ROBE. | Did I Not Bid Thee To Arise?

Robe.
Did I Not Bid Thee To Arise?
Vade Retro Records
2009

La pesante e oppressiva coltre di droni, rumori e rimbombi che permea Did I Not Bid Thee To Arise? dei Robe. non lascia piu’ adito a dubbi sul fatto che il progetto di Kyle Willey e Adam Cooley si stia progressivamente accartocciando su una cupa prassi ambient-doom volta a tradurre e a rappresentare la solita blasfema estetica d’impronta esoterica e oltretombale. Un cliche’ questo, che ultimamente affiora troppo spesso nel suono e nell’iconografia che accompagna le tante recenti produzioni del duo dell’Indiana, mai pero’ cosi’ calcato come nella veste grafica e nella stilizzata confezione di questo album licenziato dall’italica (salernitana, per giunta) Vade Retro. Cosi’, quello che nei Robe. s’era scoperto dinamico, eclettico e originale in Boneraiser si e’ via via cristallizzato in un prolisso stereotipo, in un immobilismo creativo ed espressivo enfatizzato e peggiorato da un incontinente desiderio di documentarsi e ristamparsi per ogni dove, con l’unico risultato di offrire, nella pletora delle ultime pubblicazioni, quasi sempre la stessa solfa sonora. In questo punto debole della catena, comune a tante sigle clandestine e progetti ultrasotterranei, si e’ allora obbligati a filtrare e selezionare il meglio di molto (troppo) materiale vomitato su nastri, vinili e cd-r sovente tirati in un numero di copie assai limitato. Secondo tale criterio selettivo e qualitativo Did I Not Bid Thee To Arise? prevale nettamente sui di poco successivi Hadramaut (Phage Tapes), Antiquated Silhouettes (Undreground Pollution) e paradossalmente anche su Time Dilation, raccolta assai ammorbante stoltamente rifilata a una label di culto come la Blackest Rainbow. Did I Not Bid Thee To Arise?, al contrario, e’ un salvifico scatto di reni, laddove il consueto fluttuare per narcolettici vortici e buchi neri in assenza di gravita’ (messo in moto nelle prime due tracce) viene improvvisamente spazzato via dal tenebroso e deformante rifferama pagano di Kraiins (in cui ritorna finalmente a materializzarsi la presenza di una sei corde elettrica e l’eco di un trombone in putrefazione), ancora nulla in confronto all’allucinante puzzle di effetti, rumori siderurgici, percussioni, voci processate e power electronics a manetta della successiva Into The Outer Night. Il torbido clima glacial-space-ambient di The Conqueror Worm produce la terrificante sensazione d’essersi smarriti a bordo di un’astronave fantasma con malefiche creature aliene ancora in agguato, mentre nella successiva Slumbering Cries si sprofonda in una Gehenna infestata da lugubri e sinistri rumori di catene e strumenti da tortura. Sette suite per una sinfonia horror il cui registro e’ sottolineato dallo strisciante e occulto camerismo-free jazz del trombone nella finale Radiance In Decay, in un tragico e claustrofobico scenario perso nelle piu’ remote e tenebrose regioni del cosmo.


 


 




Voto: 7/10


Genere: Doom Ambient, Abstract Noise, Dark Power Drones


 


 




Musicisti:


Kyle Willey – electronics, bass, trombone, vocal effetcs


Adam Cooley – guitar, electronics, percussion, vocals effetcs


 


 


 




Brani:


01. Traces of Warmth Remain


02. Hideous Between Realms


03. Kraaiins


04. Into The Outer Night


05. The Conqueror Worm


06. Slumbering Cries


07. Radiance Of Decay


 







 


 


 


 




Links:


Robe.: http://robetheband.tripod.com


Vade Retro Records: http://retrologia.blogspot.com/