Difficile e privo di appigli comuni questo nuovo lavoro personale di Daniele Sciolla dal titolo “Spin Of Synth” uscito per Elli Records. Ci troviamo nel mondo delle matrici numeriche e delle programmazioni, dentro la ricerca del suono a firma di numerose macchine rare che lo “scienziato e ricercatore” Daniele Sciolla ha inseguito a spasso per l’Europa. E poi quella sensazione che mi resta di generare una regola per poi lasciarla interpretare al suono delle diverse tecnologie in uso. E così l’ascolto che diviene “apocalittico” e definitivo, che diviene futuristico e privo di ratio dove l’unica regola è la perfezione anche dentro la voluttà del timing che resta pur sempre una soluzione matematica del tutto. Dunque seppelliamo definitivamente le aspettative in favore di forme canzoni, incisi, ritornelli… Daniele Sciolla dà il suono al caso … e nulla alla fine è semplicemente figlio della casualità.
Mi ha sempre affascinato il suono elettronico. La prima curiosità è nella forma: potrebbe non avere mai un limite, una forma finale, una frontiera da raggiungere. C’è una fine al processo di creazione?
In effetti è un tema importante. Ci sono anche molti meme sulla questione. Bisogna cercare di non farsi sfuggire la cosa di mano, se no si rischia di accumulare migliaia di progetti e lavori mai finiti proprio alla ricerca della forma ideale. La musica elettronica fa sì che ognuno sia un po’ liutaio, un po’ violinista e quindi si rischia di creare loop tra le due figure.
E poi l’esecuzione. Quanto affidi al suono delle macchine che quindi – scusa il gioco di parole – vanno suonate… quanto ti affidi invece alla programmazione dei computer?
I due universi in realtà comunicano molto tra di loro: il computer invia segnali alle macchine (midi perlopiù) che poi comunque possono essere ancora suonate. Quindi io durante il live posso suonare i sintetizzatori, cambiarne i parametri (filtri, ADSR, ecc.) cambiando quindi il suono e la timbrica, ma anche modificare le informazioni che il computer invia alle macchine. Un po’ una figura di mezzo tra il direttore d’orchestra e il compositore.
Un disco che nasce anche dalla ricerca delle macchine rare… ovvero? Raccontaci…
Sì, è stato tutto molto spontaneo: anni fa ho iniziato a interessarmi ai sintetizzatori analogici perché alcuni miei conoscenti ne possedevano parecchi e li avevano messi in vendita o affitto. Ne ho potuti provare parecchi e poi ho acquistato il mio primo analogico: Roland Jupiter 6.
Dopo un po’ ho conosciuto i ragazzi di In.Sintesi a Torino, uno studio dedicato a synth e processori, un posto davvero fantastico che purtroppo ora è momentaneamente chiuso. Poi ancora ho saputo che a Friburgo, in Svizzera, città nella quale ho fatto parte dei miei studi matematici, avevano aperto lo SMEM (Swiss Museum & Center for Electronic Music Instruments). Ci son andato subito. È incredibile: nella playroom sono a disposizione decine di synth che possono essere suonati e registrati, mentre nel museo ci sono corridoi e bancali di macchine che a rotazione entrano nella playroom. Da quelle registrazioni sono nati i miei scorsi EP.
E dunque il suono diviene matematica e viceversa. Il calcolo quanto contamina la libera espressione emozionale che ha davvero poco di matematica?
La matematica per me è molto più spirituale e ricca di tensioni e distensioni di quanto la gente normalmente ritenga. Quindi le due cose in realtà non mi sembrano in contrasto. La matematica direi che è più descrittiva e la musica più creativa, quindi hanno questa differenza di fondo che le divide. La Matematica comunque non è calcolo… è il calcolo fa parte della matematica, ma ne è una piccolissima parte. Nel mio caso direi che le due interagiscono continuamente.
E a chiudere la domanda sociale: tanta ricerca del suono per poi farla confluire in un ascolto medio fatto dai telefonini e supporti simili. Non trovi che si perda un po’ tutto il senso?
La ricerca sonora c’è sempre stata: da Antonio Stradivari a Don Buchla. Il fatto che qualcuno non ascolti la musica nell’ambiente adatto o con i diffusori giusti non vuol dire che non si debba fare un prodotto di qualità. Comunque secondo me l’opera dovrebbe avere una parte che esula dagli strumenti utilizzati per la riproduzione. Quindi avere dei messaggi che non necessitino di attrezzature troppo sofisticate per essere colti. Chi vorrà arrivare a dei livelli più profondi potrà godere di tutti i dettagli e di tutta la profondità della composizione scegliendo dei diffusori di un certo livello. Questo in tutte le arti: il cinema non si ferma al 1080 perché molte persone utilizzano i telefonini per guardare le serie.