Un disco come “Circles” promette di tornare all’uomo e alla sua origine spirituale. Promette e ci riesce dentro i ricami di suoni acustici e ancestrali che arrivano spesso da zone del mondo lontane anni luce. Marco Zanotti e la sua Classica Orchestra Afrobeat ha fatto un lavoro magistrale in questo disco che ospita anche la preziosa voce di Rokia Traoré, una delle più importanti artiste africane nel brano “Ka munu munu”. E poi strumenti antichi, tradizioni, scritture perdute nel tempo e nella distrazioni dell’industrializzazione potente… si torna anche alla ritualità, lo dicono le percussioni di Zanotti, lo dice una certa scrittura che al Jazz chiede moltissimo. “Circles” è un disco da esperire in silenzio…

 

CLASSICA ORCHESTRA AFROBEAT Circles coverUn disco che culla il concetto della diversità. Non solo altre culture ma anche altro modo di pensare al suono e alla forma. Che parte di mondo avete esplorato per questo lavoro?
Pur non essendo un lavoro specifico su una tradizione musicale o un’area geografica, ci sono alcuni riferimenti sonori e musicali più appariscenti. Ad esempio l’uso dei lamellofoni come la mbira e la sanza ci porta ad una musica circolare presente in varie tradizioni dell’Africa Centrale e Meridionale, soprattutto in Zimbabwe, da cui proviene l’unico brano dell’album non nostro. E poi ci sono i sabar degli Wolof del Senegal, qualche accenno alla musica copta etiope nel brano che parla del massacro di Debra Libanos, i gnawa del Marocco del sud, eccetera.

 

 

Registrazione e produzione? Avete usato tecniche e strumenti che arrivano da quelle culture?

In parte si, ad esempio le mbire e le sanze, per il resto la cifra stilistica della COA resta il suono dell’orchestra da camera, con archi, legni e con il clavicembalo che dà una connotazione barocca. Il più possibile registrati in ensemble, grazie alle maestria di Andrea Scardovi, deux ex machina di tutti i nostri lavori. Poi c’è un intruso: uno strumento elettroacustico creato da un artigiano sardo, Massimo Olla, che usiamo in vari brani di Circles, assemblato con molle e barre filettate. Tanto per restare in tema metallo e upcycle…

Il risultato lo trovo molto occidentalizzato se mi concedi il termine. La pasta sonora sembra accomodarsi nelle abitudini moderne. O sbaglio?

È sicuramente un ibrido, per certi versi è l’album meno “africano” che abbiamo registrato, ma attenzione a non cadere nella vecchia ed imperitura logica coloniale: l’Africa ha un movimento afrofuturista e d’avanguardia di tutto rispetto, da cui l’Occidente prende a piene mani. Che cosa resterebbe delle “abitudini occidentali moderne” se togliessimo l’influenza secolare dell’arte africana? Penso al jazz, al minimalismo, alla tecnho e alla trap.

Se è vero che il concetto di circolarità è universale e trasversale è altrettanto vero che in Africa resistono più che in altre parti del mondo quelle dinamiche circolari che si applicano sia alla musica che alla vita sociale o alla filosofia.

Dal 15 al 21 gennaio Marco Zanotti è anche ospite del programma radiofonico Trans Europe Express a cura di Paolo Tocco.

Eccovi la chiacchierata (solo voce) disponibile da oggi su Spotify

 

Il vinile invece? Che rapporto ha questa musica, la vostra musica con questo supporto?

Il vinile è tondo e gira! A parte le battute, io personalmente sono un vinilofilo da sempre soprattutto per un motivo: quando ascolti un LP ti prendi il tempo per farlo, c’è una sorta di rispetto verso quello che il vinile rappresenta, cioè la musica ed il lavoro che ci sta dietro. In antitesi alla musica da sottofondo, quella delle playlist di Spotify.

E poi anche Spotify e il futuro… anche questo passaggio non me lo sarei atteso…

In che senso? Intendi il fatto che i nostri album si trovano anche su Spotify? Lo so, è un argomento spigoloso ma considera che già è difficile farci notare, in un paese ai margini della world music e per di più senza finanziamenti nè sponsor. La distribuzione digitale non è quasi mai giusta nel riconoscere all’artista il suo lavoro ma ormai è indispensabile se non vuoi definitivamente sparire dai radar. In ogni caso, non siamo certo noi che foraggiamo quel sistema… Il futuro? E dove vogliamo guardare altrimenti? Chiediamolo ai ragazzi di oggi.