Li avevamo incontrati con il singolo “Every Night” e subito avevamo acceso una lampadina di attenzione su un progetto che, nonostante i cliché del pop rock internazionale dalle tinte digitali e “spaziali”, certamente sfornava una personalità di scrittura davvero interessante. E oggi finalmente il disco ufficiale, full length come si dice. “Spaceship” è l’esordio della formazione campana dei Black Whale: e accanto alle sensazioni futuristiche scopriamo anche ballate leggere sempre cosparse di aria e orizzonti aperti, dove il rolling diviene un volo a planare e gli ostinati, altrove nel disco, richiamano una potenza crossover più che un bisogno di eccentrico glam-rock. E dunque non sorprende neanche la pazienza di brani come “Mad World” dentro cui uno shoegaze americano allude a nuovi equilibri lontani da noi. Il mondo futuro ai tempi delle macchine e non più degli uomini. C’è un filo conduttore importante dietro questo lavoro che sembra essere a tutti gli effetti un concept.
Finalmente ci ritroviamo con il progetto esteso. Un primo singolo e poi oggi un secondo. Poi oggi un Ep. Il suono dei Black Whale? Sentite che ha subito qualche tipo di evoluzione?
Fin dall’inizio abbiamo affrontato un’evoluzione continua, scomponendo i brani più volte, cercando di essere molto critici con noi stessi: l’obiettivo era non accontentarsi alla prima soluzione. È stato un processo di crescita che poi è diventato il nostro modo di lavorare.
Il rock che sospeso delle volte diventa grunge. Ispirazioni americane dalla vostra?
Ispirazioni principalmente provenienti dal grunge degli ‘90 e da gruppi più recenti come QOTSA e Nothing But Thieves. C’è da dire che Antonio, il nostro batterista è un grande fan di John Bonham con la conseguenza che nei meandri dei brani sono nascosti dei colpi della scuola zeppeliniana.
Elettronica che incontra l’elettricità. Ci piace questa definizione che date. Dunque? Incontro o scontro?
È stato e sarà sempre uno scontro positivo. Il senso di un sano confronto musicale per noi sta nell’accettare le radici e la realtà che va in tutt’altra direzione. L’elettronica ci piace e cercheremo di evolverci anche in questa direzione.
Parliamo di produzione: com’è accaduta, come avete registrato l’elettronica e l’elettricità?
La produzione elettrica è avvenuta come ai bei vecchi tempi: testata e cassa, banco analogico e tanta voglia di smanettare. Entrare e lavorare in studio ha sempre un sapore unico.
La produzione elettronica invece è stata concepita in digitale: interfacce synth che all’occorrenza si trasformano sequenze per l’esecuzione live.
Che poi molto dovete ad un certo metal o sbaglio?
Su alcuni brani ci sentiamo di dire che di certo si possono ascoltare sonorità più dark.
Il beat di Don’t Run anche se è “tirato a terra” picchia a suo modo e Machine ha una melodia molto distante da quel mondo (secondo noi). Il metal ha una certa cuginanza nel nostro sound, come tanti altri generi, del resto, ma non è di certo il nostro asso nella manica, anzi, cerchiamo di spostarci sempre verso sonorità rock più mainstream.