Eminenza grigia dell’improvvisazione e della composizione strutturata, Anthony Braxton rappresenta non solo una delle figure musicali piu’ originali e singolari del XX e XXI secolo ma anche il lato piu’ radicale, erudito e contraddittorio finora espresso dalla storia della musica afroamericana. Una storia e una tradizione da cui l’uomo (sassofonista, clarinettista e pianista, nato a Chicago il 4 aprile 1945) si e’ divincolato con notevole anticipo rispetto a un percorso artistico incredibilmente prolifico, concettualmente vasto e ramificato, lungi dall’esser pago di esplorazioni, rivoluzioni e provocazioni. Divincolato non per tradirne l’essenza e la lezione (come invece reputano molti detrattori e arcinoti protagonisti del jazz contemporaneo) quanto piuttosto per saggiarne la portata e la duttilita’ in altri terreni e contesti. Perche’ Braxton ha sempre viaggiato su una strada a doppia corsia, e una di queste e’ rappresentata proprio dalla sollecitazione delle radici e dalla rilettura delle pagine piu’ sacre dell’afroamericana, se non di tutte, almeno di quelle che hanno un senso nella sua visione generativa e universalistica della musica. Come puo’, d’altronde, un membro dell’AACM nonche’ un professore emerito della Wesleyan University come Braxton tradire e sconfessare sia i patriarchi del jazz e sia principi della Great Black Music? Lo conferma anche il rigoroso lavoro di analisi e ricerca svolto ininterrottamente (e documentato da una gran quantita’ di album) sugli “standard”, temi e composizioni di autori quali Charlie Parker, Charles Mingus, Miles Davis, Billy Strayhorn, Ornette Coleman, John Coltrane, Thelonious Monk, Warne Marsh, George Gershwin, Eric Dolphy, Lionel Hampton, Benny Golson, Clifford Brown, Dizzy Gillespie, Horace Silver, Lennie Tristano, Ray Henderson, Randy Weston e molti altri, autori e brani visezionati da Braxton (anche al piano) con la prediletta formula pivot del quartetto. L’altra strada percorsa da Braxton e’ invece quella segnata da un articolato e complesso sistema filosofico e logico-matematico (rispecchiato da una forte passione per il gioco degli scacchi), abbinato a un rigoroso processo di autonalisi e autoverifica che se da un lato spiega l’imponente mole discografica del nostro, dall’altro esprime la volonta’ di equilibrarne e testarne tutti gli effetti attraverso gerarchie e sottosistemi che si tramutano improvvisamente in ulteriori strade maestre. Il proverbiale “tricentrismo” braxtoniano e’ altresi’ la volonta’ di sintetizzare ed esprimere non solo i tre orizzonti temporali (passato, presente, futuro) e ritmici (lento, medio, veloce) ma anche i tre orizzonti culturali e ed estetici messi in gioco da tale sistema: quello afroamericano, quello euro-occidentale e quello extra-occidentale. Ma c’e’ stato anche un tempo in cui, diversamente da Cecil Taylor e da Roscoe Mitchell che cercavano di convogliare nella black music una base colto-classica di estrazione occidentale, Anthony Braxton ha anelato per le proprie teorie compositive un riconoscimento nell’ambito della musica “dotta” e “di ricerca” occidentale, e in questo atteggiamento avido d’interesse per i prodotti e le conquiste culturali dei bianchi (non solo la musica di contemporanei quali Arnold Schoenberg, Iannis Xenasis, Philip Glass, John Cage, David Tudor, Kharleinz Stockhausen, ma anche la letteratura e il teatro di Luigi Pirandello e degli autori medievali, la filosofia degli antichi Greci, ecc.) Braxton ha creato stuoli di ammiratori e detrattori, spiazzando sia la comunita’ nera che quella bianca occidentale. Il complesso e peculiare apparato notativo-rappresentativo delle sue composizioni con formule matematico-geometriche e simboli geroglifici e’ altresi’ un mezzo braxtoniano per eludere certi particolarismi culturali e linguistici e pervenire in modo pratico e teorico ad una codifica universalistica del suono.
Inutile passare qui in rassegna e analizzare le sortite rivoluzionarie di Braxton nell’ambito dell’improvvisazione, della conduzione e della sperimentazione (imprese uniche e audaci quali l’opera For Four Orchestras e 160 elementi del 1978, memorabili album sulla performance in solo come For Alto del 1968 e capolavori spartiacque quali e Saxophone Improvisations, Series F del 1972), in cio’ ognuno puo’ trovare conforto nella consistente letteratura critico-biografica sul corpus discografico del primo e secondo Braxton facilmente disponibile in rete e in libreria; preme piuttosto illustrare e (tentare di) spiegare brevemente i risvolti strutturali (o meglio destrutturali) e gli attributi estetici (sollecitati dai concetti dello stilismo e del tradizionalismo) generati ed espressi negli ultimi tempi dal sistema tricentrico braxtoniano (nella prassi sonora fondamentalmente basato su suggerimenti e indicazioni veicolati mediante i tre simboli del cerchio, del rettangolo e del triangolo, che gli interpreti-musicisti combinano e isolano in progressione secondo una struttura logica tripartita), per arrivare cosi’ all’individuazione degli elementi caratterizzanti la formula della “Diamond Curtain Wall Music”, quella che il trio di Braxton ha adottato e proposto dal vivo alla XIV edizione del Pomigliano Jazz Festival. Dal 1995 al 2006 Braxton ha sviluppato e applicato, tramite le sue opere e i suoi folti gruppi, i principi della “Ghost Trance Music”, un sistema articolato e complesso (una melodia infinita” sulla scorta delle culture musicali degli indiani americani e degli indonesiani) che involve, sotto l’aspetto squisitamente musicale, una dilatazione mentale e intuitiva del tempo extraoccidentale (la trance, per l’appunto) e al tempo stesso una riconciliazione (anche rituale) con il tradizionalismo dei vecchi padri (il ghost, ossia il fantasma, lo spirito del passato). Per Braxton la GTM significa anche e soprattutto andare oltre la formula del quartetto come organico, la possibilita’ di coinvolgere molti piu’ musicisti all’unisono cosi’ come suddividerli in gruppi e unita’ inferiori per numero, il tutto per ottenere una musica “galattica”, tonalmente cangiante e armonicamente fluttuamente nella sua apparente reiterativita’. Finalmente, nel quadruplo box denominato 4 Compositions (Ulrichsberg) 2005 – Phnomomanie VIII (Leo, 2006), Braxton propone con la Composition No. 323a uno dei primi esempi del suo nuovo sistema battezzato “Diamond Curtain Wall Music”, un’estesa piece di circa quarantasette minuti interpretata in quel caso da un trio che oltre a Braxton vedeva coinvolti il trombettista Taylor Ho Bynum e il percussionista Aaron Siegel. Fortunatamente la “Diamond Curtain Wall Music” e’ un sistema auralmente distinguibile e piuttosto semplice da individuare nel vasto quadro teorico che l’ultimo Braxton sta recentemente e parallelamente elaborando con altre sigle e direzioni (“Falling River Music” e “Echo Echo Mirror House Music”). In tale contesto, infatti, effetti, frequenze e landscapes digitali (manipolati e generati da Braxton tramite il peculiare software SuperCollider) legano il connubio di composizione e improvvisazione strutturata al familiare canone dell’elettroacustica sperimentale, innescato dalla presenza centrale della chitarra elettrica e dal ricorso a un vasto arsenale strumentale di fiati, ance e ottoni. La “Diamond Curtain Wall Music” di Braxton si presta maggiormente a formazioni in quartetto o in trio, e sebbene non manchi al leader una nutrita squadra di fedeli collaboratori e interpreti di vaglia da cui attingere, la line-up ideale in trio vede quasi sempre coinvolti il fantastico trombettista di Boston Taylor Ho Bynum e la duttile chitarrista Mary Halvorson (anche’ssa originaria di Boston ma attualmente residente in quel di Brooklyn), brillanti solisti e interpreti braxtoniani nonche’ essi stessi leader di magnifici progetti personali che hanno gia’ suscitato clamore nel panorama dell’avant jazz statunitense di questi ultimi anni. Detto cio’, quella che segue e’ una breve disamina dei tre titoli discografici in cui Anthony Braxton ha fin’ora documentato, in modo specifico e distinto, le sue attivita’ e incursioni sul terreno della “Diamond Curtain Wall Music”.
ANTHONY BRAXTON: Trio (Glasgow) 2005
2CD – Leo Records (2007) – distr. IRD
Voto: 8/10
Eseguite dal vivo il 23 giugno 2005, presso il Glasgow’s Centre Of Contemporary Art, queste due estese composizioni vedono Anthony Braxton (contralto e SuperCollider) affiancato da Taylor Ho Bynum (tromba, flicorno e trombone) e Tom Crean (chitarra elettrica). Il concerto scozzese e’ di poco successivo alle performance austriache di Ulrichsberg, il che spiega la ripresa della Composition No. 323, qui dicotomizzata in una duplice veste dove all’energia astratta e agli interludi circolari e introspettivi di Braxton (in alcuni tratti sorgente di lucide e suadenti armonie) risponde in modo eccellente la tecnica e la versatilita’ polifonica (oscillante dal grave all’acuto) del trombettista. Rispetto alla versione di Ulrichsberg, le trame digitali ed elettroniche hanno caratteristiche piu’ marcate ed intrusive, sebbene non trascendano mai nella saturazione o nelle alte frequenze. Sono piuttosto borborigmi, flussi dronati e macchie di colore laminato che esaltano la voce acidula e lacerata del contralto, mentre le particelle di note stizzite e lampeggianti che scaturiscono dalla tromba e dal flicorno di Ho Bynum trovano un bellissimo contrappunto nello stile isterico, puntillistico e timbricamente austero della sei corde elettrica di Crean, artefice in Composition no. 323a di passaggi, affondi e liberi assolo di marca free rock al vetriolo.
Musicisti:
Anthony Braxton – alto sax, electronics
Taylor Ho Bynum – cornet, flugehorn, trumpbone
Tom Crean – electric guitar
Brani:
CD1
01. Composition no. 323a (56:58)
CD2
01. Composition No. 323b (60:11)
ANTHONY BRAXTON: Trio (Vicoriaville) 2007
CD – Victo (2008) – distr. IRD
Voto: 7,5/10
Altra lunga take dal vivo, stavolta catturata dal palco canadese del prestigioso festival di Victoriaville il 20 maggio 2007, la Composition no. 323c si contraddistingue per la ricca tavolozza armonica e timbrica apprestata da un fitto intreccio di colloqui e progressivi interventi individuali. Rispetto al disco precedente entra in pianta stabile la chitarra elettrica della sempre piu’ interessante Mary Halvorson, che sebbena qui predeliga uno stile meno scorticato e spigoloso rispetto a Tom Crean rilascia uno spirito investigativo piu’ sottile e ipnotico, fascinoso nella scelta di fraseggi e cluster che ammantano di benefica visceralita’ elettroacustica un suono dall’indole altrimenti troppo cerebrale e autoreferenziale. Nel vasto arsenale strumentale adoperato da Braxton e Ho Bynum la chiave distintiva della gamma rituale, creativa e intuitiva della “Diamond Curtain Wall Music”, in questa circostanza merlettata da vortici e sinewaves digitali quasi impercettibili.
Musicisti:
Anthony Braxton – sopranino, soprano, alto, baritone, bass and contrabass sax, electronics
Taylor Ho Bynum – cornet, flugelhorn, trompbone, piccolo and bass trumpets, shells, mutes
Mary Halvorson – electric guitar
Brani:
01. Composition no. 323c (59:36)
ANTHONY BRAXTON: Quartet (Moscow) 2008
CD – Leo Records (2008) – distr. IRD
Voto: 7/10
Il perpetuo aggiornamento del registro espressivo nel solco di una direzione e di un logica sonora ancora tutta da esplorare e testare e’ una costante braxtoniana che si evidenzia sia nell’organico (allargato a quartetto con il fagotto della giovane Katherine Young) sia nella volontaria esclusione da questa incisione del fattore digitale ed elettronico. Registrata al DOM di Mosca il 29 giugno 2008, la Composition no. 367b e’ un carosello di svolazzanti spore elettroacustiche e arrembanti scale impro-free che nel suono del fagotto accoglie anche ricercate trame colto-cameristiche. Mary Halvorson tiene testa ad un clima di sostenuta imprevedibilita’ e sorpresa con pennellate di strumming e coriandoli di accordi in precario equilibrio armonico. Braxton si divide come al solito tra pose dominanti (un tirannico tergiversare sul contralto) e pause iterlocutorie (in particolari quelle al clarinetto) che sono la molla per placide e sommesse sortite strumentali collettive. Ho Bynum mette in vetrina tutte le sue carte migliori, gestendo con scioltezza ogni altezza, ogni timbro, ogni tipo di vibrato. Di tenore piu’ lirico e apollineo la breve Encore conclusiva, saggio di perfetto interplay e vivace spirito propositivo.
Musicisti:
Anthony Braxton – sopranino, soprano, alto saxophones, contrabass clarinet
Taylor Ho Bynum – cornet, flugelhorn, piccolo and bass trumpets, valve trombone
Mary Halvorson – electric guitar
Katherine Young – bassoon
Brani:
01. Composition no. 367b (70:10)
02. Encore (2:52)
Links:
Anthony Braxton / The Tri-Centric Foundation: www.wesleyan.edu/music/braxton/
Anthony Braxton Discography: www.restructures.net/BraxDisco/BraxDisco.htm