A beneficio del jazz di questi anni Zero c’e’ una linea di salvezza che dalla Terra Promessa di Canaan arriva a New York passando per Grande Madre Africa. È quella riferibile a un enclave israelita di jazzisti e artisti d’ultima generazione che a partire dalla seconda meta’ degli anni Novanta mette piede a New York e dal palco dello Smalls (music club a quei tempi aperto da Mitchell Borden nel Greenwich Village), irradia e perfeziona sera dopo sera, concerto dopo concerto, il verbo estetico di una nuova eccitante scena jazzistica in grado di fare avanguardia e sperimentazione senza rinunciare allo swing delle radici e della tradizione.
Una nuova corrente e tendenza in progressivo fermento che prende le mosse da un linguaggio ibrido, oscillante tra attualita’ e antichita’, peculiarmente incline a inglobare i principi di scrittura e improvvisazione all’interno di forme ethno-folk e strutture pop estremamente dirette e accessibili. Coloro che ne fanno parte sono musicisti giovani e aperti ad ogni tipo di esperienza, le cui comuni origini ebraiche li portano a crescere e a collaborare insieme, l’uno nel progetto, nel disco o nel concerto dell’altro, stabilendo da questo epicentro culturalmente ed artisticamente condiviso una rete sempre piu’ fitta e allargata di contatti con altri musicisti d’ogni estrazione e nazionalita’ attivi nella Grande Mela.
Tra “quelli dello Smalls” il giovane trombettista Avishai Cohen e’ oggi uno dei piu’ apprezzati e seguiti da critica e pubblico, al pari degli altri suoi amici ed esponenti di spicco della scena (Omer Avital, Jason Lindner, Kurt Rosenwinkel, Peter Bernstein, Daniel Freedman, Aaron Goldberg, Dan Aran, Eli Degibri e Mark Turner), in continua e rapida ascesa nel panorama jazzistico internazionale.
Nato nel 1978 a Tel Aviv e cresciuto in una famiglia di musicisti (maggiori d’eta’, il fratello Yuval e la sorella Anat sono entrambi talentuosi specialisti per quanto riguarda clarinetto e sassofoni mentre la madre insegna musica presso scuole di prima infanzia), Avishai Cohen inizia a studiare e a suonare la tromba all’eta’ di 10 anni. Adolescente ha l’occasione di fare esperienza e l’opportunita’ di girare il mondo con la Young Israeli Philarmonic Orchestra. Il momento chiave di svolta per la sua formazione artistica arriva con l’assegnazione di una borsa di studio per il prestigioso Berklee College of Music di Boston. Nel 1997 si piazza al terzo posto nella Thelonius Monk Jazz Trumpet Competition e qualche anno dopo si trasferisce definitivamente a New York dove ritrova l’amico d’infanzia, il contrabbassista israeliano Omer Avital, il quale lo introduce nel giro dei musicisti che suonano allo Smalls.
Messosi subito in luce nelle performance serali presso il club, Cohen riceve nel frattempo attestati di stima e nuove opportunita’ di lavoro da jazzisti e artisti di spessore quali Bobby Hutcherson, Claudia Acuna, Roy Hargrove, Joshua Redman, Dave Liebman, George Garzone e Bobby Watson. Perno di molti progetti e dischi di Omer Avital, il trombettista e il contrabbassista fondano insieme la nuova entita’ musicale ethno-jazz-fusion dei Third World Love, gruppo titolare finora di quattro meravigliosi album in cui figurano anche il pianista Yonatan Avishai e il batterista e percussionista Daniel Freedman. Finalmente nel 2003 Cohen incide e pubblica (su etichetta Fresh Sound New Talent) il suo primo album da leader, ironicamente intitolato The Trumpet Player per evitare confusioni con l’omonimo e piu’ famoso Cohen contrabbassista. Insieme al trombettista, che vi firma cinque originali e propone una rilettura della coltraniana Dear Lord e dell’ornettiana Giggin’, nel disco figura una sezione ritmica composta dal contrabbassista John Sullivan e dal batterista Jeff Ballard (Pat Metheny, Chick Corea) con l’aggiunta del tenorista Joel Frahm che compare come special guest in tre dei sette brani che compongono l’album.
Orizzonti stilistici piu’ ampi presenta invece il secondo lavoro intitolato After The Big Rain (Anzic, 2007) primo capitolo di una trilogia (“The Big Rain”) ispirata al tema della Genesi e del Diluvio Universale secondo un filo narrativo e riflessivo che investe il rapporto tra natura e specie unama sulla Terra. Un disco connotato da parti vocali, strutture acustiche ed elettriche, generi e stili sovrapposti che danno la stura ad un affascinante viaggio tra climi jazz-fusion e sonorita’ ethnic-folk di matrice nordadricana e mediorentale. Accanto a Cohen, che mostra la duttilita’ della sua voce e lo spessore della sua scrittura, un quintetto che include il pianista e tastierista Jason Lindner, il chitarrista e vocalist Lionel Loueke, il contrabbassista Omer Avital, il batterista Daniel Freedman e il percussionista cubano Yosvany Terry.
Dopo aver lavorato e suonato in famiglia con il progetto 3 Cohens (che debutta nel 2007 con l’ottimo album Braid), un nuovo cambio di rotta e metodo nel percorso artistico del trombettista arriva invece da Flood (Anzic, 2008) successivo capitolo della trilogia. Un disco dove Cohen esprime il massimo con poco, facendo leva su un trio senza contrabasso, unicamente accompagnato dal piano di Yonatan Avishai e dalla batteria di Daniel Freedman. Si tratta di un’opera ricercata, basata molto sulla composizione e sulla modulazione di motivi intrisi di leggera melanconia soul-blues oppure graziosamente danzanti e cantabili, facendo convergere nella sintassi jazzistica toni sia notturni che solari, sposati anche a un certo camerismo folk.
Nel frattempo il talento e la notoriera’ del trombettista sono sanciti da un tour mondiale al fianco della cantante franco-americana Keren Ann (con cui incide due album in studio) e soprattutto dall’arruolamento nella nuova line-up della prestigiosa San Francisco Jazz Collective, insieme ad altre stelle, giovani e meno giovani dell’attuale firmamento jazz (Robin Eubanks, Mark Turner, Miguel Zen