Per le cifre di dischi venduti e i premi ricevuti potrebbe considerarsi l’Adele del jazz. Diana Krall arriva finalmente anche a Napoli (la sua prima volta dal vivo) e le aspettative sono alte. La cornice del debutto di fronte alla platea partenopea è di quelle importanti. Disegnata e riprogettata da Giulio De Luca (prima nel 1940 poi nel 2001), l’Arena Flegrea è un gioiello di stile incastonato nella Mostra d’Oltremare. Il gruppo Trefin guidato dall’impreditore Francesco Floro Flores ne ha consentito rinascita e utilizzo. Una gestione (in concessione per dodici anni) che oltre a dotare Napoli di uno spazio degno di una capitale culturale ha permesso al direttore artistico Stefano Valanzuolo di avviare e mettere in piedi un programma di concerti e appuntamenti alquanto considerevole. Unici punti deboli: il costo non proprio popolare dei biglietti e la notevole distanza ottica tra spettatore e artista sul palco. Quest’ultima già disagevole nell’adiacente cavea bassa, sicuramente bizzarra e insopportabile se si sceglie di non svenarsi e accontentarsi di un posto in quella più alta e panoramica. In ambedue i casi resta il conforto di una resa acustica davvero eccellente, capace di restituire da qualsiasi punto d’ascolto dinamiche sonore brillantemente nitide e fedeli.
Fattore affatto secondario da cui ha tratto beneficio l’intera esibizione della star canadese, apparsa con la sua consueta eleganza in bell’abito nero e tacchi alti alla testa del suo storico e affiatato trio di lungo corso, vale a dire il contrabbassista Robert Hurst, il chitarrista Anthony Wilson e il batterista Karriem Riggins. Il repertorio offerto al numeroso e variegato pubblico (tra cui anche famiglie con ragazzini al seguito) ha lasciato inspiegabilmente da parte l’ultimo album “Wallflower” (uno dei più riusciti dai tempi di “The Look Of Love” e “The Girl In The Other Room”) per muoversi su e giù tra titoli e composizioni afferenti un’intera carriera discografica. Un “american songbook” nobile, glorioso e riconoscibile su cui Diana Krall ha costruito con talento e astuzia il proprio successo d’interprete. Popular songs, motivi Tin Pan Alley e ricercati standard della tradizione jazz più mainstrem che in poco più di un’ora e mezzo hanno trasformato l’Arena Flegrea in un raffinato e (fin troppo) ovattato salotto. Consapevole del proprio fascino e sex-appeal, la Krall ha comunque dimostrato e sfoderato le sue rinomate qualità. Tra i suoi punti di forza una vocalità perfetta, profonda e conturbante, capace di gestire molteplici registri, accompagnata da un pianismo tecnicamente impeccabile, non proprio virtuosistico ma pur sempre in grado di offrire passaggi puliti e vertiginosi oppure tocchi vellutati e timbri avvolti da una morbida e irresistibile sensualità.
Tra i primi pezzi di riscaldamento una magnifica rendition di I Just Found Out About Love (che reca quali suoi grandi interpreti Dina Washington e Diane Schurr) e All Or Nothing At All (dall’album “Love Scenes” del 1997, una composizione interpretata da Frank Sinatra, Count Basie, Billie Holiday, Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan, ma anche dall’ultimissimo Bob Dylan). Il pubblico apprezza e ricambia con educati applausi e una singolare attenzione. Di frequente, tra un pezzo e l’altro, la Krall rianima la platea e l’atmosfera con battute e brevi introduzioni, come quella che serve a dedicare Exactly Like You (dall’album “From This Moment On” del 2006) a tutte le famiglie e in particolar modo ai suoi tre figli e al marito, Elvis Costello, in quel preciso momento impegnato da par suo con un concerto in Inghilterra. Tra i brani più ritmati vengono ripescati East Of The Sun (West Of The Moon) (da “When I Look In Your Eyes” del 1999, già saccheggiata da Bud Powell, Sara Vaughan, Tony Bennett, Carmen McRae e Billie Holiday) e sempre dallo stesso disco Let’s Fall In Love (interpretata da Frank Sinatra, Tony Bennett ma anche da Oscar Peterson, Dave Brubeck, Stan Gets & Gerry Mulligan), finendo poi con l’impervio scioglilingua e arrangiamento della celeberrima Cheek To Cheek di Irving Berlin, portata al successo da Fred Astaire, Frank Sinatra e Tony Bennett.
Viceversa molto più consistente il numero di composizioni lente e struggenti, tra cui due ulteriori gemme tratte dall’aureo canzoniere di Irving Berlin – How Deep Is the Ocean (How High Is the Sky) e Let’s Face The Music And Dance – una superba versione di You Call It Madness (dal disco tributo all’ammiratissimo Nat King Cole Trio pubblicato nel 1996), e la sorprendente quanto intensa e viscerale esecuzione di Simple Twist Of Fate di Bob Dylan. Nel rituale encore Krall e soci regalano al pubblico non ancora completamente appagato un tris da urlo, che parte da Boulevard of Broken Dreams (interpretata oltre che da Nat King Cole anche da Tony Bennett, Marianne Faithfull e Coleman Hawkins), passa (dopo un breve accenno alla gershwiniana S’ Wonderful) per l’acclamata e richiestissima The Look Of Love di Burt Bucharach e termina tra le note e i versi immortali di In Other Words (Fly Me To The Moon). Alla fine Diana Krall ringrazia e saluta tutti, sudata e un attimo scomposta dall’afa notturna ma ancor di più dal calore e dal pathos ineguagliabili del pubblico partenopeo.
Olindo Fortino
Diana Krall
Napoli 11 luglio 2016 – Arena Flegrea
Musicisti:
Diana Krall – vocals, piano
Anthony Wilson – guitar
Robert Hurst – double bass
Karriem Riggins – drums