Voce a Romeo Campagnolo e Matteo Marenduzzo, il duo veneto dei Bob Balera che tornano in scena con un nuovo disco di inediti dal titolo “Pianeti”. Siamo tutti pianeti diversi, la vita stessa è un incontro scontro tra pianeti e mille combinazioni… e non è un caso, dunque, che queste nuove canzoni siano fotografie del tempo nostro, della immensa moltitudine di combinazioni umane e spirituali. Amore, rock, il gusto estetico di radici che affondano dentro la canzone degli anni ’70, dalle balere ai disco club. E su tutte impera quel senso primo di battistiana memoria. Le nostre domande e le risposte di Matteo Marenduzzo.
Parliamo di produzione: il funk, il rock, la canzone d’autore… come nasce “Pianeti”?
“Pianeti” ha radici lontane, ma è cresciuto negli ultimi anni, acquisendo maggior consapevolezza e, forse, maturità (sostantivo che ancora non riesco a dire a voce alta, limitandomi a scriverlo).
È una sorta di summa di tutto quanto abbiamo ascoltato, a partire dall’adolescenza, dalle prime cassette inserite dai nostri genitori nell’autoradio durante i viaggi al mare, passando per le varie vicissitudini sentimentali a cui abbiamo associato una personale colonna sonora, fino al presente, momento in cui, dopo aver composto un discreto numero di canzoni, abbiamo pensato fosse giunto il momento di misurarci con un genere molto più complesso di quanto si possa supporre, puntando ad un pubblico potenzialmente vasto, con l’obiettivo ambizioso di rimanere saldi in quel precario equilibrio tra semplicità d’ascolto e contenuti autoriali, senza scivolare nella banalità o nello scontato.
Starà al pubblico valutare poi i risultati.
Tecnicamente parlando quanto avete demandato ai computer e quanto al suono suonato?
Questo è orgogliosamente un disco SUONATO.
Non poteva essere diversamente con Sandro Franchin alla produzione, figura centrale di questo album, grazie al quale abbiamo avuto come ospiti alcuni tra i musicisti italiani più apprezzati: Andrea Fontana alla batteria, Alberto Milani alle chitarre elettriche, Marco Boem alle tastiere e Ivan Geronazzo alla chitarra acustica. Poi qualche inserto al computer è stato fatto, ma in minima parte, con l’intento di attualizzare un sound che pesca a piene mani dagli anni ’70 e ’80.
Un disco ampio come questo ha lasciato anche spazio alle improvvisazioni?
Tutto è nato da iniziali jam e prove in saletta, da improvvisazioni estemporanee.
In un secondo momento abbiamo piuttosto lavorato di sottrazione, limando parti, togliendo per la maggior parte, valutando pochi e mirati interventi necessari, avendo a disposizione molto materiale registrato.
Abbiamo lasciato qua e là anche qualche errore di esecuzione che ha reso l’arrangiamento più interessante e vivo, quasi una sorta di caso di serendipità.
Chiediamo spesso agli artisti: un errore che vorreste evitare se poteste lavorarci da capo? O qualcosa che noi non sentiamo…?
Fondamentalmente “Pianeti” è un disco a cui abbiamo lavorato in tre sessioni: la prima, con i musicisti che facevano parte della band fino al 2019, periodo in cui abbiamo dato una prima stesura al tutto (testimoniata dalla cover L’Aquila presente nel disco, registrata da Max Trisotto); la seconda ha visto la collaborazione con il produttore/amico Claudio Corradini, tragicamente mancato il primo Luglio del 2021, che aveva rivisto gli arrangiamenti e le strutture dei pezzi, fino al successivo coinvolgimento di Sandro Franchin, con cui abbiamo rimesso in discussione molti aspetti, fino alla conclusione definitiva.
Per quanto mi riguarda, questo era il disco che volevo, e di cui non cambierei una virgola, o meglio una nota.
Oggi la musica sta tornando anche dentro i supporti fisici. Per voi?
I Bob Balera non hanno mai abbandonato il supporto fisico…
Non possiamo che augurarci che questo trend continui.