Enrico Pieranunzi: l’anima, il pianoforte, la musica

Il colore e’ un mezzo per influenzare direttamente l’anima. Il colore e’ il tasto. L’occhio e’ il martello. L’anima e’ un pianoforte con molte corde. L’artista e’ la mano che toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima“. La metafora di Wassily Kandisky ci introduce al concerto di uno dei piu’ grandi pianisti jazz italiani: Enrico Pieranunzi.
In questo teatro dall’architettura Liberty, siamo in attesa di poter ascoltare l’artista, in un concerto per solo pianoforte. L’atmosfera e’ quasi surreale, inquieta, vuoi per il brusio di voci, vuoi perche’ gli animi non sono ancora disposti in una dimensione che richiederebbe una particolare attenzione per un concerto di musica che risulta tra i piu’ difficili nella sua dimensione strutturale. Forse volutamente, oppure no, Pieranunzi alla sua entrata in palcoscenico riesce a stupire il pubblico con il suo pianoforte, cogliendolo quasi impreparato e senza neanche attendere il silenzio, la quiete in sala. Ed e’ proprio qui che inizia il suo dipinto musicale non ancora delineato, ma sognante, lasciando lo stupore in molte persone, quasi incredule, a sentire, a cogliere ogni sfumatura di timbro, di nota, di sensazione che via via suscita ora in ognuno di noi la dimensione di un sogno, perche’, facendo riferimento ancora una volta a W. Kandinsky “qualsiasi artista modesto o immenso che sia non ha dunque in se’ e per se’ alcun valore finche’ le dita non siano in grado di uniformarsi con la massima precisione ai dettami di questo sogno“.


In questa disposizione interiore e di intima necessita’, Enrico Pieranunzi, propone un tema classico caro a lui, “Blue Monk” di Theolonius Monk. Il pianoforte comincia a vibrare in tutte le sue sfumature; la mano destra e la mano sinistra pennellano accordi che inizialmente ostentano la melodia, ma poi tutto si risolve con il tema del brano nella sua piu’ dichiarata improvvisazione. Il richiamo a degli standards tipici del blues lo portano ad eseguire un altro pezzo dello stesso compositore “‘Round Midnight”. La struttura musicale cambia continuamente, motivata forse da questa necessita’ interiore dello stesso musicista, dove ogni nota e ogni suono hanno un loro valore espressivo, leggero, tenero, con alternanza di respiri e mescolanze di ritmi sempre piu’ sostenuti.
La vena passionale del pianista la ritroviamo adesso nell’esecuzione di un suo brano “Ein Li Milin”: l’armonia e’ qui sostenuta da strutture libere che lasciano spazio ad una pura e semplice espressivita’ cromatica con richiami alle tipiche melodie francesi, al “gruppo dei Sei”.
Ancora un brano originale con “Autumn Leaves, qui e’ il gioco di mani sulla tastiera; la cellula melodica si delinea quasi come un atto d’amore verso lo strumento, l’incrocio delle parti e l’intensita’ della musica si delineano in un’architettura musicale sempre piu’ complessa.
Nel brano successivo di Pieranunzi, “Je Ne Sais Quoi”, ritroviamo un’originale pezzo strutturato con scambi di tempi e variazioni, in cui le mani visivamente danzano in ritmi ternari. Le improvvisazioni qui sono dettate da un suono interiore che si sviluppa dove le cellule armoniche prendono consistenza, il pentagramma assume sempre piu’ chiaramente i connotati di una valenza espressiva, dandogli una forma piu’ che stilistica.
In “My funny Valentine”, lo stile pieranunziano richiama in tutto il suo splendore Gershwin con alcuni accenni tipicamente contrappuntistici bachiani, quasi a far ricordare a tutti noi che la formazione classica di questo pianista e’ presente piu’ che mai.
Siamo quasi alla fine di questo immenso quadro. Pieranunzi, non puo’ esimersi dal reinventare “Winter Moon”. La versione quindi del jazz pianistico piu’ impegnativo, con gli standards che solo in pochi sanno reinterpretare. Grandi sono le emozioni, affascinanti i richiami dei contrappunti bachiani e delle pennellature debussyane, con le influenze dei francesi Milhaud, Poulenc… Si avverte qui la sensazione di un’armonia, di un brano, che pur iniziando senza nessuna struttura, nessuna melodia esplicitamente dichiarata, si sviluppa solamente con il nascere di battuta in battuta, delineandosi dalla cellula compositiva con imitazioni e richiami che portano a scoprire il soggetto della musica rielaborata costantemente come il jazz.
Nell’ultimo brano “Fascinating Rhythm”, ritroviamo l’improvvisazione come partecipazione piu’ attiva della fantasia, quasi fosse una liberazione di un principio intuitivo che ricerca una realta’, un’origine e una cultura radicata nella propria esperienza, nel proprio vissuto. E’ strano come l’assenza di strumenti, che in qualche modo possono sostenere appunto la struttura ritmica- melodica, sia quasi impercettibile, a dimostrazione che solo chi e’ in grado di saper gestire il proprio strumento e la propria creativita’ non puo’ che essere un talento innato.
Alla fine di questa performance, lo stesso pubblico estasiato e sognante richiama, in questo suo personalissimo dipinto musicale, piu’ volte Pieranunzi sul palco per altre esecuzioni, dove ognuno di noi ha comunque potuto toccare, vedere, sentire e associare alla percezione sensoriale un processo di coordinamento mentale in cui rimane ancora la voglia di ri-sentire.
Fermarsi perche’ no?… giusto il tempo per ascoltare e attendere nuovamente che arrivino le emozioni, per lasciarsi andare ancora tutte le volte, minuto per minuto, e rimanere con le pause del silenzio, lasciando finalmente esprimere il cuore. La percezione quindi di scoprire, di sentire, di vedere che la cadenza delle nostre emozioni si trasforma, come in questo concerto, in una sequenza di sensazioni.


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