di merda”
“Si ma stasera era diverso. L’istinto mi dice che e’ cambiato qualcosa”
“I vostri due caffe'”
“Grazie. Forse hai ragione. Ma c’e’ un’altra cosa che non mi torna. Che cazzo ci va a fare uno da solo a Venezia a quest’ora?”
“Forse andra’ a vedere l’alba – s’intromette la barista – sapete e’ bellissima” aggiunge con gli occhi socchiusi e l’aria sognante.
Per gentile concessione dell’autore. Racconto contenuto nella raccolta AA. VV., Per quante notti: amori e non amori al buio, Giulio Perrone Editore, Roma, 2007.