Andrea Marinelli, milanese, 35 anni, musicista, visual artist, è attivo nell’ambito della musica improvvisata contemporanea, del jazz e della musica elettronica. Lo abbiamo intervistato in occasione dell’uscita del suo ultimo lavoro Con Septic Opera, realizzato insieme a Lorenzo Brusci attualmente basato tra la Toscana, Cracovia e Berlino attivo sin dalla fine degli anni Novanta come sound experience e sound space designer

 

 

Prima di parlare dei tuoi ultimi lavori, mi piacerebbe ci parlassi della tua formazione, del tuo background.

Io ho iniziato a suonare tardi, avevo  diciannove, vent’anni. Prima di allora avevo ascoltato poca musica, giusto un paio di cassette. Tutto per me nasce dalla parola in realtà, nel senso che avevo scritto dei testi, e ho deciso di metterli in musica; da subito ho deciso che erano canzoni e che dovevo suonarle dal vivo. Ho quindi iniziato a fare dei concertini nella bassa bergamasca, insomma ho iniziato come cantautore. Poi dopo un po’ ho deciso di mettermi a studiare canto dato che arrivavo senza voce e da lì è partita la ricerca, legata alla parola, più precisamente al suono della parola.

 

Ascoltando i tuoi lavori questa ricerca emerge, è ben presente, l’utilizzo che fai della parola sia come suono  che come significato è una delle prime cose che colpisce.

Per me è sempre stato un passaggio fondamentale, uscire dal significato, per entrare nel suono della parola, è stato come una reazione alla parola non autentica, formale, non integrata che investe spessissimo il cantautorato, il pop ma anche la musica colta. Viviamo un epoca in cui la parola è centrale, dove c’è una sorta di saturazione scritta, parlata e cantata. Questa interessantissima saturazione è una chiave d’accesso allo slang odierno fatto di parola e dei suoi metadati, di suono e dei suoi link effimeri digitali e cognitivi. Dopo qualche anno di cantautorato non avevo più parole, dunque me ne sono stato zitto. Ho iniziato invece un lavoro di migrazione delle parole in elettronica, riassegnando identità di significato saturate. D’altronde, la saturazione (distorsione) della chitarra di Hendrix a me arriva come la catarsi dei significati, le note fotografate nel momento esatto della loro perdita dei parametri musicali, l’iperrealismo di una incomprensione endemica tra tutti gli individui che la rende intima e universale. Nelle mie performance attuali saturo la parola, scompongo, ricompongo sovrappongo fino all’incomprensione. Spesso mi avvalgo di flussi sonori dove è lecito anche dimenticare i fili logici e i processi lineari. E’ lecito dimenticare i significati ed andare alla ricerca del residuato sonoro che rimane. Come diceva Carmelo Bene: “la lettura a voce alta è oblio”, leggere una cosa è andare alla ricerca del residuato sonoro, della percezione.

 

Come è avvenuto poi il passaggio alla musica elettronica?

Io quasi da subito ho iniziato a registrarmi. Mi ero costruito un piccolo studio, un computer autocostruito e una Novation Speed I/O. In breve mi sono appassionato al missaggio. E’ nato così. La mia elettronica, il lavoro musicale che faccio con l’elettronica e la mia performance è suonare il recording studio. Per me l’idea dell’elettronica è quella di creare una situazione musicale valorizzando alcuni elementi musicali piuttosto che altri che poi alla fine è l’arte del missaggio. Le tecniche che io uso dal vivo, sono mixing techniques e di arrangiamento. Poi, parallelamente alla mia ricerca musicale, ho lavorato come tecnico specialmente in studio e questo mi ha permesso di ripensare gli aspetti tecnici in modo musicale. Ho fatto tanta musica ma anche tanto doppiaggio, sai, 10 ore di sola voce al giorno in cuffia ti segnano.

Da subito però ho avuto il piacere e la grande possibilità di suonare con super musicisti di jazz come Tiziana Ghiglioni, Tiziano Tononi, Gianluigi Trovesi etc. Il mio modo di suonare l’elettronica è evoluto drasticamente fino a diventare un vero e proprio strumento musicale. La chitarra o il saxofono sono strumenti che compri e impari. L’elettronica te la costruisci da solo prima di impararla e quando l’hai imparata è obsoleta. Suonarla è proprio un discorso che ha della complessità al suo interno. Questa cosa è affascinante ed io penso che sia molto difficile trovare la propria direzione musicale attraverso questo strumento. Io ho sentito che il mio momento vero non era quello in cui stavo suonando davanti al microfono, ma quello in cui manipolo il suono registrato, per me quello è un momento di musica viva.

Quindi hai deciso di fare di quello il tuo “modo” di suonare

Si. tra il 2010 e 2013  ho iniziato a pensare che il mio strumento sarebbe stato l’elettronica ed ho iniziato a creare un sistema per portare lo studio dal vivo. Questa è la mia idea di elettronica.

 

GO è stato il tuo primo lavoro in questo senso?

È stato un grosso esperimento per me, prima avevo registrato altri album che andavano in quella direzione. Io però ho sempre pensato l’elettronica da SECRETSHOW in poi. SECRETSHOW direi che è l’estensione di questo processo di arrangiamento e mixaggio portato dal vivo. Qui uso gli stessi principi per la parte musicale, visiva e di performance.

Da quel momento in poi ho iniziato a spaccare la griglia dei programmi multitraccia. Ho cercato dei modi non lineari di comporre melodicamente e ritmicamente tutto dal vivo. Nel 2016, poco prima del primo album di SECRETSHOW  ho pubblicato “Antenna Classica”, un album dove suono chitarra e pianoforte in duo con i sax di Mauro Rolfini. Questo disco è una sorta di rielaborazione della musica di Anthony Braxton. Passando del tempo sulle partiture ci siamo accorti di quanto Braxton forzi la scrittura, di quanto gli risulti stretta in certi frangenti. E’ una scrittura che man mano che la suoni, che la esplori apre le strade oltre le battute. Ci sono zone ritmiche differenti a distanza di quarti, ma soprattutto c’è una melodia che è una guida istantanea per la creazione di flussi musicali. Ecco io mi sono chiesto come con l’elettronica avrei potuto essere così libero. Le griglie ritmiche dei software multitraccia come Ableton ad esempio, consegnano nelle mani dei musicisti piani di visione della musica potentissimi che possono ribaltarla. Al contempo la complessità del software riduce i campi d’azione e guida la ricerca compositiva per teoremi più legati alla programmazione che alla musica. E’ così in tutti i campi digitali penso. Per me la domanda rimane aperta: come dare adito ad un’intuizione di libertà?   Non utilizzo software in griglia per suonare, ho un’ approccio molto fisico, è tutto mappato. Suono con due controller midi da 40 pot l’uno tutti mappati, non guardo quasi mai lo schermo. Un giorno parlando con Phil Minton a proposito di scelte e di direzioni musicali da intraprendere mi disse: “The problem is not to find your way, the problem is lost”

 


Quindi tu hai rifiutato la griglia perché ti sei reso conto che quella cosa lì ti snaturava e non ti consentiva di esprimere le tue idee in musica.

Io voglio essere libero. Se salgo sul palco è perché ho da dire in libertà, altrimenti non avrei fatto il musicista. Io mi sono subito accorto che per me l’elettronica era una grossa possibilità per il mio modo di essere, ma era anche una grossissima perdita di tempo, un ostacolo continuo, una frustrazione di dimensioni epiche, e lo è per tutti, anche per chi usa Office!

Quello che è importante per me è il rito in base alla situazione. Quando vado ad esempio a suonare in un teatro, ho un discorso musicale pronto, ma la domanda vera è: cosa succede intorno? Negli ambienti dell’elettronica ancora di più e forse in questo senso c’è forte affinità col  jazz. Spesso ho scelto integrare la mia poetica al luogo al contesto, ho scelto l’happening, il site specific anche in luoghi non prettamente d’ascolto dove possono succedere cose veramente belle a livello performativo come i club.

Nel 2012 Tiziana Ghiglioni e Tiziano Tononi mi hanno chiamato a Bari per registrare “Vie d’Heroes”, un disco di jazz su Carmelo Bene, con l’orchestra di Paolo Lepore. Lì non avevo ancora l’elettronica, cantavo, mi hanno inserito come un elemento trasversale, in questo gruppo di musicisti eccezionali.

Poi 2 anni fa, per Apache festival alla Cavallerizza del Teatro Litta (MTM Teatro), ho fatto 2 serate in duo con Tiziano Tononi e 2 in solo. In questa residenza abbiamo in qualche modo trovato un match di linguaggi. Tiziano ha una gamma sonora incredibile, è un batterista ed un percussionista eccezionale. Nel disco si sente che ogni tanto c’è questa confusione timbrica tra l’elettronica e lo strumento pur mantenendo identità ritmica. Io tendo ad essere piuttosto dritto  perché quella è l’identità dell’elettronica, che è inumana, non cerco di renderla umana, cerco di rimanere umano io.

Qualche mese fa Tiziano insieme ad Alberto de Angeli (elettronica) e Simone Massaron (chitarra), abbiamo registrato uno streaming al Tempio del Futuro Perduto, il tempio della techno a Milano. Questi sono luoghi che cambiano la musica e la musica ha il potere di cambiarli. Portare una batteria vera in un club come il Tempio è un po’ come portare una batteria elettronica al Bluenote (cosa che ho fatto nel 2014 con una suite su Zappa): sono mondi che oggi mi sembra doveroso si pongano a serio confronto oltre tutte le etichette musicali.

E invece Mot Percer, il lavoro che hai fatto con Tiziana Ghiglioni?

Tiziana l’ho conosciuta al CEMM di Bussero, una scuola di musica diretta da Walter Donatiello, che è stato mio maestro di chitarra e che ha creato un ambiente davvero stimolante dove ho sempre incontrato personalità musicali di grande sostanza. Il jazz è una musica che mi ha aperto il mondo, mi tiene incollato alla realtà. E Tiziana quanto canta jazz è sublime.

Mi ha chiesto di lavorare nel suo coro Vocal Streams. Poi mi ha coinvolto nel suo progetto su Carmelo Bene di cui ti dicevo, e dopo abbiamo iniziato a pensare di creare un’esplorazione in duo di quel concetto di musica, della parola non necessariamente cantata. Una miscela disgregata di jazz, elettronica, campioni di musica etnica. Tiziana ha un’attenzione al testo, un approccio letterario veramente raro, le intuizioni musicali di un cantante sono più che mai legate al testo, all’andamento, all’anticipo di una dimensione musicale. In una canzone il cantante è una sorta di guida delle dimensioni musicali perché il cantante sa il testo. Ecco Tiziana è davvero maestra in questo, se senti i suoi dischi è evidente. Abbiamo iniziato a pensare cosa ci piaceva davvero, e siamo tornati su Carmelo Bene. Abbiamo esplorato moltissimo Paolo Poli che ha una vocalità fenomenale, un genio assoluto della voce. Abbiamo lavorato su testi e poesie di diversi autori proprio con l’idea di dare voce alle parole. Io ero appena stato da Phil Minton, a Londra, ho studiato con lui per un periodo. Phil è un cantante incredibile, canta free, lirica, folk song, canta e basta. Quel circuito di musicisti inglesi è una tappa fondamentale, perché è una musica che da un lato rifiuta il jazz, e dall’altro ne è profondamente intrisa, è una musica europea anglosassone; per me è stato un punto di collegamento fondamentale tra la musica americana irrispettosamente potente e quella europea. Tra Coltrane, Al Jarreau, Joan LaBarbara e lo Jodle del Sudtirol cosa c’è in mezzo? La musica inglese è stata per me fondamentale in questo senso. Ha dei paradigmi profondamente americani e profondamente europei ed, in ogni caso, ha espresso della musica veramente meravigliosa.

Anche con Tiziana abbiamo scelto luoghi, situazioni non consuete come il CircoRU di Locarno o addirittura MACAO a Milano che è una sorta di luogo punk-onirico, apocalittico e denso di molte energie. E’ uno dei luoghi più belli per l’elettronica sperimentale in Italia ed il fatto di suonarci con Tiziana Ghiglioni si ricollega a quel discorso sul confronto tra luoghi, situazioni e musicisti elettronici e non. La musica al centro, la possibilità di sorprendersi.

 

Passiamo ora al tuo ultimo lavoro “Con Septic opera”, insieme a Lorenzo Brusci.

Ci siamo conosciuti tramite Alberto de Angeli che è un musicista elettronico di Milano con cui collaboro spesso e con cui lavoro a SECRETSHOW+, una versione potenziata della performance classica per ambienti più grandi e complessi. Lorenzo Brusci è un compositore estremamente interessante, negli ultimi anni ha progettato, insieme ad un team di lavoro internazionale, una Intelligenza Artificiale che parte dalla musica e che, per certi versi, credo rifletta un po’ la sua cifra compositiva fatta di flussi inarrestabili e complessità oltre la gestione umana, beyond saturation appunto. Ha battuto tantissimi campi, dal teatro all’installazione, alla musica, alla danza etc. collaborando con Jamie Saft, Stefano Bollani, Raffaella Giordano (Sosta Palmizi), Enrico Rava, Enrico Gabrielli, Alessandro Fiori, Giacomo Laser per dirne alcuni veramente agli antipodi. Il lavoro è nato quest’estate davanti ad una granita a Scicli (Sicilia). Ci siamo detti: perchè non partire proprio dalla voce? Ho così scritto dei testi autodistruttivi direi, autosaturanti, con l’idea che sarebbero stati appunto smembrati dall’elettronica. Scrivere appositamente per perdere le parole, pronunciarle per trasformarle in musica fino a farle sparire, in certi casi, è un processo di generazione musicale che apre le porte ad un neo-pop dove la voce, la batteria, i sintetizzatori si spogliano del valore mitico e si riappropriano del piacere istantaneo, delle conseguenze indomabili musicali. Ci sono alcuni brani  dove Lorenzo ha definito una strada strumentale partendo dalla musica, dal pianoforte in particolare. Questo ha dato una sorta di respiro ed una varietà di processi che poi definisce la non-narrazione dell’album. Il disco è stato registrato a distanza, a stems, a sovrapposizioni di tracce. Questa prassi compositiva è legata al tempo, è una sorta di improvvisazione diluita in mesi per un brano da 4 minuti. Anche questo modo di lavorare, oggi più che consolidato, apre strade interessanti e, la sua influenza sulla musica, è un campo aperto da esplorare.

 

Il titolo come è venuto fuori?

E’ una sorta di perdita delle lettere in mezzo, sicuramente ha a che fare con la semantica, il sezionare, con i concetti appunto spaccati. I titoli di brani sono tutti di Lorenzo. Lui usa creare questa sorta di poesia per metadata, in quanto i titoli sono gli unici metadata che le piattaforme di musica tipo Spotify, Apple Music etc. accettano.

Io credo che tutti questi discorsi sull’elettronica oggi siano necessari, cardinali in qualche modo per i musicisti. Ho da poco registrato alcuni video con Tiziano Tononi ed altri musicisti, in un luogo di Milano dove questi musicisti non avrebbero nessuna possibilità di entrare, perchè i mondi non si parlano. Eppure una piattaforma tipo Spotify è un grande wild bunch, dove tu puoi sentire un set di Steve Aoki, Ellen Allien o Benny Benassi, e poi subito dopo Gerard Grisey, Bernard Parmeggiani o Bill Evans, ed il fatto è che lo si fa!

Io sto cercando di incarnare me stesso, di incarnare la trasversalità della mia generazione. Sento  la necessità, per me innanzitutto, di far dialogare i mondi musicali, il mio strumento in questo momento è un ponte. L’elettronica è versatilissima, profonda, ce l’abbiamo in casa, user friendly, alla portata di tutti, è trasversale.

 

Abbiamo accennato a SECRETSHOW, ci racconti come nasce?

SECRETSHOW  è una performance audio visiva. Ti dico subito che l’anno scorso a Marzo, avevo programmato di fare l’ultimo, al Museo di Villa Croce, a Genova, dove ho fatto la data 0 di questo lavoro, prodotto da Duplex Ride, una bellissima ed eclettica realtà musicale Genovese. Poi ho deciso di non chiuderlo perché ho accumulato delle idee in quest’anno che vanno esposte.

SECRETSHOW è nato con l’idea che la musica è una situazione, come ti dicevo, che la creazione di una situazione è più importante della musica stessa. Allora mi sono procurato queste lavagne per lucidi, attualmente ne ho nove; avevo fatto delle foto alla TV, sono appassionato di cinema mentre guardavo un film di Antonioni, La Notte, ad un certo punto ho pensato: “Ma guarda che meraviglia, che inquadrature pazzesche, domani mi compro tutti i libri di Antonioni, mi leggo tutto quello che c’è su di lui” . poi preso dalla noia ho pensato che fosse uno sbattimento inutile. Ho preso la macchina fotografica e ho iniziato a fotografare i suoi film alla TV per studiare le inquadrature, dei volti in particolare, e lì mi si è aperto un mondo, perché ho iniziato a lavorare sull’immagine “super-imposta”, sul processo digitale dell’immagine re-immagine. I film di Antonioni sono in 35mm, messo in digitale, proiettato in digitale terrestre, fotografato con un macchina fotografica digitale su uno schermo digitale, alla fine stampato in analogico sui lucidi. E’ il nostro tempo.

I lucidi poi li uso una parte per sculture e opere e una parte in performance proiettati e sovrapposti esattamente come uso i campioni nella mia musica, trasformando i pixel del digitale in materia analogica. SECRETSHOW è una performance dove il digitale è reale, è un’affermazione della materia digitale.

L’idea di SECRETSHOW è di essere “site specific”, cioè di reinterpretare il luogo dove si svolge attraverso musica e immagini. Li ho fatti nei posti più diversi, dai musei ai club, agli appartamenti privati, in un tunnel della Seconda Guerra mondiale in Liguria, al DAC di Dolceacqua prodotto da Tilman e Atelier A, quest’ultimo in collaborazione con Macchinazioni Teatrali, fondata da Franco Quartieri e Barbara Chinelli è un gruppo di artisti indipendenti che dal 1999 indaga e promuove un progetto di ricerca nell’ambito delle arti performative e delle nuove tecnologie.

Una cosa che trovo molto interessante di queste performance è che per il 60% del tempo le  persone guardano me, non guardano le proiezioni.

La performance quindi diventi tu che ti muovi fisicamente tra il computer e la lavagna dei lucidi

Esatto, la performance dipende dalla situazione dei luoghi. Io non sono di servizio rispetto alla musica o alle immagini. Questo è fondamentale, ed è il centro della performing art, ma anche della musica e dei concerti. Chi suona, lo sta facendo lì, si possono chiudere gli occhi, ma sta avvenendo in quel momento. C’è poi anche l’idea della narrazione non lineare delle immagini e della musica. Spesso le persone dopo il concerto vengono da me e mi dicono magari: “Bellissima la parte in cui lui si è innamorato di lei”. Uso volti, uso musica che ha suggerito quel tipo di narrazione ma io non lavoro in questi termini, io lavoro sulla composizione dal vivo. La maggior parte della musica che faccio è composta dal vivo. Raramente faccio musica a partitura o premeditata. Durante la narrazione continuo a comporre e scomporre dei materiali digitali, questo è un modo per me di dialogare con le persone su tutti i profili. Una cosa fondamentale di SECRETSHOW è che non c’è palco: io sono, dove è possibile, in mezzo alle gente con un tavolo, le persone possono venire, toccare i lucidi, muovere e proiezioni, è una sorta di offerta compositiva corale. Non è una mia richiesta ma accade, durante una performance per il Fuori Salone, per il RAL sui navigli a Milano, per esempio, nelle proiezioni si sono inseriti due ragazzi cinesi, che sono venuti al tavolo e hanno iniziato a muovere i lucidi, è durata 2 ore.

 

Progetti futuri?

Il primo è “Plumtape”, un album in uscita il 2 aprile. Oltre che in digitale “Plumtape” esce con 40 artworks firmati che intrecciano la mia attività di artista visivo e quella di musicista. Federica Palmarin, fotografa che vive tra Venezia e le Mauritius, ha voluto riassegnare valore a una sua vecchia collezione di audiocassette, così me le ha donate per questo lavoro. C’è da Ibiza mix, a Bernstein, a Thriller. Prendo un brano di “Plumtape” lo incido su una cassetta lasciando affiorare sotto la traccia originale. Registro questa sorta di remix in digitale A questo punto brucio la cassetta. A casa ti arriva la cassetta bruciata con il download proprietario della tua traccia che, ovviamente, non si potrà ascoltare sul supporto originale ma sarà per sempre incisa. E’ un lavoro di iperstratificazione tra analogico e digitale questa volta trasposto sui supporti; esteticamente è una sorta di quadro di pop-art che puoi appenderti in casa e mangiarti quando vuoi.

Poi, ho aperto una nuova performance che si chiama Skreen 2020, che è incentrata sul volto in digitale. È più aggressiva di SECRETSHOW, anche perché è più di un anno che sono in casa che suono da solo, ero abituato ad essere abbastanza randagio, sempre in giro, ad avere dei volumi abbastanza alti, a far suonare le membrane, come si dice in gergo. Mi è capitato di registrare delle cose e sento che nel suono c’è una compressione fortissima, una sorta amarezza molto aggressiva che fa sembrare tutto, almeno nel mio suono, molto viscerale, a volte anche un po’ pesante, devo ammettere. Penso sia una delle fotografie possibili di questo momento storico.

Skreen 2020 (ogni performance cambierà codice) l’ho presentato la prima volta al Festival della Peste (Fondazione Lazzaretto), qui a Milano, lo scorso Novembre, fotografo direttamente in performance, quindi vado in giro tra le persone, scatto e poi li proietto in vari punti dello spazio; oppure mi faccio mandare dei selfie prime e spacco le immagini dei volti e lavoro con questa continua osmosi tra digitale e analogico, cose stampate e video digitali.

E’ un lavoro che ho in seno da 2 anni e che, appena si potrà, avverrà.

Per la parte più musicale usciranno a Maggio 2021, quattro video che ho registrato al Tempio del Futuro Perduto, sempre qui a Milano, con quattro formazioni diverse. Lì c’è stata l’idea, come ti dicevo, di portare al Tempio musica che solitamente non accede a quel contesto. Come il Trio Cavalazzi, composto da tre giovani musicisti di estrazione classica sotto i trent’anni, abbiamo registrato musica con due violini, violoncello ed elettronica. Poi ho fatto questo quartetto con Tononi, Simone Massaron e Alberto De Angeli, ed un trio con Alessio Premoli ed ancora Alberto De Angeli, fidatissimo collaboratore degli ultimi 5 anni e musicista eccellente; infine un duo con Angelo Brezza, un batterista molto bravo, allievo di Tononi, che viene dal mondo del post-punk, metal ma che ha evoluto un linguaggio jazz veramente aperto e interessante. Il video con Brezza è in realtà un vero e proprio happening in collaborazione con Andrea Bennardo e Pablo Bermudez, artisti visivi super interessanti.

Poi sto lavorando al terzo album con Demetrio Cecchitelli aka Halfcastle; abbiamo registrato questo inverno un album più elettroacustico, quindi suonato con strumenti “veri”, Demetrio suona il flauto, la chitarra, l’elettronica, io un set di batteria autocostruito ed il computer. Credo che entrambi, stiamo facendo un percorso di riconversione dei linguaggi per trovare una quadra musicale d’insieme veramente interessante. Inoltre siamo di due generazioni diverse (io 35 e lui 23 anni) ed è interessantissimo collimare sotto questo aspetto. Usciremo nel 2022 per Mahorka, label bulgara con un bellissimo catalogo di free improvising ed elettroacustico.

Poi, a settembre, uscirà un disco in trio con Angelo Brezza, alla batteria ed una cantante di Venezia, Patti RoxyParty, una bomba a orologeria, con un’energia incredibile, punk dentro, porta avanti un discorso performativo davvero profondo nella sua autenticità.

Poi un progetto a cui tengo molto è Atelier PiccoliBit, in collaborazione con Alessio Premoli, per lavorare con i bambini. Dal 2015 lavoro a: “MusicUpNose_concerto interattivo per bambini”. Nell’ultimo anno ovviamente non si è potuto fare, quindi ho deciso di aprire Atelier Piccoli bit, che è una piattaforma di atelier online di arti digitali per bambini, dove insegniamo musica ovviamente ma poi anche moda, disegno, poesia con Vittorio Onedei de I Camillas, Stampa 3D etc.

I bambini hanno sete di consapevolezza digitali, usano lo smartphone ma non conoscono le strutture digitali. Hanno sete di arti, di riuscire ad esprimersi in analogico o in digitale. La scuola ha un grosso vuoto in questo senso e, con la situazione odierna, ha subito tagliato i tempi morti, le arti appunto. Lo dico con un sarcasmo tagliente ma la piattaforma va proprio in questa direzione, fornire strumenti di espressione del se anche ai più piccoli.

Con “MusicUpNose”, incontrare un pubblico di bambini mi ha cambiato il modo di suonare, nel senso che l’elettronica per l’infanzia è molto viva, i bambini sono molto affascinati, e musicalmente sono molto più reattivi, a partire dalla questione matematica della musica. Se Il tempo è confuso, ad esempio, i bambini lo esternano immediatamente. L’altra cosa è la gestione delle emozioni generate dalla musica. L’elettronica è uno strumento che può veramente generare dei cortocircuiti emotivi, delle suggestioni molto reali. Ad esempio posso produrre suoni molto gravi, o super taglienti in alto, e non lo sai prima perchè non c’è nessun gesto che anticipa l’arrivo. Devi tenere in briglia lo strumento e la situazione emotiva dei partecipanti. Questi concerti per bambini, nel tempo, mi hanno fatto crescere proprio sul piano compositivo e della gestione del suono.

Link:

Atelier PiccoliBit