Antonangelo Giudice è un sassofonista, clarinettista e compositore genuino, sensibile. Con questa chiacchierata racconta alcuni momenti particolarmente importanti della sua carriera ed enuclea genesi e mood del suo nuovo disco, intitolato “Relazioni Clandestine”, prodotto dall’etichetta marchigiana Notami Jazz.
Suoni indistintamente sax e clarinetto. Con quale fra questi due strumenti senti di esprimerti meglio?
Probabilmente con il sax, poiché mi capita di suonarlo più spesso, anche se devo dire che suonare il clarinetto mi dà sempre una grande emozione. Forse perché è stato il primo strumento con il quale ho cominciato ad appassionarmi alla musica.
Nel 1992 figuri nell’album intitolato “Nella Sala di Arcate” inciso con l’orchestra “Zètema” diretta da Bruno Tommaso, in cui spicca la presenza di due eccezionali artisti come Steve Lacy al sax e Glenn Ferris al trombone. Quali sono i ricordi più preziosi legati a questa esperienza discografica?
Ciò che più di tutto mi è rimasto in mente di quella esperienza è il suono di questi due giganti. Di Steve Lacy (che ho avuto la fortuna di averlo a mezzo metro da me per tutta la durata della registrazione) mi ha colpito anche il modo così libero di stare sul tempo, pur mantenendo sempre un gran “tiro”.
Nel 1995 prendi parte alla registrazione del disco “6 X 30” con l’orchestra “Utopia + Paolo Fresu Sextet” sotto la direzione di Bruno Tommaso. Dopo la realizzazione del CD sono seguiti numerosi live in giro per l’Italia. Quali sono le peculiarità di questo album?
Il disco si basa sul dialogo tra le due formazioni: un’orchestra comprendente archi, legni, ottoni, percussioni e sezione ritmica da una parte e il prestigioso sestetto di Paolo Fresu. La convivenza tra i due ensemble è sapientemente orchestrata da Bruno Tommaso, che firma anche la composizione di uno dei i brani, mentre tutti gli altri sono a firma dei componenti del sestetto di Fresu. Sicuramente uno degli album più belli a cui abbia preso parte. Peccato che rimanga ancora sconosciuto ai più.
Nell’arco della tua attività concertistica hai condiviso il palco al fianco di alcuni jazzisti di inconfutabile blasone, come: Mike Melillo, Massimo Manzi, Fabio Zeppetella, Stefano Battaglia, Ramberto Ciammarughi, Gianni Lenoci. Avresti un aggettivo da spendere, per ognuno di loro, sia sotto l’aspetto umano che dal punto di vista artistico?
Non ho un aggettivo da spendere per ognuno di loro, ma posso dire che sono delle persone estremamente generose e autentiche dal punto di vista umano e dei giganti sul piano musicale, da cui ho avuto e ho la fortuna di imparare moltissimo, tanto sul jazz quanto sulla vita.
Solo pochi mesi fa è uscito il tuo nuovo disco, realizzato con Bruno Tommaso e licenziato dall’etichetta Notami Jazz, che si intitola “Relazioni Clandestine”. Il ricco parterre prevede la prestigiosa presenza di Massimo Morganti al trombone, Riccardo Fassi al pianoforte e al piano elettrico, Fabio Zeppetella alla chitarra, Gabriele Pesaresi al basso e al contrabbasso, Massimo Manzi alla batteria e Bruno Tommaso al pianoforte (in Alter Ego). Qual è la genesi di questa creatura discografica?
Si tratta di un tributo alla musica di Bruno Tommaso, un piccolo sipario su alcune composizioni di questo straordinario protagonista del jazz italiano che prende spunto dalle mie partecipazioni in alcuni suoi progetti e in particolare da un progetto di sonorizzazione di un muto di Rodolfo Valentino, dalla cui suite sono estratti tre brani. La scelta dei musicisti è stata operata non solo pensando ai migliori strumentisti con cui ho collaborato, ma anche cercando in qualche modo jazzisti che avessero già lavorato con Bruno Tommaso.
Bruno Tommaso è stato un mentore, un punto di riferimento importantissimo nel tuo percorso di crescita musicale. Anche in questo progetto recita un ruolo da protagonista assoluto, poiché (come da te anticipato) autore di sette dei nove brani che formano la tracklist. In poche righe, come definiresti artisticamente e umanamente questo colosso del jazz italiano?
Quando penso a Bruno Tommaso il primo termine che mi viene in mente è eleganza. Per lui non trovo altre definizioni, sia dal punto di vista umano che artistico.
Due delle nove composizioni presenti nel CD sgorgano dalla tua vivida penna. Come e quando sono nati questi due brani originali?
Uno è uno scherzo, una rielaborazione sia armonica che melodica del famosissimo Giant Steps di John Coltrane, dal titolo Some Other Step, mentre l’altro è una composizione che nasce dai ricordi, una musica che riaffiora dalla mia memoria musicale che probabilmente racchiude sensazioni legate alla mia infanzia, eseguita in duo con Bruno al pianoforte, il cui tema spunta qua e là tra le note del piano e quelle del sax. Entrambe sono state composte nel 2016.
In “Relazioni Clandestine” hai puntato dritto alla cantabilità e al senso melodico, senza l’ostentazione di pleonastici virtuosismi. Dal punto di vista strettamente comunicativo, qual è il messaggio reale che vorresti trasmettere a tutti coloro che ascoltano la musica contenuta in questo CD?
I messaggi sono vari. Innanzitutto c’è la voglia di caratterizzare territorialmente questa produzione e quindi esaltarne l’italianità tramite un approccio melodico all’improvvisazione. Poi credo che questo modo di suonare sia una maniera sincera di esprimersi e che ciò renda la musica fruibile verso una fetta più ampia di pubblico, formata non strettamente da jazzofili.