CLAUDIO PASSILONGO: ‘Adagio’, ma con convinzione…

Abbiamo incontrato Claudio Passilongo, giovane pianista napoletano, in occasione dell’uscita del suo ultimo lavoro discografico. “Adagio, con espressione” rappresenta una delle sue tante anime. Ci siamo fatti raccontare anche le altre…



Sound Contest: A 33 anni hai gia’ parecchie esperienze da raccontarci. Direi di cominciare dall’ultima. “Adagio, con espressione”.
Ti abbiamo lasciato con “Luna di Seta”, esperienza “orchestrale” e ti ritroviamo in piano solo. Cosa ha determinato questa scelta, considerando che suoni piu’ spesso in trio?
Claudio Passilongo: Il pianoforte, suonato in un certo modo, riesce a ricreare atmosfere intimiste e sofisticate che mi rappresentano molto. I brani li ho pensati “attorno” al suono del piano. Il disco e’ molto morbido e il suono che cercavo doveva essere molto introspettivo.



S.C.: Una musica stratificata, la tua, per ascolti diversi, in cui ad una melodia accattivante fa da contraltare un lavoro costante su armonia e cambi ritmici. L’immagine che mi viene in mente e’ quella di un mare calmo sotto la cui superficie si muovono correnti turbinose e incessanti.
C.P.: L’immagine che hai avuto e’ bellissima. In verita’, rappresenta la mia idea di Musica, fatta di movimenti sommessi, come lava in ebollizione in un vulcano inattivo ma non spento…



S.C.: Ci parli della genesi delle singole composizioni? Per inciso, tutte tue, tutte nuove, con il solo recupero di “Cambio de sentido”. Come mai proprio questa?
C.P.: Certo, anche se a volte e’ difficile spiegare a parole quello che si prova quando si compone… Il sole del crepuscolo di una sera di luglio mi suggestiono’ molto… Immaginavo accordi e armonie che mi riportassero le sensazioni che provavo e, messe le mani al piano, venne fuori l’armonia di “Evening Sun”. Le “voci di dentro” invece sono un omaggio all’aspetto piu’ intimo del pianoforte. È un brano complesso fatto di rimandi interni in cui e’ facile scorgere richiami al pianismo jazz europeo. La “Sonata” (chiaro omaggio alla tradizione classica) e’ invece una costruzione atipica in cui il ritmo cambia in continuazione. Ho pensato che la musica dovesse fluire liberamente senza condizionamenti metrici, volevo che fosse libera dalla stanghetta della battuta…
“Cambio de sentido” l’ho scelta perche’, nonostante sia una vera e propria canzone – con strofa, bridge e ritornello – offre sviluppi armonici interessanti. Ho pensato di riproporla sotto forma di “Tema e Variazioni”, tanto e’ vero che la ripropongo con il ritmo di Valzer, di Tango e di Samba. Poi, ho omaggiato Bacharach, Mehldau e Satie con “Hommage a’ trois”. Il brano “MoonChild Dawn” e’ invece una rielaborazione, o meglio una sofisticazione, di un tema immaginato (non scritto) dalla mia compagna Maria che, pur non essendo musicista, ha talento e musicalita’ immensi. “Nebbia” e’ la mia idea di Ferrara, una citta’ che amo e alla quale sono molto legato.



S.C.: Jazz si, ma non solo. Classica si, ma non solo… musica sospesa al di sopra dei generi. Scelta o attitudine culturale?
C.P.: Decisamente attitudine culturale. Quando non compongo passo la meta’ delle mie giornate a suonare Bach, Berg, Haydn, e l’altra meta’ sui dischi di Jarrett, Fred Hersch, etc… Credo che i generi siano un (ottimo) modo per instaurare dei dialoghi fra chi fa musica e chi la ascolta; ma non credo che un artista debba farsi influenzare a priori dallo stile, piuttosto lasciar fluire quello che si e’ appreso: Dottor Jekyl di giorno (studiare apprendere esercitarsi), Mister Hyde di Notte (scrivere, suonare, comporre)…



S.C.: Domanda scontata: quali sono i tuoi riferimenti? per lo strumento, per l’arrangiamento, per la composizione…
C.P.: Non e’ affatto scontata perche’ ogni artista risponde in modo diverso. “Il mio autore preferito e’ quello che suono in quel momento”, diceva Sviatoslav Richter. E io concordo in pieno. Amo tutti i grandi autori. Forse, in questo periodo, sono molto vicino al Bach del “Clavicembalo”; ma amo Gil Evans, Ellington, etc…



S.C.: Hai alle spalle anche alcune esperienze di musica per teatro. Quanto senti congeniale questo tipo di composizione? o preferisci la liberta’ del piano, musicare le tue sensazioni senza dover per forza esprimere quelle di qualcun altro?
C.P.: “Adagio con espressione” mi ha permesso di esprimere quello che sono. Per una volta non ho avuto alcun condizionamento, se non il mio gusto personale. Ho creato delle miniature in cui ho concentrato le mie idee sulla musica. Mi sono sempre immaginato come un pittore nella sua bottega che cerca di portare sulla tela delle parti di se’, e non dei paesaggi. La musica “di scena” e’ invece un pò una sfida continua, poiche’ devo sempre rendere il suono funzionale al discorso scenico narrativo senza violare la mia natura. Sono modi di vivere e fare musica diversi, ma entrambi stimolanti. 



S.C.: Come e’ cominciato tutto? quali esperienze (e quali incontri) ti hanno portato ad essere quello che sei? e quali ti piacerebbe fare?
C.P.: È cominciato tutto davanti al vecchio piano di mia nonna, quando avevo 9 anni. Poi, per imitare mio padre (chitarrista amatoriale) passai alle sei corde e al Rock… Vennero, molto tardi in verita’, Francesco Nastro, Pietro Condorelli e Salvatore Tranchini che hanno  – ognuno a modo proprio – corretto la mia rotta e mi hanno portato a vivere la musica in maniera professionale.



S.C.: Cosa bolle in pentola in questo momento?
C.P.: Il MuzikEnsemble e’ il mio ultimo progetto: una realta’ di musicisti che si sta affermando. Proponiamo musiche da film e brani originali, in versione Jazz, e a breve realizzeremo un disco. Sono poi alle prese con la colonna sonora del film “Assolo” di Massimo Piccolo, per il quale sto lavorando all’orchestrazione. Ho scritto tutte le musiche, ora mi tocca vestirle per orchestra.