Lo conosciamo da tempo Daniele Faraotti, cantautore, musicista di lungo corso, visionario del suono e della forma. Lo abbiamo conosciuto prima con “English Aphasia”, poi con “Phara Pop vol.1”… e ora il terzo disco che si intitolerà “EP! EP! URRA’!”, in arrivo entro novembre e che ad ora si lascia anticipare anche da questa seconda release dal titolo “La forma del coleottero” che vi presentiamo in anteprima: dalle ispirazioni letterarie di Kafka alle allegorie di una velata (ma neanche tanto) critica alle nuove normalità di questa società. Sono vie di fughe possibile le metamorfosi… un rimando ai replicanti che ormai con l’A.I. sono a due passi dalle ovvie cose di ogni giorno. E poi il suono, la forma, questo fare musica senza più una quadratura di ritornelli, di melodie cicliche, di modi canonici. Più che al futuro, si guarda alla libera espressione. E la libertà non è mai cosa facile da gestire…
Prima di tutto, visto che niente è a caso: perché un coleottero come ultima “via di fuga”?
No, non è l’ultima, è una delle possibili, certo è la via di fuga di Franz Kafka.
Gli uomini veri si sono salvati grazia all’agricoltura saggezza: come a dire che ci salveremo tornando alle origini?
Beh sì, mi pare che a certi livelli sia un pensiero ricorrente. Da un po’ di tempo si vedono in giro slogan del tipo “l’orto ci salverà”. C’è ancora molto verde in questa nostra vecchia terra e questa potrebbe essere una soluzione, scongiurando un altro diluvio che comunque, ci darebbe l’opportunità di ricominciare tutto da capo. Gli animali finalmente nostri amici. E il computer? Anche.
E quindi che rapporto ha Daniele Faraotti col futuro e con l’evoluzione della tecnica?
Il futuro è già passato! È passato più e più volte. Tornerà (torneremo ancora e ancora).
L’evoluzione contempla sempre un po’ d’involuzione. L’evoluzione tecnica in certi frangenti mi è parsa molto positiva. Senza il computer non avrei potuto incidere dischi. O meglio avrei potuto, ingraziandomi chissà quali consensi presso questo e quello, arrivando a fare la musica che voleva qualcun altro. In linea di massima ne sono dipendente anch’io, come tutti, ma in modo disincantato, non credo a niente. Ho rivalutato un po’ Spotify, unicamente perché ci trovo tutto ma paradossalmente non ho più voglia di ascoltare musica. Mi ha stancato. La televisione è bandita completamente dalle mie giornate, i social, usati per postare foto di riflessi, nel senso di far girare un po’ quel che vado facendo. Una ventina di like son garantiti. Il demiurgo e i suoi arconti hanno voluto questo mondo. Sembra che si nutrano delle nostre angosce e delle nostre paure. Il pranzo più grande lo faranno con la nostra morte. Che dire, finché riesco a controllare la situazione, con me stanno a dieta.
Devo rileggere “Le metamorfosi” di K. Un brano che celebra a suo modo lo scrittore di Praga oppure lo hai riscoperto dopo la scrittura trovando connessioni altre alla canzone?
Devi farlo subito. Kafka, era provatissimo dalla vita che andava conducendo. Il mondo di allora, non così diverso da quello attuale, lo aveva schiantato. La trasformazione, una via di fuga, per mandare il coleottero nella “vita” e potersene stare a casa a poltrire, annoiandosi e probabilmente anche per avere il tempo di finire “America”. Le cose si sono un po’ mischiate, tra il racconto e la lettura di un saggio critico in forma di biografia, una pubblicazione recente che contiene anche un carteggio con Brod. La lettera al padre contiene molte delle fatiche di K. La metamorfosi è la soluzione. Nella mia canzone paradossalmente questa salvifica trasformazione si ritorce nuovamente contro Kafka. Sarà il coleottero a comandargli commissioni sussurrate. In fondo che ne sappiamo noi dei coleotteri?
E questi personaggi? Chi rappresentano per davvero?
C’è qualcosa di “Metropolis”, soprattutto nel personaggio/automa, quello che induce K a non distrarsi, a pensare solo al lavoro, ad essere efficiente. Ad un certo punto prorompe in un passo di danza. Sembra fatto di molle. Dopo “Blade Runner”, i replicanti tendono a ribellarsi ai sistemi. Quella danza è un’anticipazione, una prova, per qualcosa che verrà. La ragazza bionda potrebbe essere la sorella di Kafka. Sarà lei a scoprire K trasformato in coleottero. Tra affettuosità consolatorie e rassegnazione, anche lei assiste al destino, salvifico (?) di K.
Stefania Della Carnevali è presente in forma di cameo. Fa la parte di una collaborazionista, lavora per il padrone, verrà redarguita dall’automa perché eccessiva nei modi in cui ha letteralmente umiliato il povero K. Il video è stato girato lo stesso giorno in cui è stato girato il video di “Le Promesse” (uscito a giugno) e nella stessa location. Stefania è stata tutto il giorno con noi, si stava annoiando, e così ci ha soccorso il cameo. Vabbè negli altri tempi morti leggeva racconti di Poe, che fortunatamente avevo portato con me sul set. Poe l’ha ispirata, infatti sta girando l’Italia con la sua compagnia teatrale con letture di racconti tratti dai racconti di Eddie. È sin troppo evidente che K sono io. È il primo video dove mi vedo addosso tutti i miei 63 anni. Dal prossimo video comincio ad usare filtri ringiovanenti.
Sta arrivando il nuovo disco di Daniele Faraotti: in vinile anche questa volta? Che cosa ci aspetta di diverso o di uguale?
Si, dopo l’uscita in cd ad ottobre, a fine novembre ossia a gennaio uscirà il vinile. È il terzo mio lavoro che esce anche in vinile. Il vinile rilancia l’attenzione sull’album. E così se ne parla ancora un po’. Le mie canzoni si articolano a seconda della loro natura. Puoi trovare canzoni geneticamente simili ed altre completamente diverse. Me lo dovrai dire tu. Io arrivo in fondo che ne ho la nausea. Tra dieci anni quando saranno, quasi completamente dimenticate, ti saprò dire…
Grazie Daniele Faraotti!